IL QUORUM FRENA LA DEMOCRAZIA
Di Iuri Maria Prado
Ragioniamo su cosa è stato l'esperimento referendario di domenica. E poi sul futuro dell'istituto del referendum popolare. I dati li conosciamo: ha votato il trenta per cento degli elettori. Non abbastanza, secondo la legge attuale, per la validità della consultazione. Politicamente, tuttavia, non si può non tener conto di "come" ha votato chi ha deciso di non disertare le urne. La percentuale di "sì" alle abrogazioni proposte è risultata schiacciante: sessanta, settanta, ottanta per cento e oltre, nei vari quesiti. Chiamiamoli, senza difficoltà, voti "sconfitti", ma nella misura in cui può dirsi sconfitta una "minoranza" rappresentata da quindici milioni di cittadini, che votano in un certo, preciso, modo. In molti, soprattutto da sinistra, hanno detto che questo era, piuttosto, un referendum "pro o contro" Marco Pannella. Una sciocchezza, evidintemente: ma se non dovessimo ritenerla tale, allora dovremmo concludere che Marco Pannella dispone di tredici milioni di voti. La verità è matematicamente un'altra:
quei milioni di voti sono, non possono che essere, di elettori di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del Pds, di Rifondazione, della Lega, dei cattolici di destra e di sinistra, eccetera. Sono pochi? Sono tanti? La si giri come si vuole: sono milioni. Chi li rappresenta, in Parlamento? Si è detto che le materie implicate non avrebbero dovuto essere oggetto di referendum, ma gestite dal legislatore rappresentativo. Bene: qualcuno darà seguito, in Parlamento alle istanze di riforma di quella "minoranza"? Ma ora veniamo a ciò che sarà l'istituto del referendum popolare. Antonio Martino, di Forza Italia, ha giustamente rilevato che bisognerebbe abolire la normativa sul quorum (la normativa, cioè, che ha impedito effetto a quest'ultima consultazione). E questo proprio nell'ottica di "rivitalizzare" (secondo l'espressione di chi ha invitato gli elettori a non votare) l'istituto del referendum. In assenza di ogni previsione sul quorum, infatti, quell'invito all'astensione non potrebbe essere rivolto, e le forze
politiche sarebbero obbligate a prendere posizione fermamente e tempestivamente. E, inoltre, l'elettorato non sarebbe preso da quel disincanto che indubbiamente ha determinato molti ad astenersi: il voto ("si" o "no") acquisterebbe di valore e di efficacia. Contro l'abolizione del quorum (e, sempre, soprattutto dal centrosinistra) è venuta questa obiezione: che tutte le manifestazioni di volontà, per essere valide, debbono avere una "consistente" quota di partecipazione. Ma chi lo dice? Lo dice chi ha messo in legge che il finanziamento pubblico scatta col quindici per cento di partecipazione dei contribuenti. Evidentemente le "consistenze" necessarie dimagriscono e del tutto democraticamente, se servono per ficcare le mani nel portafogli dei cittadini. Quanto al fronte antireferendario, (folto soprattutto a sinistra) il tentativo sarà questo: rendere praticamente impossibile, da già difficilissimo che è, ricorrere al parere diretto dei cittadini. Già è in cantiere l'innalzamento del numero minimo di sottos
crizioni, come pure l'ipotesi di un giudizio "intermedio" della Corte costituzionale, la quale avrebbe ancora più agio di dar luogo alla sua giurisprudenza "politica". Altri e sempre in maggioranza a sinistra - invocando referendum "nuovi di zecca", e cioè possibili solo in relazione a materie "precise" e a quesiti "chiari". Senonché la legge, la Costituzione, già prevede limiti estremamente precisi. Ma la legge - come ha giustamente detto e scritto quell'indiscutibile nonpannelliano che è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni - la legge è stata violata dalla Corte costituzionale, che ha letteralmente "inventato" criteri di (in)ammissibilità dei quesiti, con l'unico obiettivo di limitare le consultazioni popolari. Precisa o imprecisa, la nuova normativa sui referendum sarà violata nuovamente nel momento stesso in cui risulterà capace di rendere possibili le riforme scomode. Perché la cultura della legalità non appartiene a questa classe politica, e men che meno alle attuali forze di govern
o.