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Segreteria Rinascimento - 24 giugno 1997
Da "IL FOGLIO" del 24 giugno 1997

PROF. SOVVERSIVO E AGIATO FUORIUSCITO SPIEGA PERCHE' TORNI IN CARCERE.

Toni Negri al Foglio

Un sasso nello stagno per cancellare gli anni Settanta, passato che non passa.

"Potrei farmi francese, vado a Rebibbia"

Oltre quattro anni da scontare

Parigi. "La situazione politica italiana è cambiata, ora si possono risolvere i problemi

lasciati insoluti dalle legislazioni speciali degli anni di piombo", dice Toni Negri quattordici anni dopo la sua fuga in barca, che lo ostracizzo radicalmente dall'opinione pubblica italiana ("Ma io ho sempre parlato di evasione"). L'uomo dei traslochi è arrivato ieri mattina alle undici in punto, per un sopralluogo. Libri, carte e mobili li manderà in un magazzino a Padova, la città che secondo il magistrato Pietro Calogero fu messa a fuoco dalle sue idee e dai suoi compagni negli anni Settanta. Pagherà fino al 31 agosto l'affitto del 75, Avenue Denfert Rochereau, un bellissimo appartamento degli anni trenta, con una splendida vista e un colpo d'occhio sul complesso astronomico secentesco dell'Obsèrvatoire e sui suoi giardini; poi regolerà gli altri conti, quelli giudiziari, dopo avere "presofferto" (come si dice nella strana lingua della giustizia) quattro anni e mezzo nelle carceri di massima sicurezza in giro per 1'Italia (ma c'è, tra i suoi coimputati, chi di anni se n'è fatti sei e mezzo, dicesi sei e

mezzo, per poi essere assolto). "Se fossi un delinquente comune, in galera non ci andrei proprio, avendo scontato più di metà della pena. Ma rischio di subire, in quanto Toni Negri, quelli che in termini tecnici si chiamano 'privilegi odiosi': una sorta di accanimento per le figure criminali più spiccate o invise". Il Toni Negri rischio massimo sono quattro anni e più di reclusione, quello minimo è di cavarsela con alcuni mesi (infatti, su un totale di tredici anni di condanne, ai quattro anni e mezzo già scontati vanno aggiunti quattro condonati e una annualità derivante dai generici benefici di legge che valgono per tutti). I suoi reati sono tutti "associativi" (come banda armata, associazione sovversiva eccetera), con in più un "concorso morale" (che Negri respinge con sdegno allucinato) nell'omicidio di un carabiniere da parte di un gruppo di autonomi nel corso di una rapina ad Argelato, in Emilia. I suoi avvocati italiani Tommaso Mancini, Giuliano Spazzali e Gianni Giovannelli stanno organizzando le co

ndizioni del rientro a Rebibbia ("Preferisco Roma, 1ì sono meno difficili i contatti con gli amici che mi sono rimasti"). La malattia di Michele Coiro, considerato un interlocutore civile e affidabile, ha creato apprensione, ma il programma non cambia. George Kiejman, già ministro Guardasigilli, e Daniel Voguet discutono con le autorità francesi le condizioni d'espatrio di questo illustre sanspapiers, riconosciuto e coccolato sociologo e scienziato della politica alI'Università di ParisVIII (già Vincennes) e al Collège International de Philosophie. Negri ha un'infinita paura di tornare in quel luogo, la prigione, che conosce assai bene; fuma una Gauloise dietro l'altra, è tutt'altro che felice, si aiuta un po' con l'alcol, ma å anche stranamente sereno, freddo, lucido, perfino impaziente di fare quest'altro "salto nel buio" (cosi lo definisce sebbene poi si dica carico di "ottimismo della ragione"). Ecco quel che ha detto al Foglio. Le ragioni del professore. "Nulla mi spinge a lasciare Parigi dove vivo bene

e lavoro sodo da quattordici anni filati. L'anno prossimo potrei avere la naturalizzazione francese e un passaporto. Però intendo restaurare la comunità che ho rotto con la mia evasione, come dice Rossana Rossanda (un'amica esigente, ma anche la donna più bella del mondo). Con l'Europa in arrivo, oltre che l'armonizzazione del deficit, diventa decisiva l'armonizzazione dello spazio giudiziario europeo: pongo me stesso come la contraddizione vivente di un pericoloso criminale (per la giustizia italiana) che vive da molti anni sotto la protezione del governo e della società francese. L'Italia sta cambiando la sua Costituzione, penso che si debba sbarazzare di tanti scheletri nascosti nel suo armadio. Inoltre c'è una legge, quella sull'indulto per i reati politici dei Settanta: voglio gettare un sasso nello stagno, contribuire a una pacata campagna civile. Io sono un vinto, uno sconfitto. Ma non un criminale nè, tantomeno, un criminale pentito. Certo, ho commesso errori sui quali oggi rovescio anche il peso di

una responsabilità etica. Anche il magistrato Pietro Calogero, accusandomi di mille cose rivelatesi infondate a mezzo di un teorema, ha probabilmente compiuto errori di cui è eticamente responsabile. E' comunque dal trattamento riservato ai vinti che si misura la dignità dei vincitori. Quando una fase storica è finita, come ha detto Francesco Cossiga, bisogna chiudere i conti. Questo riguarda anche i rei di terrorismo. Restituendo loro la cittadinanza, lo Stato chiude anche il capitolo dei suoi comportamenti devianti, e delle stragi. E' amaro, ma è solo un giudizio di fatto".

 
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