Come non ridurre il numero dei parlamentari
DUE CAMERE E UN CAMERINO
Ormai abbiamo capito: in questo Paese, ogni volta che si annuncia una riforma, la miglior cosa da fare è prendere un tranquillante. Specie in questi ultimi anni nessuna ha mantenuto i risultati che ci prometteva. Tripudiammo al crollo della Prima Repubblica con la sua corruzione, la sua inefficienza, la sua instabilità, e abbiamo avuto la Seconda, quella che ci sta sotto gli occhi, e non ci pare necessario aggiungere altro. Caldeggiammo la riforma elettorale maggioritaria che doveva liberarci dalla peste degli otto o dieci partiti che rendevano precaria qualunque maggioranza condannandola alla paralisi; e i partiti, sotto le mentite spoglie di »gruppuscoli , »movimenti , »unioni e non so cos'altro, sono diventati una trentina trasformando la paralisi in alzheimer. Quando fu annunziata la Bicamerale, le nostre riserve di fiducia erano ormai esauste, e il ginepraio di proposte, controproposte, distinguo, eccezioni, compromessi era tale da svogliarci perfino dal seguirne le vicende. Tanto, dicevamo, non ne ver
rà fuori nulla, guadagnandoci, da parte di qualche lettore, la taccia di pessimisti. E invece eravamo ottimisti. Perché la sola idea veramente nuova, o almeno comprensibile, venuta fuori da tutto questo chiacchiericcio è quella avanzata ieri da Leopoldo Elia: l'istituzione, accanto alle due solite tradizionali, di una terza Camera. E che Dio ci risparmi almeno questa. Elia è una persona (sono pronto a giurarci) assolutamente dabbene, ex di molte prestigiose cariche come la presidenza della Corte Costituzionale, la più alta istanza dello Stato; farcito di solida dottrina giuridica di cui ha tenuto cattedra universitaria (anche se le malelingue mormorano che questa gliela portò in dote la moglie); e già consigliere di Aldo Moro, cui era legato anche da una perfetta assonanza caratteriale. Il collega Stella ha scritto ieri che fu l'ideatore e codificatore dell'istituto della prorogatio su cui la Dc è campata per quasi cinquant'anni, facendone non un espediente, quale tutti dapprincipio pensavamo che dovesse ess
ere, ma un metodo, anzi metodo di governo e di potere. Ebbene, forse disturbato da certe voci, circolate quando la Bicamerale iniziò i suoi lavori, circa l'opportunità di ridurre gli effettivi del Parlamento, di cui »la gente e noi con essa non capisce perché debba essere articolato in due Camere, di cui l'una non è che un doppione dell'altra visto che sono adibite agli stessi compiti e mansioni; e tanto meno perché debba raggiungere un tasso di affollamento del tutto sconosciuto a tutti gli altri Paesi dell'Occidente, compresi quelli che hanno una popolazione tripla o quintupla della nostra; Elia ha voluto prendere le sue precauzioni, avanzando un suo personale progetto di riforma che consiste nella creazione di una terza Camera, che pudicamente dovrebbe chiamarsi non Camera, ma Commissione, e in cui trovino alloggio e ragioni di esistenza (e di sussistenza) uno scaglione di Senatori, i 20 Presidenti regionali, oltre i due provinciali di Trentino e Alto Adige, e 20 delegati di enti locali sfusi. Insomma
un camerino di servizio e di sgombero delle due Camere tradizionali. Ecco perché, all'annunzio di qualche riforma, prima ancora di sapere in cosa consista, ricorriamo al tranquillante e consigliamo ai nostri lettori di fare altrettanto. Forse, intendiamoci, fra quelle che la Bicamerale sta elaborando ci saranno anche delle proposte sensate e benefiche. Tutto sta a individuarle ed enuclearle dal confuso vocìo che le accompagna, e che, a quanto si vede, mette in imbarazzo anche i maggiori esperti della materia. Andreotti avrà anche baciato Totò Riina: non abbiamo elementi per poterlo escludere. Ma l'altro giorno quando, interrogato sulla riforma della legge elettorale, ha risposto (pressappoco): »Mi pare soltanto la ripetizione della cosiddetta leggetruffa che noi invano proponemmo quarantacinque anni fa , queste parole di semplice buon senso sembravano discendere dalle cime di una saggezza più alta dell'Everest.