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Segreteria Rinascimento - 26 giugno 1997
Da "LA REPUBBLICA" del 26 giugno 1997, pagg. 1 e 4

RIFORME SENZ'ANIMA

di EZIO MAURO

IL GRANDE domino che parte dalla Commissione Bicamerale e si allarga a dismisura fino a toccare con le sue tessere coperte la questione della giustizia, del sistema televisivo, del falso in bilancio, delle tangenti ai partiti e dell'autonomia di Bankitalia, ieri ha spezzato la sua catena d'ordine per un voto di ribellione della Camera. A sorpresa, un fronte anomalo (che vedeva un pezzo di An schierato insieme con la sinistra) ha bocciato la depenalizzazione del finanziamento illecito ai partiti, facendo saltare un pilastro non secondario del disegno di normalizzazione che oggettivamente accompagna il cammino della Bicamerale, sotto il segno del grande scambio: o comunque se questa parola non piace, ed è irrispettosa per coloro che stanno riformando la Costituzione della compensazione tra le ragioni nobili e alte della politica e gli interessi molto meno nobili ma certo corposi e forti che si agitano e premono sulla soglia della Bicamerale, senza avere diritto d'ingresso, almeno alla luce del sole.
Per q

uesto disegno d'ordine, normalizzatore, che vediamo ad occhio nudo dispiegarsi attorno alla sede istituzionale della Grande Riforma, non è necessario che ci sia un regista, e può darsi persino anche se ne dubitiamo che la sinistra non sappia ciò che fa la destra. Certo le tessere di questo disegno sono tutte schierate e si tengono l'una con l'altra, unite da un filo se non invisibile, sicuramente irresponsabile, perchè lega insieme problemi su cui si discute pubblicamente e questioni coperte, interessi politici legittimi e stati di necessità privati. NON CREDIAMO ad un grande accordo che pretenda di incastrare ogni piega al posto giusto come l'origami, la legislazione sui pentiti dell'articolo 513, la discussione sul reato di falso in bilancio, la depenalizzazione del finanziamento illegale, la bozza Boato, l'intesa sulle televisioni, come scalini preliminari e necessari per arrivare alla soglia dell'accordo istituzionale in Bicamerale. Non c'è bisogno di patti segreti e di scambi concordati. Per mettere i

nsieme e rendere coerenti e produttive vicende tra loro diverse, nate da ragioni diverse e per fini diversi, basta molto meno: basta quella che abbiamo chiamato la "forza delle cose".
Nonostante tutto ciò, questo giornale ha sostenuto l'esperimento di riforma delle istituzioni tentato dalla Bicamerale, per una serie di ragioni che ci sembrano di interesse generale. Prima di tutto, la necessità di adeguare il sistema costituzionale alla nuova fase che stiamo vivendo, dopo il tracollo della Prima Repubblica. Poi, l'opportunità di modellare le istituzioni su quella cultura bipolare che faticosamente cerca di prendere corpo nel Paese. Quindi, la possibilità di costruire una democrazia governante che sappia finalmente coniugare le garanzie e l'efficienza, con una sorta di risanamento istituzionale parallelo a quello finanziario. Infine, l'utilità di tagliare la strada alle tentazioni populiste e alle scorciatoie demagogiche, con semplificazioni pericolose della politica, perchè la Costituzione non si modifica

a spallate, bensì con un dialogo scoperto e leale in parlamento. C'è poi un'altra ragione che non è d'interesse generale, ma riguarda soltanto la sinistra, e il suo dovere di non lasciarsi rinchiudere in un ruolo di conservatorismo istituzionale (consegnando alla destra la bandiera della modernità costituzionale e dell'innovazione di sistema), ma di impegnarsi in un progetto riformatore.
Oggi queste ragioni sono tutte in campo, ma il progetto riformatore è appannato, contraddittorio, confuso e per la sinistra persino ambiguo. Stiamo ai fatti. Lo schieramento dell'Ulivo ha sostenuto la forma di governo del premier forte. Un colpo di mano della Lega, in Bicamerale, ha fatto passare invece la proposta del Polo sul semipresidenzialismo. A questo punto, la destra che è sempre stata presidenzialista ha cantato vittoria, la sinistra ha sostenuto la necessità di completare il modello francese che si andava delineando con un sistema elettorale a doppio turno. In realtà, due settimane dopo, non abbiamo nè un aute

ntico semipresidenzialismo, nè un vero doppio turno. Il Polo ha avuto paura di favorire l'Ulivo con il doppio turno, e piuttosto di compiere fino in fondo il progetto presidenziale con coerenza, si &è accontentato di agitarne la bandiera; il centrosinistra è stato dominato dall'egoismo miope dei partiti minori e dal loro istinto proporzionale di sopravvivenza e di piccolo ricatto permanente. Il risultato è un presidente eletto sì dal popolo, ma senza poteri, e dunque portatore di una contraddizione pericolosa tra un'investitura forte e una potestà debole. Al suo fianco, un premier ancora e sempre in balìa delle coalizioni e delle bizze dei partiti, e non un primo ministro leader di un'alleanza, capace di polarizzare il sistema politico e di dominare la sua maggioranza. Dunque una democrazia parlamentare, ma corretta in senso semipresidenzialista, però all'italiana, con la preminenza dei partiti sulle coalizioni e il bipolarismo che subisce un'altra battuta d'arresto.
Il risultato è deludente, il met

odo sconcertante. Si è arrivati per caso ad un modello che con tutta evidenza non convince fino in fondo i suoi stessi sostenitori, e da quel momento si è lavorato per svuotare quel modello, devitalizzarlo, correggerlo, stravolgerlo, in una perfetta applicazione tardodemocristiana. Con la sinistra battuta sia sulla forma di governo che sulla legge elettorale, e brava soltanto ad inventarsi giustificazioni postume per le sue sconfitte, pur di condurre la Bicamerale in porto. Di qualunque porto si tratti. In questo modo, il mezzo diventa il fine, e si capiscono anche le cene costituenti a casa Letta. D'Alema, che si è assunto in prima persona e totalmente il rischio della Bicamerale, è ovviamente interessato a consegnare un risultato in parlamento, e questo è comprensibile. Ma non può essere interessato a "qualsiasi" risultato. E non può giustificare ogni compromesso al ribasso, e ogni sconfitta delle proposte della sinistra con la sola figura del demiurgo, cioè con la sua presidenza, misura e garanzia di ogni

cosa. Forse questo atto di fede prepolitico può essere chiesto al Pds (anche se un'ala del partito si ribella); ma certamente non può essere chiesto all'opinione democratica, che capisce le difficoltà, ammette i compromessi, ma sa distinguere i baratti, riconosce gli interessi in campo e giudica comunque i risultati per ciò che sono. Sulla forma di governo e sulla legge elettorale, e cioè sul cesto principale della Bicamerale, c'è ormai poco da fare e la parola passa al parlamento. Ma questo risultato istituzionale modesto e confuso, lo diciamo apertamente, non merita scambi o compensazioni. La sinistra torni dunque ad essere se stessa e a difendere le sue ragioni nelle altre partite che si stanno giocando e si devono ancora giocare, a cominciare dalla giustizia, in Bicamerale e in parlamento. Solo così potrà perdere o vincere, come accade in politica, senza vendersi l'anima.



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