D'AMATO: MA IL CONTO NON ARRIVI ALLE AZIENDE
"Il rischio
è che si penalizzi ancora il sistema produttivo
di Daniele Manca
»Dio mio... Dio mio... e poi un lungo silenzio.
Pesa le parole?
"Lei non le peserebbe quando si discute di una riforma dello Stato sociale che già arriva con venti anni di ritardo, e che sta ponendo il Paese a un bivio tra modernizzazione e arretratezza? . Abituato a esprimere senza mezzi termini il suo pensiero, sembra più prudente questa volta Antonio D'Amato, ex leader dei giovani imprenditori, impegnato in Confindustria, e con alle spalle uno dei maggiori gruppi industriali del Sud.
Lei è prudente, ma intanto i sindacati fanno i vertici segreti col governo a Villa Pamphili...
»Ma cosa vuole che sia? Qualche settimana fa l'avevano fatto a Villa Madama. Si vede che in villa si chiariscono meglio le idee. Non è certo quello che mi preoccupa. Il governo faccia tutti i vertici e le cene che vuole, se serve a recuperare consenso. E a trovare il coraggio che servirebbe in questi momenti .
Perché, secondo lei Prodi e Ciampi non hanno coraggio?
»No, anzi, devo dire che perlomeno nell'approccio hanno dimostrato di voler affrontare il problema di uno Stato sociale che spende troppo e male .
E persino ottimista.
»Un momento, capire che si deve fare la riforma è un conto, un altro è fare qualcosa di decente. Se si fa come col patto del lavoro e si pensa che con una manciata di posti e finti impieghi si eviti l'esasperazione delle persone e di chi un lavoro non ce l'ha, stiamo freschi. Se poi basta una minaccia, per quanto velata, di sciopero generale per far scattare subito i vertici segreti... .
Palazzo Chigi ostaggio dei sindacati?
»No, un Palazzo Chigi che non ha alternative. Che deve fare questa riforma. Che sia ostaggio o meno lo si vedrà quando scopriranno le carte. Allora capiremo se si vuole rimandare, dilazionare i problemi, oppure liberare risorse per lo svilupo economico, perché senza sviluppo non c'è né occupazione né Welfare State .
D'Antoni e compagni intanto sono riusciti a far inserire il tema del lavoro e del Fisco nella trattativa...
»Facciano pure. Vede, il problema è capire con quali finalità sono stati inseriti. Se il governo ha capito che il problema non è fare in modo che si avvicini semplicemente il punto di pareggio della Riforma Dini, tanto di guadagnato .
Veramente a puntare il dito sulla Riforma Dini siete stati voi industriali.
»Che c'entra, quello è un problema. Ma dovrebbe essere chiaro che qui si sta discutendo di qualcosa di più ampio. Che si debbano finanziare con la fiscalità diffusa capitoli come l'assistenza, questa è cosa risaputa. Come pure che il sistema produttivo deve essere alleggerito di oneri impropri è altrettanto vero .
Sembra di sentire parlare Cofferati.
»Eh no. Le ripeto: qui nessuno ha scoperto ancora le proprie carte. Perché se l'obiettivo è lo sviluppo, bisogna vedere come ci si arriva. Capire chi paga, ad esempio .
Già, chi la pagherà questa benedetta riforma?
»Una cosa è certa, che se la pagherà ancora chi produce, non prevedo tempi buoni. Se, al contrario di tutte le nazioni occidentali, l'avviamento al lavoro lo pagano ancora le imprese, se sul costo del lavoro per il 3435% graveranno ancora oneri impropri contro una media europea del 25%, non si fa altro che far diventare nodi scorsi quei lacci e lacciuoli di cui parlava Guido Carli venticinque anni fa. Se insomma non si liberano risorse non si punta allo sviluppo. E senza sviluppo, non c'è equità sociale .