"GUERRA APERTA AL PATERACCHIO"
Segni: no al finto presidenzialismo
Dal leader referendario appello al Parlamento perché corregga la riforma
ROMA - "E' ora che questi partiti sentano la voce di chi non vuol mandar giù un pasticcio cucinato di nascosto a casa di Gianni Letta" dice Mario Segni all'indomani del sì della Bicamerale al "presidente all'italiana". L'uomo che con i suoi referendum demolì la legge elettorale della Prima Repubblica, la proporzionale fondata sul voto di preferenza, ormai è fuori dall'arena politica. Non è neanche deputato. Però continua a battersi per il presidenzialismo, per quello che lui chiama "il completamento della battaglia referendaria contro la partitocrazia".
Professor Segni, quando la Bicamerale imboccò la strada del semipresidenzialismo lei disse: "Questa è una giornata storica per il nostro Paese". Conferma?
"E no che non confermo. Questo non è semipresidenzialismo. E' una riforma salamonica".
Vorrà dire salomonica...
"No, proprio salamonica. Nel senso del salame. Una fetta a te e una a me. Un presidente eletto a te e un premio di maggioranza a me, tu spenni il capo dello Stato e io snaturo il doppio turno. Credevo che volessero davvero completare la Grande Riforma, ma devo ammettere che mi sbagliavo: quel semipresidenzialismo che era passato per sbaglio è stato svuotato, sterilizzato, evirato. Oggi siamo di fronte al tradimento della vittoria referendaria del 18 aprile '93. E' la rivincita dei partiti. Di tutti i partiti, grandi e piccoli, di destra e di sinistra".
Accanto a lei lo dicevano, allora, anche Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, entrambi presidenzialisti convinti. L'hanno tradita?
"Non hanno tradito me. Hanno tradito quelli che credevano che facessero sul serio. Hanno tradito gli elettori del Polo che vogliono il presidenzialismo vero. Avevano detto che dalla Bicamerale sarebbero usciti solo con l'elezione popolare del capo dell'esecutivo, e invece ne vengono fuori con l'elezione diretta di questo presidente che, come ammette onestamente Marini, non avrà nessun potere di governo e non andrà neppure ai vertici internazionali ma se ne starà a casa a tagliare nastri. Eleggeremo un garante: sarà il notaio più votato del mondo".
Loro le ribatterebbero che un presidente eletto dal popolo è comunque un grosso passo in avanti sulla strada del presidenzialismo. Non è così?
"Ma vede, qui non si tratta di difendere una formula astratta, un modello più meno perfetto di presidenzialismo. Noi abbiamo fatto i referendum elettorali per affidare ai cittadini la scelta di chi guida il Paese. E' una riforma dirompente, che infatti ha dato risultati straordinari nei comuni, dove gli elettori scelgono direttamente il sindaco. Con il governo nazionale ci siamo riusciti a metà. Adesso si torna indietro".
Lei vuol dire che l'elezione del presidente va contro lo spirito referendario?
"In questo modo sì, non c'è dubbio. Perché il cittadino vota per un presidente della Repubblica assolutamente privo di poteri di governo, e non può pronunciarsi sul nome di chi dovrà guidare il governo: quello lo decidono i partiti, come una volta, e lo cambiano quando pare a loro. Questo è il punto. Si nega al presidente il potere di sciogliere le Camere e lo si concede al partito dell'1 per cento che in qualsiasi momento può far cadere il governo e il Parlamento. E infatti i partitini sono tutti entusiasti di questa bella novità. Ecco perché io parlo di rivincita della partitocrazia. E' sintomatica la voglia di blindare le candidature a presidente: vogliono mettere ostacoli insormontabili per chiunque sia fuori dagli schemi dei partiti".
E se, nonostante tutto, il sistema funzionasse?
"Per i partiti può darsi pure che funzioni. La proporzionale ha retto per 48 anni, no? Ma io vedo le cose dal punto di vista dei cittadini. Mi ascolti: l'elezione popolare di chi non avrà nessun potere di guida politica del Paese o è una truffa nei confronti dei cittadini, oppure crea un sistema impazzito, con un capo dello Stato che rivendicheà inevitabilmente, una volta eletto, poteri più grandi di quelli che la Costituzione gli affida. Questa sì che rischia di essere una deriva plebiscitaria".
Perché Berlusconi e Fini hanno detto sì a questo "presidenzialismo evirato", come lo chiama lei?
"Credo che su Fini abbia agito la paura di un nuovo isolamento, e il desiderio di entrare nel nuovo arco costituzionale. Ma a lui, che si era coraggiosamente schierato per la Costituente, vorrei chiedere: valeva la pena di mollare su una coerente linea referendaria per mettere la firma su un accordo così pasticciato?".
E su Berlusconi, che idea s'è fatta?
"Bah, lui ha portato alle estreme conseguenze il patto con D' Alema. E alla fine ha avallato una riforma proposta dai popolari e sostenuta da Rifondazione. Questo non è un patto storico, ma uno storico pateracchio. Che delusione. Invece di una Grande Riforma stilata da una Costituente sotto gli occhi del Paese, portano a casa un pastrocchio messo insieme in una cena alla chetichella".
E adesso cosa farà? Lavorerà al referendum per far vincere il No?
"Non mettiamo il carro davanti ai buoi. Intanto vedo che per fortuna tante voci importanti si stanno levando contro questo pateracchio. Dal momento che a casa Letta è nato il fronte trasversale dei restauratori, bisogna creare il fronte trasversale dei riformatori. Questo imbroglio non deve passare. L'Italia che non ci sta si farà viva. Aspettate la prossima settimana e vedrete...".
A chi si rivolge? Ai riformatori del Polo o a quelli dell'Ulivo?
"Ne vedo molti, in entrambi gli schieramenti. Dobbiamo unire le forze di coloro che vogliono dare davvero agli italiani il potere di scegliere la persona che avrà la guida politica del paese. E batterci affinché il Parlamento cambi sapore a questa minestra immangiabile".
E se alla fine il sapore peggiorasse?
"Allora vorrà dire che dopo aver combattuto due battaglie per il Sì ne farò, per la prima volta, una per il No".
A questo punto, professor Segni, lei ha rotto con tutti: con la sinistra, con il Ppi, con la Lega e ora anche col Polo...
"Ma vede, io non sono un leader di partito. Non sono nemmeno un deputato. Sono soltanto un cittadino testardo che vuole portare fino in fondo la battaglia per trasformare la partitocrazia italiana in una democrazia moderna dove il giudice vero sia il cittadino e non il segretario di partito. Questa è stata l'unica bussola che ho guardato in questi anni. Poi, certo, ho commesso degli errori. Ma non ho mai cambiato la mia rotta verso le riforme".