TORMENTONI RADIO / L'EMITTENTE RADICALE
PANNELLA COLPISCE ANCORA
In quanto organo di partito riceve sette miliardi. E dieci per i servizi parlamentari.
All'anno. Ora la pacchia potrebbe finire. Ma Marco ha già trovato due soluzioni
di Carlo Gallucci
SOLO LA STRAORDINARIA PROpensione della politica italiana per il paradosso poteva partorire una radio che è contemporaneamente organo di partito e servizio pubblico; emittente di una lista che vuol abolire l'ordine dei giornalisti e fucina di una decina di giovani giornalisti regolarmente iscritti all'ordine; voce del movimento che si è battuto per la privatizzazione della Rai e oggetto di trattativa miliardaria per la confluenza nella medesima Rai. Solo i vizi della politica nazionale e quel vecchio campione di Marco Pannella, che appartiene pur sempre alla generazione delle "convergenze parallele" di Aldo Moro, potevano plasmare un mostro come Radio radicale: l'unico mezzo di comunicazione del pianeta a godere di una doppia sovvenzione pubblica. Sette miliardi l'anno circa, per i rimborsi come organo di partito. E altri dieci miliardi l'anno, per la convenzione con il ministero delle Poste e la radio a trasmettere i lavori del Parlamento. Solo per questa seconda voce la radio ha incassato negli ultimi tre
anni quasi 30 miliardi. Questa voce di finanziamento potrebbe però esaurirsi il prossimo 20 novembre, con la scadenza della convenzione tra il ministero delle Poste e la radio diretta da Massimo Bordin. Per questo, più che per i referendum persi, Marco Pannella ha l'onda storta e querela tutti quelli che
scrivono o parlano dei fondi della sua amata emittente. Nel nuovo contatto di servizio tra la Rai e lo Stato, di cui si discute proprio in questi giorni in commissione di vigilanza, è ben specificato che la rete radiofonica parlamentare deve essere fatta dal
servizio pubblico Rai. Di conseguenza il servizio radicalpubblico rischia di perdere la sua più cospicua fonte di entrata. I meriti di Radio Radicale sono storici e indiscussi, non solo da Pannella. Discutibile è invece il trattamento che le è riservato. All'origine c'è la norma (discutibile anch'essa) della legge Mammì in cui si
stabiliva che la Rai trasmettesse i lavori del Parlamento. La tv di Stato, per carenza di frequenze disponibili e per un'ovvia resistenza a sostituire su Radiotre le sonate di Beethoven con le sparate dei peones, non ha mai adempiuto a quest'obbligo. C'era però Radio radicale che questo lavoro lo faceva, e bene, dal 1981. Per sua scelta e gratis. Finché nel 1994, durante il governo Berlusconi, l'allora ministro delle Poste Giuseppe Tatarella non inserì in una delle numerose versioni del decreto salvaRai anche l'emendamento salvaRadio radicale (con i ricavi sono state ripianate le perdite e nel 1996 il bilancio è risultato per la prima volta in attivo). Ovviamente nel testo non esiste alcun riferimento esplicito al megafono di Pannella. Se ne fa solo un identikit minuzioso. La convenzione da dieci miliardi, specifica il decreto va stretta con una radio che si impegna a trasmettere, tra le 8 e le 21, almeno il 60 per cento del numero complessivo annuo di ore dedicate dalle Camere alle sedute d'aula. Tali trasm
issioni", stabilisce ancora la legge, "non possono essere interrotte, precedute o seguite per un tempo di trenta minuti dal loro inizio e dalla fine, da annunci pubblicitari o politici". C'era solo un'emittente in grado di reggere un peso simile, perché nata e cresciuta con questo compito: Radio Radicale. Il 21 Novembre 1994 la Convenzione è firmata dal ministro. Doveva valere tre anni, il tempo necessario per dare alla Rai la possibilità di realizzare la rete parlamentare pubblica. Compito non facile. Le frequenze disponibili sono tutte accaparrate dallo sciame di reti private che ronzano nell'etere. I canali pubblici hanno programmazione, ascoltatori, bilanci e costi noll compatibili con le indicazioni della convenzione. I sostenitori, palesi o invisibili, della radio hanno fatto il resto. D'altro canto nell'accordo elettorale tra Pannella e Silvio Berlusconi erano previsti finanziamenti "garantiti" per i radicali tali da poter sostenere anche i costi di gestione della radio. Il contratto era molto preciso
e prevedeva testualmente: "In caso di mancato conseguimento del quattro per cento sul piano nazionale da parte della Lista PannellaSgarbi, un contributo a titolo di rimborso delle spese elettorali pari a lire un miliardo e 200 milioni, nonché annualmente la somma di un miliardo 800 milioni; in caso di conseguimento