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Segreteria Rinascimento - 29 giugno 1997
Da "IL MESSAGGERO" del 29 giugno 1997, pag. 9

"VIA RASELLA LASCIAMOLA AGLI STORICI"

Il monito di Scalfaro. Prodi: ognuno rifletta e giudichi. Napolitano: "Decisione aberrante"

Le ferite della guerra/ un coro di critiche sul gip Pacioni che ha ordinato la riapertura dell'inchiesta sull'attentato del'44, definito un "atto illegittimo"

Roma - "Da un punto di vista storico mi pare assolutamente aberrante" dice il ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, senza entrare nel merito della decisione della magistratura di riaprire l'inchiesta su via Rasella. "Non c'è dubbio che si trattava di un atto di guerra", dichiarava il senatore a vita Paolo Emilio Taviani, che diresse la Resistenza in Liguria. "Una decisione sorprendente, ma che probabilmente ha un fondamento formale", la giudica l'ex ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli, che fu partigiano e torturato in via Tasso. "Un ragionamento a scoppio ritardato", lo definisce l'ex comandante partigiano Edagardo Sogno. Per il portavoce dei Verdi, Luigi Manconi, si tratta di "un tentativo grottesco e tragico di riscrivere la storia". Mentre marco Pannella si domanda: "Fu un atto legittimo, di legittimi soldati?" il presidente della Camera Luciano Violante, rilancia un appello a "superare le divisioni del passato attraverso una più esatta conoscenza degli avvenimenti." Anche il Presidente dell

a Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dal Canada, lancia un monito: "I commenti storici lasciamogli agli storici". Il presidente del Consiglio Romano Prodi così commenta: "A cinquantaquattro anni di distanza dall'attentato non so cosa possa dire un magistrato. Il giudizio deve venire dalla riflessione di ognuno". Su via Rasella - la cui azione è legata alle Fosse Ardeatine sembrava che fosse stato detto e scritto tutto, non era mai successo, in oltre mezzo secolo, che si chiedesse la riapertura dell'inchiesta: il gip di Roma Maurizio Pacioni ha deciso di riprendere le indagini considerandolo un "atto illegittimo di guerra", e dunque non archiviabile ma anzi necessario di "una più esauriente ricostruzione", dopo la denuncia di un fratello di una delle tre vittime civile dell'attentato (un bambino di 12 anni). Una decisione inaspettata al punto che, secondo il senatore del Pds Cesare Salvi, al ministro della Giustizia Flick "spetterà valutarla". "Penso che il ministro lo stia già facendo - aggiungo Salvi - non

può restare indifferente". Qualche giorno dopo l'azione di via Rasella ci fu, sempre a Roma, una riunione della "Giunta militare" partigiana durante la quale Giuseppe Spataro, per la Dc, propose che - onde evitare "contrattempi" - ogni iniziativa dei partigiani doveva essere preventivamente approvata dalla "Giunta". Vi si oppose il comunista Giorgio Amendola, insieme con Sandro Pertini e Riccardo Bauer del Partito D'Azione. "Significa praticamente arrestare ogni attività armata contro il nemico", ha scritto Amendola, rivendicandone la "piena e personale responsabilità". Amendola aveva visto la gendarmeria tedesca in assetto di guerra, e lo considerava una "provocatoria violazione dello statuto di città aperta": ora, la clamorosa decisione di riaprire il "caso" ripropone anche la questione se Roma fosse "città aperta", e non solo per la presenza del Vaticano. "Chi stabiliva che lo fosse?", si chiede il senatore a vita Leo Valiani, allora capo del Cln per l'Alta Italia, il quale spiega: "Non esisteva alcune

intesa in atl senso: se si esclude la posizione dell'ultimo comandante militare di Roma, non condivisa però dai tedeschi, tanto vero che agivano come volevano. Quel che conta è che non c'è mai stata una dichiarazione né di Hitler né di Churchill, né di Roorvelt, né di Satlin, che sancisse "Roma città aperta". Valiani ricorda anche una precisa frase di Churchill: "Uccidete più tedeschi che potete". Ma quelli di via Rasella, del battaglione Bozen, non erano italiani? "Non cambia niente - risponde - Valiani - e se fossero stati tedeschi era una ragione in più per sparargli addosso". "Mi pare assurdo mettere in dubbio la legittimità di un atto da guerra, a distanza di 53 anni", dice Remo Bodei, cattedra di storia della filosofia a Pisa, il quale tuttavia non si nasconde che ci furono "tensioni" all'interno delle formazioni partigiane. "Ma che non fosse lecito attaccare i tedeschi - precisa - mi sembra un'altra cosa. Mettere sullo stesso piano Priebke e chi organizzò via Rasella e un'operazione di maquillage st

orico a posteriori. D'altra parte tutte le operazioni di guerra sono discutibili. Ora prevale l'idea di una specie di unanimismo delle memoria, mentre le memorie dovrebbero restare distinte: sono una risorsa, senza fare di ogni erba un fascio". E che dice la "memoria" di colui che storicamente, il 223 marzo 1944, fu l'esecutore dell'azione di via Rasella, Rosario Bentivegna? Lui ha consegnato le sue memorie a libri come Actung banditen e Operazione via Rasella (pubblicato un anno fa). Lascia la parola ai suoi avvocati. Ma se gli si chiede se lo rifarebbe, risponde. "se dovessi rifare il partigiano, lo rifarei con al stessa determinazione".

 
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