OCCHETTO ALL'ATTACCO "BICAMERALE, HA VINTO IL PROGETTO DI CRAXI"
"Che pasticcio: ci dovevano portare a Parigi, ci hanno portato a Bogotà"
di STEFANO MARRONI
ROMA Ci dovevano portare a Parigi, e ci hanno portato a Bogotà: avevano in mente Mitterrand, e hanno fatto quello che voleva Craxi. Non conosce mezzi toni, la diagnosi di Achille Occhetto. Dalla Bicamerale sentenzia l'ex segretario della Quercia esce una soluzione che è "un pasticcio e un pericolo per la Repubblica", ma che legittima l'espressione fallimento ironizza il più illustre dei dissidenti pidiessini - "solo per il gap rispetto alle aspettative. Si è partiti con le note della marcia trionfale dell'Aida, e si era immaginato che il 30 di giugno del '97 dovesse essere la gloriosa giornata finale. E invece di certo non sarà nè gloriosa, né finale". Che non le sia piaciuto l'esito della Bicamerale mi sembra chiaro. Ma quali pericoli vede?
"Vede, Salvi presentò non per caso una bozza unica sul tema forma di governo. Si trattava di affrontare lo stesso problema come cioè il voto dei cittadini determina il governo scegliendo tra due strade diverse ma convergenti: premierato o semipresidenzialism
o alla francese. E invece un accordo esterno alla Bicamerale ha partorito una terza via: un presidente della Repubblica deprivato di poteri, e in particolare di poteri di governo. Questa cosa che chiamano pomposamente "presidenzialismo all'italiana" e in realtà sarebbe più corretto chiamare "alla sudamericana"...". Alla sudamericana? E che caudillo è, un presidente "deprivato di poteri"? "Un presidente con pochi poteri e pochi vincoli è una figura classicamente plebiscitaria". Plebiscitaria? "Esatto: una figura legittimata dall'elezione diretta e popolare, che farà valere la sua forza in modo anomalo, con le esternazioni continue, con gli scioglimenti del Parlamento, per così dire aspettando al varco le Camere. Non è una novità: Craxi aveva in mente esattamente questo progetto. E lo osteggiammo non per antipatia personale. Bettino voleva costruire dal Quirinale un "polo del presidente", voleva ricostruire la sinistra dall'alto, per così dire. Non ci piaceva, ma si capiva. Questo invece è un anche pasticcio".
Ma se è stato addirittura fatto capire che in questo modo non si corrono rischi "Di Pietro"..."Trovo sbagliato che si sia così insistito nello sbarrare la strada a Di Pietro: se uno ha i voti, li ha, e non gli si fanno leggi apposta... Ma, ripeto, questo modello sembra fatto apposta per far vincere un outsider: chessò, una grande personaggio della lirica...". E la legge elettorale? "La legge elettorale è lo sfondo entro cui si è costruito il vero, grande patto a garanzia del pasticcio: coinvolgendo anche Cossutta... Vede, alla Bicamerale i cattolici si sono presentati, a differenza che nel '46, come una piccola pattuglia. Ma paradossalmente stavolta hanno avuto il dominio assoluto del campo. Ed era logico, che con il pensiero laico impegnato soprattutto nella ricerca di soluzioni a problemi di parte se non addirittura privati, a vincere fosse l'unica cultura organica. I cattolici prima hanno determinato uno schema di premierato debole, creando le condizioni perchè fosse battuto. E poi hanno cambiato cavallo
, recuperando Fini al ruolo di baluardo della soluzione semipresidenziale acquisita. Cosicchè, Andreotti ha ragione: sul piano elettorale siamo dentro il modello perseguito dalla Dc fin dalla legge truffa. E non è un contrappeso al presidente? "La legge elettorale punta a contemperare il ruolo del presidente introducendo di fatto, con il doppio turno di coalizione, l'indicazione del premier. Ma è un vero capolavoro questo sì! - "all'italiana": semipresidenzialismo più semipremierato. Potremmo aver persino il privilegio di due "partiti" all'interno della stessa maggioranza, il partito del presidente e il partito del premier. Una complicazione in più, di cui si sentiva effettivamente il bisogno...". Teme anche lei una ulteriore frammentazione dei partiti? "La legge elettorale è una soluzione perfetta per Bertinotti, per quelli a cui piace questo mondo antico con i comunisti, i socialdemocratici, i cattolici, i liberali, i fascisti... Per chi invece voleva un rimescolamento di carte non è un buon risultato. Il
bipolarismo fa un passo in avanti, ma rigidamente sulla via di una coalizione tra partiti, e con tutti gli inconvenienti che conosciamo. Aggiungo che fa parte della vittoria dei cattolici anche il rapporto inquietante tra forma di Stato e assetto delle istituzioni. La sinistra è entrata in Bicamerale con alle spalle una solida cultura monocameralista, e ne esce con tre Camere e un Senato dai poteri pasticciati. Fantastico...". A che si riferiva, parlando prima di "interessi privati"? "In Bicamerale mai è emerso qualcosa che somigli allo spirito costituente. Si è partiti dall'idea "o fanno l'accordo D'Alema e Berlusconi o niente". Risultato, alla fine la mediazione è sfuggita persino dalle mani del presidente della Bicamerale, costretto a suggellare un accordo fatto da altri per non dichiarare il fallimento della sua creatura". Perchè è successo questo, onorevole Occhetto? "Perchè è prevalsa l'attenzione per le alleanze. E invece, fatto salvo il governo, occorreva scompaginare, lasciar via libera agli outsid
er, indurre chi ha maggiori responsabilità di leadership a fare un passo indietro. E dicendo questo vorrei chiarire l'equivoco sorto a Castellanza: perchè non si tratta di "non far parlare D'Alema" o Berlusconi, ma di pregarli di ascoltare, senza coinvolgere le loro responsabilità". E Fini? "Ha rinunciato a far la parte del signor No trasformandosi nel vero garante del nuovo accordo. Per ragioni di merito che ho già illustrato, credo, e perchè per un uomo del suo passato non è poco, scrivere in prima persona questo finale di partita". Come giudica la partita giocata dal suo partito? "Il Pds, partito di maggioranza relativa, ha dato tre battaglie campali: sul premierato, sul doppio turno e sull'assetto della Camera delle Regioni. E' stato sempre sonoramente battuto. E non è poco, per il partito che esprimeva il presidente...". Come se lo spiega? "Si è avvertita una profonda debolezza culturale: il Pds è ancora a mezza strada tra voglia di rinnovamento e antichi, e anche sani, pregiudizi. Cosicchè nelle fasi d
i difficoltà prevale la ricerca del risultato immediato, e scopre il fianco. Paghiamo il prezzo di errori noti, di un primo congresso finto in cui non si parlò di riforme, e di un secondo congresso la cui dialettica fu offuscata dal compromesso con gli ulivisti. Per questo, se non si vuole ancora "tragediare"...". Tragediare? "Sì è, fare sceneggiate, drammi, facendo passare ogni critica come una richiesta di schierarsi pro o contro il segretario... Riconvochiamo l'assemblea congressuale, facciamo la discussione che ci serve: è un fatto nuovo ma non un trauma, un fatto democratico che può creare le condizioni di un confronto leggibile anche dalla base". Torniamo alle riforme. Ci sono ancora margini per una correzione parlamentare, come credono Maccanico e Dini? O raggiungerà anche lei il fronte del No con Segni e Di Pietro? "Il Parlamento non è il terreno migliore per riformare la riforma. Ma come parlamentare ho il dovere di dare battaglia, decidendo solo alla fine sul referendum. E' positivo il ruolo, anc
he deterrente, di chi sta fuori. Ma oggi è doveroso che le culture diverse presenti in Parlamento si organizzino trasversalmente, come è giusto in un processo costituente. So che è difficile, la sconfitta è probabile. Ma mi sembra meglio questo, che partecipare a una vittoria che è una sconfitta per la Repubblica".