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Segreteria Rinascimento - 29 giugno 1997
Da "IL CORRIERE DELLA SERA" del 29 giugno 1997, pagg.1 e 6

LA GRANDE RIFORMA DEI COMPROMESSI

I limiti di nuovi costituenti

Di Ferruccio De Bortoli

E' davvero un peccato che nel momento in cui il Paese si avvicina al traguardo europeo, cogliendo risultati inaspettati sotto il profilo economico (e alcuni meriti sono da riconoscere lealmente al governo Prodi), la Commissione bicamerale per le riforme concluda i suoi lavori con il peggiore dei risultati. Un peccato mortale. La società civile ed economica converge verso l'Europa, il sistema politico, al contrario, sembra divergere, ripiegato pericolosamente su se stesso, preoccupato più di affermare la centralità dei partiti che di realizzare una vera alternanza nella stabilità e nell'efficienza di governo.

Domani la Commissione presieduta da Massimo D'Alema esprimerà il giudizio finale sul lavoro compiuto in cinque mesi di attività. Poi saranno presentati e discussi gli emendamenti ai testi base. In seguito, a questo punto nel '98, Camera e Senato esamineranno e voteranno, in doppia lettura, i testi finali, soggetti a referendum confermativo, prima della definitiva riforma costituzionale che entrerà in vigore, se tutto andrà bene, fra due o tre anni. La delicatezza e la complessità della procedura sono qui ricordate per sottolineare la solennità dell'adozione di diverse forme di Stato e di governo, ma anche per richiamare l'esigenza di un'indispensabile decantazione del dibattito, con il necessario ripensamento anche su quelli che sembrano, allo stato attuale, punti acquisiti. Su queste colonne Giovanni Sartori e Angelo Panebianco hanno già espresso nel merito critiche ferme e puntuali sulle quali sarebbe opportuno si aprisse un confronto sereno, senza quei toni astiosi con i quali D'Alema, Berlusconi e altr

i "costituenti" hanno accolto riserve e distinguo: com'è sterile la polemica scatenata contro i professori ai quali i politici sembrano voler conferire solo parti da vestali, da coristi o, come vorrebbe De Mita, da cartomanti. E' comprensibile l'atteggiamento del presidente della Commissione quando sottolinea l'importanza del risultato raggiunto: mai prima d'ora una Bicamerale era riuscita a trasmettere un testo al Parlamento. Ma, trattandosi di una riforma costituzionale, ossia di regole di convivenza civile e politica che dovranno valere, si spera, per decenni, appare doveroso un riesame complessivo compiuto con piena libertà di coscienza e di giudizio, svincolati da interessi di parte e opportunità del momento.

Il compromesso della Camilluccia (casa Letta, braccio destro di Berlusconi, luogo della famosa cena fra leader, e ormai monumento nazionale) è un composto inorganico di semipresidenzialismo, maggioritario, proporzionale e federalismo, in una miscela del tutto casuale. Ma, peggio, appare il prodotto residuale di un "processo costituente" con una lista di priorità piuttosto curiosa, se non inquietante, per un Paese moderno che si accinge a ridisegnare le proprie leggi fondamentali. Prima sono state soddisfatte alcune esigenze di parte: una soluzione allo psicodramma postdemocristiano, riassumibile nell'equazione "esserci e contare possibilmente come prima"; una serie di garanzie indirette su giustizia ed emittenza televisiva per il leader di Forza Italia (non sarà che il conflitto d'interessi funziona di più quando il detentore sta all'opposizione?), la legittimazione democratica e il definitivo sdoganamento per Fini, la preoccupazione di D'Alema di non fallire la propria missione salvaguardando la maggioranza

di governo. La sensazione è che tutto il "resto", forma di Stato, forma di governo e legge elettorale, abbia subito il peso di queste preoccupazioni di fondo. Comprensibili, se si vuole, ma poco costituenti. Non è stato scelto con chiarezza né un sistema semipresidenziale, né un premierato forte e il compromesso fra due modelli vede all'orizzonte una sicura, e fatalmente conflittuale, "coabitazione all'italiana". Un presidente eletto a suffragio universale al quale poteri e responsabilità andranno sicuramente stretti e che avrà la tentazione d'interpretare la volontà di chi lo ha eletto anche contro le scelte della stessa maggioranza di governo (che avrebbe fatto Cossiga in queste condizioni? E se arrivasse Di Pietro?). Il doppio turno è fraudolento: sono in realtà due turni unici, prima si scelgono i candidati di coalizioni precostituite e poi ci si limita ad assegnare a una di queste un premio di maggioranza. La governabilità è limitata da un potere di ricatto delle forze minori ancora maggiore. E' vero c

he è prevista una significativa riduzione del numero dei parlamentari, con una corsia monocameralista per molte leggi, ma appare poco comprensibile la creazione di una terza Camera, una Commissione delle autonomie formata da senatori, presidenti delle regioni e rappresentanti degli enti locali. L'estensione della possibilità dei ricorsi alla Corte Costituzionale rischia poi di trasformare la Consulta, paralizzandola, in un altro grado di giudizio, in una materia, la giustizia, dove non si è trovato di meglio che rinviare tutto votando una versione assolutamente vaga della bozza Boato. E, infine, il federalismo, formula per ora incerta, nella quale la struttura di regioni, province e comuni mantiene e rafforza la propria rigidità, in potenziale conflitto con le amministrazioni centrali, e con possibili conseguenze negative sull'efficienza degli enti locali e sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini. Ossigeno per i separatisti.

Sono tutte considerazioni che dovrebbero indurre, lungo la via parlamentare, a ritrovare un reale spirito costituente, lasciando da parte egoismi e tatticismi, piccoli e grandi poteri di ricatto, nostalgie e bassezze da Prima Repubblica. Una nuova Costituzione non può essere la sommatoria di difetti e convenienze: o è un'architettura coraggiosa per governare meglio, salvando la democrazia rappresentativa (e non solo il sistema dei partiti) oppure è meglio lasciar perdere. Quella di mezzo secolo fa, nonostante tutto, aveva firme migliori.

 
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