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Partito Radicale Rinascimento - 1 luglio 1997
da "IL GIORNALE"

IL DIRITTO ALLA DIFESA

Di Iuri Maria Prado

Un radicale difetto della giustizia italiana consiste ancora nella diffusa incapacità di capire che il diritto della difesa, dell'imputato, addirittura del colpevole accertato è, oltre e forse piuttosto che un diritto suo proprio, un diritto di tutti. Che l'indagine sia accurata ed efficiente senza prolungarsi in danno di chi la subisce e senza frutto per le esigenze di giustizia; che le restrizioni della libertà siano davvero indispensabili e non semplicemente utili; che il processo si svolga correttamente e nel rispetto pieno del contraddittorio; che insomma l'azione penale sia rispondente, congrua, non insultante, non è un diritto dell'imputato particolare, non è un interesse che tutela quella posizione, quel cittadino, ma è un diritto mio, un mio interesse, il cui sacrificio già direttamente pregiudica me, oltre che l'occasionale vittima dell'ingiustizia.

E si tratta del diritto personale e di ognuno di vivere in un Paese in cui non si indaga, né si arresta né si processa ingiustamente. Si tratta del diritto di tutti a che sia risolutamente esclusa, o almeno rigorosamente limitata, la possibilità che un innocente sia privato senza motivo della propria libertà e della propria dignità. E si tratta ancora, fin qui, del minimo: perché è pure un diritto mio, e cioè di ogni cittadino dotato di timido senso civile, che non solo l'innocente, ma anche il sicuro colpevole sia comunque accertato tale secondo ogni garanzia nonché, poi, trattato in modo civile e anzi con una cura particolare, siccome già lo si priva di quel bene impagabile che è la libertà.

Tanto discutere non servirà, se non cominceremo a capire che la bontà della giustizia, la civiltà della giustizia, l'umanità della giustizia, non consistono solo nell'attenzione con cui si discrimina la responsabilità dall'innocenza. Quelle caratteristiche della giustizia hanno prima di tutto un senso quando sono riferite proprio alla colpa, alla responsabilità, ed è quel senso che invece manca del tutto. Un piccolo passo forse è stato fatto: si capisce che travolgere la vita di un innocente è inammissibile, e meriterebbe un risarcimento che, per quanto elevato, rimarrebbe simbolico a confronto dell'irreparabilità di quel danno. Ma il passo ulteriore, e che è altrettanto necessario compiere, consiste nel capire finalmente che il colpevole ha suoi diritti che la colpa non cancella. E capire però, anche qui, che è diritto non solo di chi si rende responsabile di un delitto, ma diritto mio, di tutti, vivere in un Paese civile proprio perché tratta civilmente chi delinque. Se per giustizia non si intende solo il

modo in cui essa è amministrata, ma il complesso dei rapporti culturali, psicologici, emotivi, politici stabiliti reciprocamente tra la cittadinanza e l'agire di quell'amministrazione, allora è purtroppo evidente come quel passo ulteriore la sensibilità comune non l'abbia ancora compiuto. E diciamo che è difficile che ci riesca finché sarà "normale" vedere in televisione o ritratti sui giornali cittadini ammanettati. Finché ascolteremo i discorsi di certi arrestatori di professione, i quali allargano le braccia di fronte all'"inevitabilità" di quegli strumenti senza tuttavia nascondere il compiacimento di poterli usare e di averli usati "per il trionfo del bene"; finché si continuerà a considerare la gogna, l'arresto strepitoso, la tortura del carcere, insomma il "male" inflitto al colpevole, come un inevitabile e in fondo anche "giusto" modo di ripagare la colpa, questo non sarà un Paese che pretende, e dunque tutela, il diritto a una giustizia civile. Quando invece gli innocenti reclameranno per sé, come

diritti propri, i di ritti dei colpevoli, allora avremo fatto il passo.

 
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