"NO AI COLPI DI SPUGNA"
La vedova Calabresi: voglio la verità
Signora Gemma Calabresi, adesso che Toni Negri è tornato da Parigi, si riparla di chiudere con gli anni di piombo. C'è chi ripropone l'indulto per i detenuti politici. E' d'accordo?
"Sarebbe un colpo di spugna. E lo dico non perché sono la vedova del commissario Luigi Calabresi. Non voglio parlare del mio caso personale, ma credo che tutti gli italiani abbiano il diritto di sapere cosa sia successo negli Anni 70, perché si ammazzava per ideologia".
Il suo è un "no" senza appelli?
"Io non voglio che la gente stia in carcere. Dopo tanti anni, dopo venti e passa anni, molte persone sono cambiate, sono diverse. Lo so che non sono più quelli di allora. Ma io voglio solo che emerga la verità, che ognuno si assuma le sue responsabilità. Non è giusto chiedere sempre e solo il perdono dei famigliari delle vittime. Bisogna che chi è in carcere, chi è stato protagonista di quegli anni, abbia il coraggio di mettere in chiaro le cose com'erano".
Le basta questo?
"Devono fare un mea culpa. Devono dire la verità storica senza travisare i fatti. E non mi sembra che stia succedendo. Poi si potrà capire quello che è successo, perdonare anche". Dimenticare?
"Questo no. Mio marito è stato ucciso venticinque anni fa. Non potrò mai dimenticarlo. Così come non potranno dimenticare i miei figli".
Insomma, per lei è troppo presto pensare a provvedimenti di indulto o di grazia?
"Io capisco che queste persone vogliano poter vivere nel loro Paese, vogliano essere libere. Ma io non posso accettare che non si dica la verità storica, anzi che la si falsifichi. E poi c'è qualcuno che, dopo tutto quello che ha fatto, spera ancora che gli si dica pure ''grazie''".
Crede che la sua sia una posizione condivisa dagli altri famigliari delle vittime?
"Non c'è solo il problema dei famigliari...".
Certo, ma crede che siano d'accordo con lei?
"Qualcuno sicuramente no. C'è chi è molto più rigido di me, chi non vuol sentir ragioni, dopo aver perso un famigliare. Io sono sempre stata per il dialogo. Sin dal primo momento, se posso fare un accenno a quello che è successo a me, ho sempre detto che non sarei stata contraria a un provvedimento di grazia. Sempre che lo avessero chiesto. Non mi rimangio niente, ma non voglio che a pagare, ancora una volta, siano sempre gli stessi".
Qualcuno però sostiene che dopo venti anni la guerra è finita. E quando finisce una guerra si devono rendere i prigionieri...
"Io non sono mai stata in guerra. E neanche mio marito. Sono sicura che non erano in guerra nemmeno i professori universitari, i dirigenti d'azienda, anche i capiufficio che sono stati ammazzati davanti a casa o all'ufficio... Potevano fare anche un lavoro che non piaceva, ma non si può pensare che l'omicidio sia una soluzione".
Omicidi politici...
"L'omicidio politico è molto più grave dell'omicidio comune, è la guerra civile. No, non ci sto a questi discorsi. L'ultima guerra che conosco io è finita nel 1945".
Quindi se il presidente Scalfaro, o il presidente Prodi, o il ministro Flick dovessero decidere qualche provvedimento a favore dei detenuti politici, lei farebbe sentire la sua voce. Giusto?
"Io non ho mai voluto polemizzare, non volevo parlare neanche ora. Ho seguito anni e anni di processi per l'uccisione di mio marito evitando di prendere posizione, di entrare in conflitto con quello che veniva detto in aula e anche fuori dall'aula. Alla fine, dopo una sentenza definitiva che affermava che erano loro ad aver ucciso mio marito, ho pure detto che non sarei stata contraria a un provvedimento di grazia. Ma dovevano essere loro a chiederla".
Quindi "sì", ma a determinate condizioni?
"Io dico solo che sarebbe non giusto, per paura, far passare un vero colpo di spugna senza che queste persone abbiano spiegato cos'avevano in mente, cosa li spingeva ad uccidere e perché".
Fabio Poletti