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Partito Radicale Rinascimento - 2 luglio 1997
da "Repubblica" pag. 1

MA VI CHIEDO

PIU CORAGGIO

di LAMBERTO DINI

Il ministro degli Esteri ha inviato a "Repubblica" una

letteraappello a Berlusconi, D'Alema, Fini e Marini

LE NOTE discordanti che hanno accompagnato la chiusura

dei lavori della Bicamerale, e che hanno riguardato in modo

trasversale praticamente tutte le forze politiche, inducono a

porre alcune domande sull'adeguatezza e l'efficacia dei

risultati raggiunti. Pur senza indulgere a sterili velleitarismi, mi

chiedo e vi chiedo, in che modo senza accontentarci di

soluzioni basate unicamente sulla ricerca del minimo comune

denominatore possiamo migliorare l'intesa e corrispondere

meglio alle attese dei cittadini in tema di stabilità e di

governo efficiente.

NELLO stesso tempo, lancio un appello a collaborare

strettamente a tal fine in Parlamento, mettendo da parte ogni

interesse individuale a beneficio di quello collettivo, per

perseguire quell'accordo alto che ispirò il varo della

Bicamerale e che è il solo in grado di assicurare al Paese

istituzioni all'altezza anche delle sue crescenti responsabilità

internazionali.

1) La Bicamerale doveva scegliere fra semipresidenzialismo

e premierato forte. E stata preferita la prima soluzione. Ed è

già una importante scelta, diciamo, di principio. Spetterà al

Parlamento definirla compiutamente. Conviene, tuttavia,

chiarirci fin da ora le idee sull'intento animatore e lo scopo

essenziale di questo aspetto della revisione costituzionale.

Se la Bicamerale ha ritenuto di dover optare fra

semipresidenzialismo e regime del primio ministro, è perchè

era investita del mandato di proporre alle Camere un tipo

credibile di democrazia maggioritaria, conformemente alle

scelte che, per via referendaria, i cittadini italiani avevano

compiuto nel 1993. Ecco il punto da tenere fermo, se

vogliamo rimuovere gli equivoci che possono minare la

riforma alle basi. Il bipolarismo, dunque. Da noi, esso è

ancora iniziale, e si tratta di consolidarlo. Si dirà che non

siamo maturi per un bipartitismo nettamente configurato.

D'accordo. Dobbiamo, però, invertire la tendenza al

frazionamento dei partiti.

La democrazia maggioritaria funziona, infatti, quando si

formano due grandi coalizioni elettorali capaci di alternarsi

effettivamente al potere. Solo allora la maggioranza di

votanti è in grado di scegliere quale delle due coalizioni

regge il Paese. Lo schieramento partitico va semplificato per

attribuire decisiva importanza al concreto esercizio della

sovranità popolare mediante il diritto di voto. Questa è la

logica alla quale deve, coerentemente, rispondere sia il

sistema di governo, sia quello per l' elezione della Camera.

2) Il semipresidenzialismo soddisfa le esigenze della

riforma. A certe condizioni, però. Non perdiamole di vista.

L'elezione diretta del Presidente della Repubblica non può

essere un semplice rito della democrazia. A giustificarla è la

posizione costituzionale riservata in regime

semipresidenziale al Capo dello Stato, il quale è investito,

insieme con il tradizionale ruolo di rappresentante dell'unità

nazionale, moderatore delle istituzioni e garante della loro

continuità, del potere di ingerirsi nella sfera della politica

attiva, sia pure dell'alta politica. Il vero

semipresidenzialismo lo troviamo solo come in Francia

dove il Capo dello Stato ha funzioni di governo e dispone

dei mezzi per poterle esercitare.

3) Ora, non si tratta di adottare in blocco il

semipresidenzialismo di tipo francese, ma di adattarlo

opportunamente al nostro caso. Quel che è essenziale, è che

al Capo dello Stato siano attribuite funzioni di governo.

Quante e quali, rimane da vedere. Nessuno, per esempio,

pensa a introdurre uno speciale potere presidenziale per le

emergenze istituzionali, come è previsto in Francia. Deve

esservi, però, chiarezza e certezza di attribuzioni. Occorre,

ma non basta, configurare le ipotesi in cui gli atti del

Presidente della Repubblica sono sottratti al vincolo della

controfirma ministeriale. Il Consiglio supremo per la politica

estera e la difesa è presieduto, secondo il testo licenziato

dalla Bicamerale, dal Capo dello Stato e va concepito,

senza ambiguità, come una vera e propria struttura di

governo. Il potere di scioglimento delle Camere va, poi,

conferito al Presidente della Repubblica in via generale,

salve le limitazioni di ordine temporale che concernono

l'ultimo semestre del suo mandato o che sono disposte per

garantire la durata minima della legislatura.

La formula passata in Bicamerale è, invece, riduttiva: le

Camere possono essere sciolte solo quando il governo è

sfiduciato e negli altri casi in cui è tenuto a dime ttersi, che

sono tassativamente elencati. Il potere di scioglimento è,

però, un naturale appannaggio del Capo dello Stato eletto

dal popolo: è un potere indispensabile non soltanto per la

moderazione dei rapporti fra Camere e governo, ma anche

per la necessaria libertà di apprezzamento che spetta al

Presidente nello sciogliere i nodi della sua eventuale

"coabitazione" con il Primo Ministro. Guardiamo, del resto,

in faccia la realtà italiana. Il nostro Paese è avviato al

bipolarismo a ogni livello delle competizioni elettorali, e

viene acquistando la coscienza della democrazia diretta

come regola e costume della vita politica. Chi è scelto dalla

maggioranza governa. Se il Presidente eletto dal popolo

resta privo di attribuzioni adeguate al suo ruolo, vi sarà al

vertice dello Stato un organo esposto al rischio di scottanti

contraddizioni: legittimato dall'investitura maggioritaria,

delegittimato dall'insufficienza dei poteri di decisione. Se il

Presidente ha la stoffa e l'eloquenza del grande

comunicatore, potrà accendere le aspettative degli elettori,

che credono di affidargli il proprio destino, ma poi trovarsi

costretto a deluderle. Se non può sciogliere le Camere in cui

è insediato un governo che gli è ostile, il Presidente farà la

fine dell'inascoltato "grillo parlante", a meno che non sappia

"mobilitare" le masse.

4) Non scivoliamo, quindi, nell' errore di assumere che

l'elezione diretta conferisca da sola al Presidente non si sa

bene quale invincibile potere di fatto. E un errore che può

generare altri abbagli. La Bicamerale ha addirittura ridotto i

poteri attualmente attribuiti al Capo dello Stato con riguardo

allo scioglimento delle Camere. E un compromesso per

contenere il semipresidenzialismo nelle strettoie di un

parlamentarismo di altri tempi? I compromessi si giustificano

quando apportano un utile contributo per allargare il

consenso sulle sceltechiave della riforma. Questo

compromesso non è, però, né costruttivo né coerente con il

regime politico che si vuole istituire.

5) In conclusione, il semipresidenzialismo è stato preferito

all' altra proposta, il premierato forte, che avrebbe eliminato

il dualismo dal vertice dell'esecutivo, conferendo la guida del

governo esclusivamente al Primo Ministro. Anche questa

sarebbe stata una schietta riforma di democrazia

maggioritaria. Occorreva adottarla, s'intende, con una legge

elettorale che incentivasse le coalizioni, assicurando la

nomina a Primo Ministro del leader della coalizione vincente.

La stabilità del governo preferito dal corpo elettorale

avrebbe potuto essere garantita con il prevedere lo

scioglimento anticipato della legislatura in caso di sfiducia o

rottura della maggioranza uscita dalle urne.

Quale senso avrebbe mai ricorrere al semipresidenzialismo,

ma poi annacquarlo per lasciar sopravvivere il regime della

Prima Repubblica, in cui spariscono le garanzie per la

stabilità del governo? Si proclamerebbe una grande riforma

che non c'è. Il pensiero corre alle fatidiche vittorie dell'

Asse, annunziate a titoli cubitali nei giornali del regime

fascista, di cui, ci ricorda Piero Calamandrei, gli strilloni

fiorentini dicevano sottovoce: "Non ci credete". La verità è

che le regole del gioco sono, nella democrazia maggioritaria,

dure e forse scomode. Dobbiamo, tuttavia, accettarle senza

interessati calcoli di parte. Altrimenti ci troveremo al punto

di prima, e con molti problemi in più.

 
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