SE IL GIUDICE FA LO STORICODI ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Il cerchio finalmente si è chiuso: con la decisione del gip romano di proseguire le indagini sull'attentato di via Rasella non c'è più una sola fase della storia della Repubblica che non sia stata chiamata a dare conto di sé ai sensi del codice penale. L'intero mezzo secolo di vita pubblica italiana che ci sta alle spalle è virtualmente accampato nelle aule di giustizia.
Si comincia per l'appunto dalle più lontane premesse resistenziali: via Rasella, Fosse Ardeatine, Foibe: tutti altrettanti fascicoli giudiziari ancora aperti; si passa quindi agli anni Cinquanta con »Gladio (quella ufficiale, ma ce n'è anche, credo, una »rossa ); è poi la volta di piazza Fontana, delle »stragi , dei »servizi deviati , dei misteri del terrorismo, dell'antiterrorismo e dell'affare Moro: su tutto ciò un gran numero di giudici istruttori è ancora al lavoro; arriviamo quindi alla polposa stagione del Caf e di Mani Pulite con Craxi, Andreotti e mezza classe politica dell'epoca da anni sul banco degli imputati e fonti di una vera e propria cascata di procedimenti giudiziari; eccoci infine alla seconda Repubblica, con Berlusconi e il suo clan anch'essi oggetto di infinite indagini e procedimenti giudiziari in via di espletamento; ma non solo: anche D'Alema è sotto inchiesta e così il presidente del Consiglio in carica: anche Romano Prodi, come si sa, ha infatti il suo bel rinvio a giudizio sospeso
sul capo.
Tutto questo non è casuale, non può esserlo. Né può voler solo dire come molti pensano che in Italia si è realizzato lo straordinario incontro di una valanga di eventi criminali con una schiera di giudici impavidi. Forse c'è stato anche questo, ma c'è sicuramente dell'altro e di più.
Questa marea giudiziaria che tiene in permanenza mezzo secolo di Repubblica con l'acqua alla gola è la manifestazione, io credo, del rapporto profondamente anomalo che l'Italia repubblicana ha stabilito storicamente con la sfera della politica. Questa anomalia è consistita in un'enfasi fortissima posta sulla politica, sulla sua centralità anche culturale, alla quale però, all'apparenza contraddittoriamente, ha corrisposto una pressoché totale assenza di istituzionalizzazione della politica, cioè di accettazione da parte dell'opinione comune del fatto che la sfera della politica fosse il fattore realmente legittimante delle istituzioni pubbliche.
Un poderoso investimento nella politica è stato un tratto di tutta quanta la nostra storia nazionale unitaria, così come lo è stata anche una natura fortemente ideologica, e perciò divisiva, della sfera politica italiana. La Repubblica si è riallacciata con decisione a queste caratteristiche, per esempio rivendicando la natura tutta politicoideologica della propria origine (l'antifascismo) nonché dandosi una Costituzione che era in pratica, nella sua intera prima parte, un vero e proprio programma politico di trasformazione sociale.
La democrazia per giunta una democrazia radicatasi in Italia in concomitanza con la guerra fredda ha infine fatto il resto estendendo, come è suo costume, la mobilitazione politica ai più larghi strati. Sta di fatto che nel nostro Paese è diventato pressoché impossibile tenere la politica fuori da qualunque cosa. A cominciare dalle vicende del nostro passato. In nessun altro Paese come da noi la storia è legata alla politica, per la memoria si richiede un'apposita »politica della memoria , ogni rimessa in discussione del passato scatena immediatamente l'accusa di occulte finalità politiche; in nessun altro Paese occidentale come in Italia alla lontananza del tempo non viene riconosciuto alcun effetto catartico e tanto meno di oblio. Il tempo non serve a distanziare la società italiana dal suo passato perché la politica provvede a rendere tutto attuale, a lasciare tutto per sempre all'ordine del giorno. Il modo in cui certi magistrati trattano la storia del Paese, facendola oggetto delle loro insulse inizia
tive giudiziarie, è il perfetto omologo del modo monopolistico e proprietario in cui quello stesso passato trattano gli ex partigiani dell'Anpi, impegnati da decenni a vaticinare il fascismo nel nostro futuro più prossimo.
Ma, come dicevo, quest'enfasi smisurata sulla politica e della politica ha sortito un effetto assolutamente opposto a quello della sua effettiva autonomia: invece di riconoscere alla politica il diritto di produrre spazi suoi propri di natura istituzionale, l'hanno viceversa lasciata immersa in quella dimensione di contrasto perenne di parte che è nella sua natura originaria. Questa immagine della politica priva di contrappesi istituzionali ha prodotto e diffuso l'idea che tutto possa essere rimesso ad ogni momento in discussione solo che mutino i rapporti di forza, che nessuna decisione possa essere considerata impegnativa per lo schieramento avversario, che gli attori istituzionali non debbano né possano godere di alcun ambito di potere riservato, di alcuna clausola di salvaguardia propria: perché percepiti sempre, e sopra ogni altra cosa, come attori politici di parte e basta.
Il profondo sfavore culturale che in Italia aleggia intorno ad ogni potere pubblico, e in modo particolare intorno a quello del governo, è il sintomo più evidente di questo mancato radicamento istituzionale della politica. Cioè, detto in altre parole, di questa fortissima difficoltà dell'attività politica a tradursi, agli occhi dei più, in potere legittimo e dunque costituzionalmente e giuridicamente protetto.
Questa permanente delegittimazione del potere non è che l'altro volto dell'iperlegittimazione della politica. La alimenta e ne è a propria volta velenosamente alimentata.
Ma dove manca l'istituzionalizzazione appropriata e dove esiste un potere con un deficit costante di legittimazione è fin troppo ovvio che il vuoto venga prima o poi riempito. E per l'appunto quanto è accaduto da noi per opera della magistratura. Grazie alle molteplici iniziative di questa ciò che si è prodotto è stata la virtuale cancellazione della legittimazione politica. Proseguendo la tendenza spontanea del contesto italiano, in conseguenza dell'azione dei magistrati la legittimazione di qualsivoglia potere pubblico è andata via via slegandosi dalla matrice politica, per essere progressivamente assorbita nel puro e semplice grado di conformità dei suoi atti ai dettami del codice penale. Fino al punto che nell'opinione di molti il potere pubblico legittimato politicamente non sarebbe di fatto più autorizzato neppure a mutare quei dettami, e cioè le norme dei codici, senza averne prima ottenuto il permesso dai magistrati stessi.
Questo processo di virtuale cancellazione della legittimazione politica e di connessa giuridicizzazione di ogni aspetto della realtà si è spinto così avanti e così in profondità fino al punto che ormai, come si è visto per via Rasella, esso pretende di giuridicizzare per giunta dal punto di vista di un tribunale ordinario e servendosi delle leggi ordinarie! anche la guerra partigiana: cioè uno degli ambiti di decisione politica più peculiari che si riesca a immaginare.
Ma se la giustizia dei codici e i magistrati possono riuscire a occupare un vuoto e a surrogare una legittimazione politica che non è sin qui riuscita ad attingere un livello sufficiente di autonomia e di istituzionalizzazione, entrambi non riescono tuttavia, né possono riuscire, a conseguire l'obiettivo che invece è proprio di ciò di cui essi occupano lo spazio. Solo la politica, infatti, può riuscire a produrre una sintesi, a trovare una soluzione, uno scioglimento dei contrasti in grado di mettere la parola fine alla lotta e al conflitto. Solo la politica può riuscire a chiudere la storia, a farle voltare pagina: non la giustizia. Alla giustizia e pure ciò tra un'infinità di rinvii, di appelli e di sempre possibili riaperture di inchieste può riuscire al massimo di assegnare il torto e la ragione in base alla legge. Ma solo la politica può raddrizzare i torti e addolcire le ragioni, può produrre l'oblio e le sanzioni definitive, può conferire un'identità pacificata a una comunità.
Nell'attesa che ciò si compia la vita pubblica italiana deve accontentarsi invece di un'orgia di processi, di confessioni, di procuratori, di prove, di memoriali e di intercettazioni la cui impotenza a risolvere i problemi anche quando si concludono con una sentenza definitiva appare direttamente proporzionale alla loro quantità, crescente senza posa.
PRIVATE HYPERLINK "../sezioni.htm" INCLUDEPICTURE d z "/images/c_sez_on.gif" HYPERLINK "titoli.htm" INCLUDEPICTURE d z "/images/c_tit_on.gif" HYPERLINK "a0004183.htm" INCLUDEPICTURE d z "/images/c_pre_on.gif" HYPERLINK "a0006183.htm" INCLUDEPICTURE d z "/images/c_seg_on.gif" HYPERLINK l "top" INCLUDEPICTURE d z "/images/c_art_up.gif"