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Partito Radicale Rinascimento - 3 luglio 1997
Da "Repubblica" pag. 1

LA GRANDE INTESA FRA I DUE CONSOLI

di EZIO MAURO

CHE cosa dobbiamo pensare della grande intesa tra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi, che è insieme il

motore principale e il vero risultato della commissione Bicamerale?

Chi ha visto in televisione l'altra sera i leader dei due schieramenti in cui si divide il nostro Paese, ha capito che nei

mesi e nelle stanze della Bicamerale è nato qualcosa di più di un accordo parlamentare sulle regole fondamentali del

nostro sistema. I due leader si sono sostenuti e appoggiati dall'inizio alla fine, dichiarando le poche differenze, ritirando

le antiche diffidenze. Si legittimavano a vicenda come i due grandi registi della Bicamerale (e lo sono stati), si spartivano com'è giusto i meriti, condividevano le responsabilità: e intanto rivelavano un metodo di concertazione, un

sentimento di adesione e un agire politico di condivisione che è stato utilissimo e anzi indispensabile per condurre in

porto la Bicamerale. Fuori dalla Bicamerale, com'è ovvio, tutto ciò è improprio, probabilmente sbagliato, forse

addirittura dannoso: ma quel metodo, così come quel sentire e quel modo di far politica, è ormai dispiegato e

sperimentato, comodo e utile, soprattutto italianissimo, dunque è qualcosa a cui è molto difficile resistere. Come

succede sempre per le tentazioni. Dunque, che pensare di questa novità politica? La risposta è

semplice. La Costituzione doveva essere riformata, per avere anche nel nostro Paese una democrazia governante ed

efficiente in regola con il maggioritario, e la strada maestra per rinnovarla era soltanto quella dell'intesa pubblica ed

esplicita tra i due poli, che finalmente si legittimano a vicenda sottoscrivendo insieme un sistema di regole condivise. In

questo, D'Alema è stato politicamente abile e generoso nel trasformare la sinistra che ci è arrivata controvoglia in

protagonista della stagione di riforme, e nell'assumersene in prima persona il peso, la responsabilità e il rischio.

Berlusconi è stato forse ancora più abile nel capire che il percorso costituente (per lui inusuale nel metodo e nella

sostanza) era l'unico che poteva garantirgli un ruolo politico di primo piano e di coprotagonismo, togliendolo dal

retropalco dell'opposizione. Senza l'intesa tra i due e senza questa reciproca e legittima convenienza politica, la Bicamerale non sarebbe andata avanti. A nostro parere, quella convenienza è a un certo punto diventata stato di necessità, anzi si sono combinate tra di loro due diverse necessità.

BERLUSCONI aveva bisogno di affrontare e risolvere le grandi questioni del sistema televisivo e della giustizia, e gli

conveniva scambiare come talvolta accade in politica - la sua disponibilità sul tavolo costituente con la disponibilità

altrui sui tavoli separati delle altre due partite. D'Alema, strada facendo, aveva sempre più bisogno di arrivare ad un

risultato concreto in Bicamerale, e gli conveniva tenere quei tavoli sia pure separati legati da qualche invisibile filo,

capace di regolare tra di loro necessità e disponibilità, al fine di giungere più speditamente in porto. Nulla di inedito, sulla scena politica, e nulla di illegittimo. Ma certo, moltiplicando i tavoli del confronto e allargando la partita, i due grandi interlocutori sono diventati sempre più indispensabili l'uno all'altro. Tutto ciò, ha prodotto come risultato una riforma modesta. Questo giornale l'ha criticata, apertamente, perchè ha rinunciato al rafforzamento della premiership

(strumentocardine di una democrazia governante) per uno strano esperimento di semipresidenzialismo titubante, a forte

legittimità popolare e debole potere, senza quel sistema elettorale a doppio turno che avrebbe da un lato completato

con coerenza il modello semipresidenziale francese mentre dall'altro lato avrebbe corretto in senso bipolare la

frammentazione politica italiana. Ma questo esito della Bicamerale senza che la commissione sia abortita come nei

tentativi precedenti rivela che il sistema italiano non è irriformabile, e apre la strada ad un cammino parlamentare

dove sono possibili correzioni che rendano il nuovo sistema coerente prima di tutto con se stesso, e poi con la

democrazia maggioritaria che i cittadini hanno scelto per questa fase del nostro Paese. Perchè questo accada e la riforma si compia, è necessario che in questo ulteriore passaggio lo spirito costituente si accompagni ad una forte credibilità del sistema politico complessivo. Occorre cioè che la fisiologia del sistema si dispieghi correttamente tra maggioranza e opposizione, e le distinzioni tra le due parti tornino ad essere chiare e nette. Qui nasce il problema della grande tentazione a cui sono attualmente sottoposti, con ogni evidenza, D'Alema e Berlusconi: lasciarsi trascinare dal metodo della Bicamerale per governare la cosa pubblica in un grande meccanismo di concertazione al quale l'Italia si adatterebbe immediatamente per natura e per abitudine, ma che azzererebbe d'incanto il bipolarismo fin qui faticosamente costruito nel nostro Paese. Una sorta di coabitazione all'italiana. Qualche settimana fa, abbiamo parlato di questo rischio: la "forza delle cose", dopo la Bicamerale, rischiava di unire il pi

ano della politica quotidiana al piano costituente. Allora si temeva il "governo di tutti", negazione evidente di ogni logica bipolare. Oggi, sventato quel pericolo, si può continuare a temere l'opposizione di nessuno, che in realtà lascerebbe a Umberto Bossi e a Fausto Bertinotti uno spazio immenso per far crescere i loro voti. Proprio per queste ragioni, D' Alema e Berlusconi

dovrebbero guardare con attenzione a quel coagulo di risentimento istituzionale, politico e anche personale che sta

mettendo insieme Mario Segni contro i risultati della Bicamerale, raccogliendo politici, professori, industriali

dietro la parola d'ordine semplificatrice di Antonio Di Pietro: una "resa dei conti" contro "la più buia partitocrazia",

attraverso il referendum per arrivare ad una "sonora bocciatura che comporterebbe l'espulsione dei bocciati".

Noi non crediamo affatto che il lavoro anche deludente di una commissione del Parlamento meriti di essere preso a

spallate con il linguaggio fintamente impolitico dell' antipolitica. La strada per modificare e migliorare la riforma

costituzionale è proprio nel dibattito parlamentare, su cui possono e devono far pressione i cittadini e i cittadini

organizzati . Non è la piazza. Ma questo sarà possibile solo se dopo la fase necessaria

della Bicamerale la politica tornerà a far valere le sue distinzioni, a separarsi tra destra e sinistra, a dividere e

confrontare gli interessi e i valori. Se la politica cioè tornerà ad essere se stessa: una cosa diversa dalla riforma, con

regole e metodi diversi. La riforma, dunque, non è tutto, non può assorbire la politica e nemmeno divorarla. E comunque nessuna riforma, oggi, prevede l'introduzione di due Consoli.

 
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