Anche per l'area dissidente un sentiero pieno di trappoleStefano Folli
Il »fronte del no ai risultati della Bicamerale ha compreso il rischio mortale che gli si parava davanti. Quello di restare prigioniero dell'antipolitica, isolato dal Parlamento e appeso alla sola speranza di un referendum finale: quasi una sorta di plebiscito contro la partitocrazia. Segni, Occhetto, Rebuffa, Barbera, Bordon e gli altri si sono fermati in tempo, almeno per ora. Il »fronte del no è rimasto tale nella definizione (e nell'ironia) dei suoi avversari. Ma gli uomini che si stanno organizzando contro il quadrilatero D'AlemaBerlusconiFiniMarini preferiscono parlare di se stessi come del »fronte degli innovatori .
In altri termini: perché rinunciare fin d'ora alla battaglia degli emendamenti? Si tratta di saggiare la solidità del patto che ha concluso la Bicamerale. Tutto lascia prevedere che esistano parecchie zone molli nell'architettura istituzionale disegnata dalla commissione, nonché nell'ipotesi di legge elettorale. Zone molli vuol dire che il progetto può essere modificato attraverso un gioco sapiente di proposte trasversali. E basta poco, data la complessità del mosaico, per far saltare l'equilibrio costruito con tanta fatica da D'Alema. Basta, ad esempio, accentuare i poteri del capo dello Stato per provocare un sussulto nei Popolari e in certi segmenti del Polo. Oppure, come non si stanca di ripetere Sartori, basta modificare la legge elettorale (magari innalzando la soglia di sbarramento o intervenendo sul premio di maggioranza) per avviare un terremoto.
Il fronte dei dissidenti dispone dunque di buone frecce al suo arco. Purché eviti di farsi trascinare in una battaglia campale contro il Parlamento. Qualcuno ha fatto notare ad Antonio Di Pietro l'ingenuità tattica commessa l'altro giorno, quando ha gettato il cuore oltre l'ostacolo e si è predisposto alla traversata del deserto: un anno e più a dire »no , nutrendo il sogno del referendum contro l'intera classe politica e poi la fatidica Assemblea Costituente.
Sembra che l'ex magistrato abbia compreso il punto; e cioè che istituire oggi i Comitati del No finirebbe solo per aiutare i bicameralisti. In ogni caso, i dissidenti che ieri si sono ritrovati a Roma, nelle tante riunioni che hanno costellato la giornata, non hanno ovviamente intenzione di riconoscere a Di Pietro la leadership del movimento antiBicamerale, solo la qualifica di compagno di strada. Semmai questo fronte si segnala per restituire spazio e rispetto ai »professori che son stati mortificati dalle impietose leggi della politica prevalse nella commissione D'Alema.
Il cammino non sarà facile per nessuno. Di Pietro dovrà dimostrare di non essere un isolato (qualcuno dice un demagogo). Quanto ai dissidenti, essi partono da una condizione di minoranza in Parlamento, benché la Lega di Bossi rappresenti un elemento imprevedibile e certo contrario all'asse D'AlemaBerlusconiFini. Sul percorso delle riforme pesano tali fattori malumori di partito e rancori segreti che nessuno può escludere sorprese. Ciò nonostante i dissidenti camminano lungo un sentiero stretto: da un lato il rischio di una linea meramente antiparlamentare, dall'altro il pericolo d'essere risucchiati dal blocco bicameralista.
Infine D'Alema. Egli sa che le turbolenze nascono soprattutto in una certa area della sinistra filomaggioritaria. Il che lo obbliga a tenere conto di queste voci. Ma si torna all'interrogativo cruciale: quante e quali concessioni sono compatibili con l'equilibrio realizzato nella Sala della Regina? Quante e quali sarebbero accettate dai centristi, da Marini a Casini, che vedono allargarsi il loro spazio politico proprio grazie ai risultati della Bicamerale?
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