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Partito Radicale Rinascimento - 3 luglio 1997
Da "Repubblica" pag. 119

OBIETTIVO GOVERNABILITA'

di PAOLO BARILE

SIAMO a un giro di boa: la Bicamerale termina la prima fase del suo cammino. La scelta di fondo, in punto di

governabilità, è stata quella del semipresidenzialismo, che è stato preferito al premierato. Per me è un errore, come ho

già detto: ma mi pare molto difficile tornare indietro nella prossima fase. Credo quindi che occorra tentare di portare

in fondo questa soluzione col minor danno possibile. E indubbio il clima di pressioni ed anche di ricatti che si è

formato intorno alla Commissione. Non sono peraltro d'accordo con Piero Ostellino che intravede addirittura, "se

troppi perché restassero senza risposta", "la fine della democrazia in Italia". Non esageriamo. Prestiamo piuttosto

attenzione a quello che è stato fatto fino ad oggi e cerchiamo di fare il punto della situazione.

COME HO DETTO, parlerò oggi solo della governabilità, con esclusione quindi delle questioni relative al

bicameralismo, alla formazione delle leggi e dei decretilegge, alla giustizia ed alla giurisdizione, agli organi di

garanzia e di inchiesta, ai referendum, alle fonti, e all'Unione europea (ma anche su questi argomenti occorrerà fare

presto il punto in modo che l'opinione pubblica sia informata nel modo più chiaro e completo). L'unico scopo quindi di

questo mio intervento è quello di descrivere, di esporre con attenzione il quadro generale della soluzione che viene

prospettata per risolvere il problema della governabilità. Due sono i punti da affrontare: la figura del Presidente della

repubblica e l'organo di governo. Cominciamo dal primo. Il nuovo articolo 69 del testo della Commissione si apre con

l'affermazione che egli presiederà il Consiglio supremo per la politica estera e la difesa ed avrà il comando delle forze

armate: novità solo parziali. Interessano di più le norme che si riferiscono in primo luogo ai rapporti fra Presidente e

governo: in base alle quali il Presidente nomina il primo ministro e su sua proposta nomina e revoca gli altri ministri,

emana i regolamenti del governo e, intervenendo nella struttura, può sciogliere anticipatamente la Camera dei

deputati nel caso di dimissioni del governo, in relazione ad un complesso meccanismo di fiduciasfiducia parlamentare.

L'autonomia del Presidente della Repubblica dal governo viene inoltre garantita da un'altra norma che sottrae alla

controfirma governativa una serie di atti, che quindi restano propri del Presidente. Queste norme sostanzialmente

confermano la base dell'attuale governo parlamentare, riducendo peraltro grandemente il potere presidenziale di

scioglimento anticipato della Camera, potere che oggi è libero e che sembra poter essere esercitato domani solo in

caso di crisi governativa. Nei rapporti col Parlamento, restano il potere di promulgazione delle leggi, di veto con

messaggio motivato alle Camere, di messaggio libero sempre alle Camere, e naturalmente il potere di indire le

elezioni delle Camere dopo lo scioglimento e di ratificare i Trattati internazionali, previa, quando occorre,

l'autorizzazione delle Camere. Nei rapporti con l'istituto referendario, il Presidente conserva il potere di indizione;

infine decreta le nomine previste dalla Costituzione e dalla legge. Di particolare importanza è poi la norma che prevede

una legge idonea "ad evitare conflitti tra gli interessi privati del Presidente della Repubblica e gli interessi pubblici":

questa norma costituzionale chiaramente vuole che venga varata alla fine la legge sul conflitto di interessi, che è già

all'ordine del giorno delle Camere e che nacque dal famoso parere dei tre saggi nominati dall'on.le Berlusconi; legge che, sia ben chiaro, non prevede solo il blind trust (cioè la semplice non gestione diretta degli interessi privati), ma

l'abbandono degli interessi stessi quando essi siano di tale entità da costituire posizioni di grande potenza politicoeconomica (non capisco davvero perché l'on.le Giuliano Urbani dica che ormai non esistono più problemi di

conflitto di interessi).

Il secondo aspetto del dilemma investe, come dicevo, il governo. La disciplina prevista non diventerebbe molto

diversa da quella attuale, nel suo meccanismo fiduciasfiduciadimissioni. Sono previste peraltro le dimissioni del governo nei casi di elezione della Camera dei deputati, di mancata approvazione, da parte della stessa, della fiducia chiesta dal governo, di approvazione della mozione di sfiducia al governo. Sono previste anche le

dimissioni del governo all'atto dell'assunzione delle funzioni da parte del Presidente della repubblica. Si ripete in questo

caso la norma sul conflitto di interessi. Accanto ad altre norme di pregio figura in particolare la norma sulle autorità

di garanzia indipendenti, nuove protagoniste dello Stato moderno che i ndubbiamente esigono un richiamo in

costituzione anche per ciò che riguarda le nomine dei titolari.

Il risultato finale qual è dunque? Si è voluta l'elezione diretta popolare del Presidente della Repubblica: giudiziosamente

peraltro, gli verrebbero attribuiti poteri sostanzialmente non superiori a quelli attuali, mantenendosi il meccanismo della

Repubblica parlamentare (sarebbe stata una follia introdurre poteri analoghi a quelli che la Costituzione francese affida al suo presidente, che d'altronde, non sono stati mai utilizzati da de Gaulle in poi). Ma la situazione costituzionale in punto di Presidente della repubblica e di rapporti fra lui, governo e parlamento rimane identica all'attuale, salva, ripeto, l'elezione diretta popolare.

Non era questo il problema da risolvere. Il problema della governabilità esige la presenza di un governo forte e di un

premier munito di ampi poteri di direzione, nascenti da una scelta diretta della persona da parte dell'elettorato, o in via

di designazione o in via di elezione diretta. Solo il premierato poteva risolvere questo problema. Certo, all'interno di esso, sarebbe stato non facile risolvere l'altro problema del potere di scioglimento anticipato della Camera, che, se fosse stato affidato al solo premier lo avrebbe avvolto in una veste un poco dittatoriale, ma che ben poteva essere condiviso col Presidente della repubblica. Senza di questo la situazione italiana rimane più o meno la stessa. Come hanno scritto

Andrea Manzella ieri su questo giornale ed Enzo Cheli sulla Stampa del 19 giugno, si tratta di una riforma che può non

cambiare niente, sia sotto il profilo della legge elettorale, che sotto l'altro del rafforzamento delle coalizioni con la

designazione formale di un leader per il governo. Ma io sono un ottimista: è la prima volta che il nostro Parlamento presenta all'opinione pubblica un progetto tendente a creare una Repubblica più funzionale. Mi auguro che esso non venga distrutto nelle fasi successive, e che possa invece conseguire gli scopi fondamentali verso i quali tendono tutti coloro che in buona fede l'hanno portato avanti.

 
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