di Franco Cangini
(La Nazione - il Resto del Carlino - Il Giorno, 15 novembre 1997)
Digiunando digiunando, Marco Pannella è diventato vecchio. E noi con lui. Dunque non è il caso di fare una tragedia ogni qualvolta ricomincia il suo eterno sciopero della fame. Una delle prime volte, ch'io ricordi, fu nell'anno del referendum sul divorzio, circa un quarto di secolo fa. Il vecchio Prezzolini invitò il governo a lasciarlo morire di fame. Più forte del suo affetto (che pure c'era) per Marco era il suo orrore per l'irruzione del sentimentalismo nelle questioni politiche.
Di qui il consiglio, impartito al povero presidente Rumor, di riversare la piena dei sentimenti sui cani, gli uccelli e altri "impieghi innocui", ispirandosi all'esempio britannico di Lloyd George, che lasciò morire d'inedia il sindaco di Cork, martire eroico della libertà irlandese. Un buon consiglio, se riferito alle linee di condotta di seri protagonisti di autentici drammi storici. Ma sarebbe fuori luogo sacrificare la pace di Prodi e la sopravvivenza di Pannella sull'altare del diritto delle liste pannelliane a una presenza adeguata nell'informazione televisiva, poiché di questo si tratta.
Dev'essere per questo che ogni sorta di politici - di destra di sinistra e di centro - si accalcano intorno allo scioperante, preferendo soffocarlo in un caldo abbraccio piuttosto che lasciarlo libero di mettere in scena il suo suicidio. Il tempo passa, la salute non è più quella d'una volta e la replica della solita sceneggiata della protesta estrema rischia di volgere in tragedia la commedia del digiuno. Se dovesse accadere, nessuno se lo perdonerebbe perché è difficile trovarsi d'accordo con le iniziative di Pannella, ma e impossibile non provare un certo sollievo per il semplice fatto che è ancora libero di prenderle.
Un'esperienza secolare insegna che in questo paese le formule di governo se durano, non mancano mai di tracimare in regime. Gli interessi rappresentati in politica transigono sempre e formano un blocco cementato dal clientelismo del potere e dal trasformismo degli opportunisti, fino all'immancabile disastro finale. I segni di degenerazione incipiente che tanto inquietano nell'esordio dell'Ulivo, sono gli stessi giunti alle estreme conseguenze nei cicli storici dei regimi realizzati: dalla caduta della destra storica nel 1876 a quella della Dc nel 1992. E poiché Marco Pannella, spirito bizzarro di rompiscatole a 180 gradi, e irriducibile a un qualsiasi tornaconto di parte, ecco che la sua libertà d'iniziativa corrisponde all'interesse pubblico. E' come quelle particelle colorate che non impediscono al fiume di gelare, ma permettono di seguire l'andamento della corrente.
Ci sono due modi di risolvere il problema Pannella. Il primo è dargli i cinque minuti che reclama in Tv, magari a reti unificate, per esporre le sue ragioni a quella opinione pubblica che è il suo unico punto di riferimento. Un paese mitridatizzato dalla consuetudine coi messaggi presidenziali di Capodanno non ha nulla da perdere dall'esposizione a un sermone pannelliano. Anzi, ha tutto da guadagnare, a cominciare dalla soddisfazione di avergli impedito di nuocere a tutti, nuocendo a se stesso. La seconda soluzione è istituzionale. Si tratta di riconoscere a Pannella un "diritto di tribuna" adeguato all'importanza che la sua libertà di espressione ha per la libertà di tutti. Il partito liberale s'è fatto vivo con la proposta di trasformare Marco Pannella in uno dei cinque senatori a vita di nomina presidenziale. Proposta sorprendente solo perché proviene da un partito che si credeva estinto. Ma del tutto condivisibile e anzi doverosa. Il potere politico ha messo il suo contestatore nell'impossibilità di part
ecipare ulteriormente al processo di formazione delle decisioni democratiche, con l'arma del referendum popolare. Gli deve un risarcimento.