di Gualtiero Vecellio
(L'opinione delle Libertà - 15 luglio 1998)
Esiste una questione di identità negata che non può essere confusa con le quotidiane piccole e grandi inesattezze ed errori che si leggono sui giornali: né può essere rimediata con le puntuali messe a punto di un bravissimo Mauro della Porta Ruffo che quelle inesattezze e quegli errori si diverte a metterli alla berlina. Una questione tremendamente seria che impone riflessione, sempre che riflettere si sappia, si voglia, si possa.
Propongo tre esempi.
Vittorio Feltri, nella sua rubrica "Il fazioso" su "Il Borghese", propone di riabilitare Bettino Craxi, perché è l'unico anticomunista che ci rimane. Il pensiero di Feltri, in sintesi, è questo: "Ora lo trattano come un brigante, perché non piaceva al PCI. Ma era il migliore". Tra l'altro, sostiene Feltri, "fu lui a restituire dignità al vecchio Movimento Sociale e a segnarne la svolta democratica e moderna".
Molte le recensioni del mondadoriano primo volume che raccoglie le opere di Ignazio Silone; e qualcuno ricorda che al funerale del grande - e troppo colpevolmente dimenticato scrittore - a Pescina, in Abruzzo, andò Antonello Trombadori, all'epoca parlamentare del PCI.
Nel bel libro di Giampiero Mughini "Il Grande disordine" sui "nostri indimenticabili anni Settanta", si parla molto di Pier Paolo Pasolini e di Leonardo Sciascia; e a pagina 264 si legge: " Entrambi di sinistra, entrambi scalpitavano delle angustie della sinistra. Costeggeranno entrambi, e ne saranno intellettualmente stuzzicati, gli uomini e gli umori della tribù di Lotta continua ".
Perché propongo all'attenzione queste tre situazioni? C'è un filo rosso che le lega.
Vittorio Feltri ha ragione: per ragioni che forse saranno state anche di politica politicante, Craxi ha avuto il merito (o la colpa, a seconda di come e di chi vede) di dare "dignità" al vecchio MSI. Ma molto prima di Craxi, un altro politico "sdoganò" Giorgio Almirante e il MSI; e ne ebbe la sua buona razione di insulti e contumelie. Marco Pannella fu il primo a proporre un pubblico dibattito con Almirante, fino ad allora vieto, evitato come un untore e un appestato. Al funerale di Ignazio Silone chi scrive, c'era. Ed è verissimo che vi partecipò Antonello Trombadori, unico fra i comunisti. Ma c'erano, per esempio, anche Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia e un piccolo manipolo di altri radicali. E veniamo a Pasolini e Sciascia. Dal 1 al 4 novembre a Firenze si svolgono i lavori del XV congresso radicale. Si attende l'intervento di Pasolini, che però viene ucciso due giorni prima della data fissata per il suo intervento; che viene tuttavia reso noto, letto dalla cugina Graziella; un testo che Pasolini ha
scritto di getto, direttamente battuto a macchina poche ore prima di morire: sette paragrafi, che si concludono con l'esortazione a essere "sempre irriconoscibili; dimenticare subito i grandi successi; e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare". Leonardo Sciascia in una lettera che conservo tra le cose mie più care, a un certo punto dice: "Bisogna cominciare a contarci, che se avessimo gli strumenti di cui loro dispongono, scopriremo di essere molti di più di quanti loro credono. Non al punto di batterli, ma abbastanza per quella opinione che si può opporre alle opinioni".
Intervistato dal "Giornale di Sicilia", Sciascia parlava dei radicali come "l'unica cosa che si muove nel senso della vita contro la morte".
Né si può dire siano prese di posizione estemporanee. Pasolini, per esempio: è il 1974 quando Pannella, ferocemente censurato dalla Rai Tv di allora, inizia un digiuno che si protrae per una novantina di giorni, e alla fine ottiene per la Lega Italiana Divorzio quindici minuti "riparatori". A spezzare la cortina di silenzio nei giornali, aprendo sul "Corriere della Sera" "un dibattito sul caso Pannella", è Pasolini; quel Pasolini poi che per "Il Mondo" intervista lungamente Pannella ("Pazzo di libertà"); ed è il primo a capire quanto fosse straordinaria l'introduzione che il leader radicale aveva scritto al libro di Andrea Valcarenghi "Underground a pugno chiuso"; una recensione, anche quella pubblicata sul "Mondo", nella quale Pasolini sostiene che si tratta di un vero e proprio manifesto politico. Anzi: Il Manifesto Politico.
Di Sciascia si potrebbe ricordare l'intervento scritto per un volumetto, erano i primi anni Sessanta, curato da Elio Vittorini, Marco Pannella e Luca Boneschi. Poche, essenziali righe, ma lo Sciascia politico è già tutto lì; lo stesso che poi sarà candidato nelle liste radicali, e componente della commissione parlamentare d'inchiesta sul delitto Moro: autore di una relazione di minoranza che dovrebbe essere un testo di lettura per le scuole, tanto è precisa, rigorosa e "opera di verità".
E arbitrario, dunque, dire che più di Lotta continua fu il Partito Radicale, fu Marco Pannella a stuzzicare intellettualmente Pasolini e Sciascia? Come, del resto, anni prima avevano stuzzicato Elio Vittorini e Ignazio Silone; il primo è stato anche presidente del Partito; il secondo regalò parte dei suoi mobili e della sua biblioteca alla costituenda Lega degli Obiettori di Coscienza; e l'ultimo suo gesto politico fu l'adesione a un appello e alle manifestazioni radicali in favore di due dissidenti sovietici perseguitati perché ebrei e perché pensavano al di fuori dei canoni dettati dal PCUS. Ora non per caso ho voluto citare Feltri, Mughini e recensori di un volume che raccoglie le opere letterarie di Silone. Perché né Feltri né Mughini hanno motivi o ragioni di antipatie radicali e pannelliane: anzi! E i recensori saranno forse colpevoli di aver sottovalutato o sopravvalutato l'opera; ma certo non sono accusabili di aver voluto omettere alcune presenze al funerale di Silone. Se si passa il termine, per tu
tti i casi citati, è sicura la buona, ottima fede. Si può credere che Feltri si sia dimenticato del dibattito Almirante-Pannella; e così per le dimenticanze di Mughini a proposito di Pasolini, Sciascia, Pannella e il Partito Radicale. Non per nulla Sciascia quando volle scrivere che giudicava Pannella "il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge e della giustizia", trovò ospitalità sul quotidiano madrileno "El Pais"; e quando volle fare i suoi appelli perché le Brigate Rosse rilasciassero il giudice D'Urso, lui che pure veniva ben remunerato dai giornali che se lo contendevano, quella volta si trovò le porte sbarrate; e gli appelli vennero diffusi solo da Radio Radicale. Ma proprio perché c'è stata e c'è buona, ottima fede, che la situazione è più grave ed allarmante. Significa che ormai la metastasi si è diffusa a un livello tale che sanarla forse non sarà più possibile. E' il problema di un'identità politica, culturale e anche umana, fisica e persona
le, sistematicamente mortificata, negata; e ora se ne raccolgono i frutti. Al punto che si smarrisce la memoria dei fatti, dell'accaduto; e in buona fede può ora accadere che non si sappia, si ignori. Perché di tutto ormai si è fatta terra bruciata; perché viviamo in una sorta di Fahrenheit 451; quello che c'era lo si è cancellato; quello che si è cancellato, non è esistito. Gli esempi che ho fatto sono solo "spie" di una situazione più generale e più grave. Prendete i saggi politici pubblicati in questi ultimi anni; i libri più squisitamente divulgativi, scritti da giornalisti più o meno noti che cercano di dare forma sistematica e organica ai fatti di cronaca quotidiana; o i manuali di teoria politica di politologi. Ebbene: il nome di Pannella, quando viene citato, comparire nel fondo delle note, o fuggevolmente in qualche pagina. Un "contorno".
Per restare al bel libro di Mughini: Adriano Sofri viene citato trentatré volte; Franco Piperno nove; Oreste Scalzone tre; Luciana Castellina e Marco Pannella, due. Per quello che ha fatto e ha detto negli anni Settanta, Pannella merita lo stesso numero di citazioni di una Castellina? E davvero tutto si risolve nel dire che "non c'era studente laico o liberale che non fosse innamorato di Maria Adele Teodori, per cinque anni la compagna di Pannella" (pag.141); o che "sul finire degli anni Cinquanta, Craxi è l'anima e i simbolo della giunta UNURI, del governo universitario retto in quel momento da un accordo tra i cattolici dell'Intesa e i laici dell'UGI? Contro questa giunta inizia da sinistra un'ampia manovra avvolgente che ha come protagonisti i radicali ispirati da Marco Pannella " (pag. 170)? Ma gli anni '70 non sono anche stati gli anni del referendum per il divorzio, della legge per l'aborto, del nuovo diritto di famiglia, per il voto ai diciottenni, della legge per l'obiezione di coscienza e della libe
razione sessuale? Sto parlando di alcune delle leggi che hanno segnato il nostro tempo, piaccia o meno. E sono leggi che portano il marchio radicale. Si può ignorarlo? E chi digiunò per settanta e passa giorni, in favore di Pietro Valpreda ingiustamente accusato per la strage a Piazza Fontana a Milano? Vero è - altro clamoroso esempio di identità negata - che può accadere di leggere una storia dell'obiezione di coscienza in Italia nella quale neppure una volta vengono citati Roberto Cicciomessere, Alberto Gardin e Luigi Zecca: per dire di tre obiettori che mancando la legge, preferirono andare in carcere militare e vi scontarono settimane e mesi di pena a cui erano stati condannati. E per il 50 per cento almeno è grazie a loro che la legge venne approvata. Anche in questo caso erano tre radicali, quando si dice la coincidenza. Quando si parla del processo di Torino contro i capi storici delle Brigate Rosse che non si riusciva a mettere in piedi, perché tutti i giurati si tiravano indietro, affetti da "sindro
me depressiva", in realtà paurosi delle ritorsioni dei BR liberi, è giusto dimenticare che l'empasse venne superato dalla decisione di Adelaide Aglietta, estratta a sorte, che seppe vincere la comprensibile paura, e non si tirò indietro?
Esiste un problema di memoria smarrita, che si vuole perduta; di identità da recuperare e difendere. Problema serio e grave; che riguarda Pannella, i radicali, ma non solo. Vittime di questo sistematico attentato all'identità è un intero filone politico, una cultura. Come dicevo all'inizio, si tratta di identità negata. Una soluzione bisogna pur trovarla; e tocca davvero contarci, come diceva Sciascia: per fare quella opinione che si può opporre alle "opinioni".
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