UNO SCHERZO IL BIS DEL PRESIDENTE "RIBALTISTA"di Massimo Teodori
Il Giornale - domenica 30 agosto 1998
"Ho grande stima per il presidente ma è presto per discuterne": così il leader del Pds Massimo D'Alema ha liquidato come uno scherzo di fine estate la proposta di Sergio Mattarella di rieleggere Scalfaro per un secondo mandato. Ma quel che ha reso ancora più grottesca l'uscita del capogruppo dei popolari sono state le motivazioni addotte: "Penso che il capo dello Stato debba avere equilibrio, gran senso delle istituzioni e svolgere un ruolo di garanzia attiva, proprio quello che Scalfaro ha realizzato in questo settennato".
Nel tentare un bilancio della presidenza dell'ultimo dei superdemocristiani, penso che tutto si possa sostenere meno che i meriti ora richiamati. Scalfaro è stato un pessimo presidente se si guarda ai poteri assegnatigli dalla Costituzione, poteri che ha palesemente travalicato nei momenti cruciali. E vero che l'intera storia dei presidenti repubblicani, con l'eccezione di Luigi Einaudi, non è molto felice tra nepotismo (Gronchi), accuse di golpismo (Segni), decadenza fisica (Saragat), minacce di impeachment (Leone), interventismo populista (Pertini) e festival del piccone (Cossiga). Ma pur considerando la costante sfortuna presidenziale, a me sembra che Scalfaro debba essere collocato nella parte bassa della serie dal momento che ha rafforzato la cosiddetta "costituzione materiale" in opposizione a quella formale, intervenendo pesantemente negli affari politici con la pretesa di dirigerli dall'alto Colle.
Sembra dunque paradossale il richiamo di Mattarella al "gran senso delle istituzioni e al ruolo di garanzia" del presidente. Altri, prima di Scalfaro, intervennero nella politica attiva imponendo presidenti del Consiglio "amici" e favorendo questa o quella coalizione. Ma fino al 1994 la dialettica governativa non era bipolare bensì consociativa e di coalizione, ragione per cui le pressioni del Quirinale potevano al massimo influire sulla scelta per Palazzo Chigi e sul peso delle diverse componenti all'interno di quella che rimaneva in ogni caso una maggioranza fissa intorno alla Dc. Dopo la riforma maggioritaria, però, le cose sono radicalmente mutate: le elezioni determinano una maggioranza e una minoranza in Parlamento, e il presidente della Repubblica diviene il garante istituzionale dei corretti rapporti tra le due parti politiche così come sono sanciti dal voto popolare.
Dato il nuovo quadro, non è dunque esagerato affermare che il ruolo di Scalfaro è stato costituzionalmente eversivo. Perché all'indomani della vittoria del Polo nel 1994, la nuova maggioranza di Berlusconi non è stata accettata come "legittima", cioè come l'indirizzo politico voluto dalla sovranità popolare, ma come "anormale", una specie di incresciosa parentesi che andava chiusa al più presto. E infatti, per porre fine a quell'intermezzo nel regno democristiano, fu provocato il "ribaltone": un'iniziativa nella quale i poteri presidenziali furono tutt'altro che spettatori ma, come ormai è chiaro, assai attivi sia nella fase ideativa sia in quella esecutiva.
Per valutare il settennato di Scalfaro e per discutere come merita anche l'ipotesi di una sua permanenza al Quirinale, se pure in funzione temporanea (ma non c'è nulla di più stabile in Italia di ciò che viene presentato come provvisorio), non occorre richiamare i suoi rapporti con il Sisde da ministro dell'Interno, il suo interventismo paternalistico, l'infelice e tardiva uscita sulle "intelligenze criminose" che sarebbero intervenute nel caso Moro, né le tante altre ineleganze di stile. In fondo si tratta di questioni abbastanza secondarie di fronte alla ostinata e sistematica azione per rendere la presidenza della Repubblica parte attiva del processo politico senza peraltro favorire la riforma istituzionale in senso presidenziale, come invece aveva apertamente propugnato il suo predecessore Cossiga.
Riproporre uno Scalfaro bis assume dunque il significato della provocazione. Una provocazione messa in atto come pura manovra strumentale all'interno di un universo post, ex e neo democristiano che al fondo intende la vita politica italiana come una perenne transizione verso il ristabilimento dell'ordo democristianus.