LA POLEMICA
NON SI PUO PARAGONARE BAGHDAD A PRISTINA
"Dove sono i pacifisti?" si sono chiesti ieri il segretario del Partito Radicale Olivier Dupuis e Rita Bernardini. Dupuis e la Bernardini, che nella vita fa la giornalista di Radio Radicale, avrebbero voluto vedere i "pacifisti" scendere in piazza per il Kosovo. "Nei giorni scorsi - ricordano - migliaia di persone e la quasi totalità delle forze politiche hanno manifestato contro l'intervento anglo-americano in Irak" e ora vorrebbero sapere "se sono meno innocenti le vittime del leader comunista, Slobodan Milosevic, che ha ripreso in queste ore l'opera di pulizia etnica in Kosovo".
Beate le persone che vivono di certezze assolute. Nel Kosovo, in questi giorni, ci sono 600 osservatori internazionali. Il loro capo, l'americano William Walker, e il portavoce dell'Osce Jorgen Grunnet hanno visto le colonne di blindati serbi viaggiare verso i villaggi del nord, hanno udito i colpi di mortaio, ma hanno visto anche gli indipendentisti albanesi riprendere le armi e sanno che gli scontri sono ripresi con l'uccisione d'un poliziotto serbo. Sanno, insomma, e dicono quel che tutti dovrebbero sapere, perfino i radicali che pretendono di sapere sempre tutto: nel Kosovo è difficile stabilire "chi ha cominciato". Né ha senso (porta solo a fuorvianti confusioni) parlare di "pulizia etnica" da parte serba in una regione in cui gli albanesi sono il 90%.
Ciò nulla toglie alle responsabilità storiche di Milosevic, dalla cui decisione di eliminare l'autonomia amministrativa della regione scaturì la crisi, e anche chi dubita della sua opportunità politica non può non riconoscere un fondamento giuridico-morale all'ipotesi, rilanciata ieri dai radicali, di denunciare il premier di Belgrado a un tribunale internazionale sui crimini di guerra.
Ma che c'entrano i "pacifisti"? I molti che, in tutto il mondo, hanno espresso il loro dissenso sui raids in Irak non lo hanno fatto per "pacifismo", ma perché dubitavano che quell'intervento servisse la causa del diritto e dell'ordine internazionale. Perfino Dupis e Rita Bernardini dovrebbero riconoscere, con il senno di poi, che i critici non avevano tutti i torti. C'è qualcuno che in Kosovo veda la prospettiva di iniziative militari più sensate? Chi dovrebbe intervenire? Contro chi? Con quali strumenti? Con quali obiettivi? La Nato, un paio di mesi fa, fu sul punto di mandare i bombardieri, ma se la sentono i radicali dalle grandi certezze di assicurarci che l'intervento avrebbe aiutato davvero i civili di quella disgraziatissima regione? Non dovrebbe essere questo, un dubbio intorno al quale ragionare con pacatezza?
Gli esponenti d'un partito (ex?) nonviolento non dovrebbero essere un po' più cauti nell'usare con un insulto il termine "pacifisti"? Talvolta si sente nostalgia per i radicali d'un tempo
P.So