Da "La Repubblica" 24 febbraio 1999 - Pagina 15
di GIANNI CORBI
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CIO che più indispettisce il comune cittadino è la velocità supersonica con la quale il lentissimo Parlamento italiano riesce a varare leggi e regolamenti volti a destinare centinaia di miliardi ai movimenti politici più vari che invece di diminuire aumentano a vista d'occhio. Anche chi è convinto della funzione insostituibile dei partiti ha un moto di ripulsa quando deve assistere, senza avere alcuna voce in capitolo, ai contorsionismi e ai sofismi con i quali si tenta di aggirare, e di forzare, la volontà dei cittadini.
Un po' di storia aiuta a capire le ragioni di questa consolidata allergia. Nel 1974, sull'onda dell'indignazione suscitata dal grande scandalo dei petroli, il Parlamento decise che per porre un argine alla corruzione occorreva che lo Stato fornisse i partiti di una loro autonoma dote finanziaria. A tambur battente fu approvata, con 334 voti a favore, 43 contrari (i liberali) ed un astenuto, una legge che concedeva un "contributo al finanziamento dei partiti politici".
Come molti avevano previsto quel provvedimento non servì in alcun modo ad arrestare, o ad attenuare, il fenomeno di una corruzione politica pressoché generalizzata che proprio in quegli anni stava prendendo i contorni di "Tangentopoli".
Il referendum promosso nel 1978 da Pannella per annullare quella legge rivelatasi del tutto inefficace non passò di stretta misura. Nel 1993, in un secondo referendum, oltre l'ottanta per cento degli italiani negò a furor di popolo qualsiasi finanziamento dei partiti a carico dello Stato. Scandalo dopo scandalo, l'opinione pubblica era arrivata alla sconfortante conclusione che l'avidità dei partiti poteva essere arginata non da una buona legge ma solo da bravi magistrati.
Una convinzione confermata dalla grande maggioranza degli italiani che si sono rifiutati di destinare, come prevedeva un'altra legge- lampo del 1997, una quota pari al 4 per mille al finanziamento di movimenti e partiti politici. Si è creata così una situazione imbarazzante e molto all'italiana. I partiti, fidando nel senso civico degli elettori, hanno provveduto a spartirsi, sotto forma di acconto, 110 miliardi nella convinzione del tutto infondata che almeno un 10 per cento dei contribuenti avrebbero detto sì al finanziamento pubblico.
Il risultato è stato però doppiamente negativo. Il gettito è stato minimo, e i cittadini hanno considerato immorale una legge che non permetteva di destinare quel 4 per mille al partito preferito, ma li obbligava a finanziare il sistema politico nel suo complesso.
I partiti, pur rendendosi conto di una crescente impopolarità, avevano poi escogitato una soluzione più diretta e brutale. I loro tesorieri avevano infatti preparato una nuova norma che prevedeva, con un finanziamento automatico e senza rischi, un contributo dello Stato di quattromila lire per ogni cittadino italiano (compresi i non elettori) da assegnare ai partiti come rimborso delle spese incontrate nelle campagne elettorali per Senato, Camera, Parlamento europeo e Consigli regionali.
Finalmente, dopo accanite discussioni, la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati sembra aver trovato l'uovo di Colombo che metterebbe tutti d'accordo, nella maggioranza e nell'opposizione. La quota dell'Irpef da riservare ai partiti salirebbe dal 4 all' 8 per mille come avviene per la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose, e il contribuente avrebbe la possibilità di indicare il partito che intende finanziare.
Non sappiamo come andrà a finire questa non edificante vicenda di cui l'opinione pubblica è stata tenuta all'oscuro, e che ha visto il centrodestra ergersi a baluardo della moralizzazione della politica. Di sicuro c'è che il centrosinistra, o meglio ciò che rimane dell'Ulivo, giocherà una partita tutta in difesa, costretta ad appoggiare una legge che in cuor suo non condivide.
E vero, la politica costa ed è interesse comune che i partiti possano svolgere nel modo migliore la loro funzione democratica. Ed è anche vero che altre grandi nazioni, come la Francia e la Germania, spendono per il finanziamento della politica molto più che il nostro paese. Ma è anche vero che la sinistra, sulla questione pur rilevantissima del rapporto tra partiti e finanziamento pubblico, ha sempre avuto un approccio non chiaro e venato d'ipocrisia. Per fare qualche esempio, non si è opposta come avrebbe dovuto al sovvenzionamento dei giornali "fantasma" messi in piedi per spillare soldi allo Stato, o al malvezzo per cui un singolo parlamentare può costituire un partito altrettanto "fantasma" ricevendo "ad personam" duecentosettanta milioni.
In occasione della discussione di una legge così importante e sentita dai cittadini, il centrosinistra dovrebbe scendere apertamente in campo in difesa della necessità, e della moralità, della buona politica, impegnandosi a favorire la riforma dei partiti per evitare che diventino macchine di potere, eliminando tutte le sovvenzioni, palesi ed occulte, che affluiscono a vario titolo a partiti e movimenti politici e a sindacati per motivi clientelari.
Sergio Cofferati ha ammonito la sinistra a non perdere di vista i suoi valori, in particolare quelli che riguardano l'immigrazione, la scuola, la procreazione, la flessibilità del lavoro. Perché non aggiungere anche il valore della trasparenza della politica? Perché lasciare questo tema fondamentale nelle mani della destra?