Di Arturo GismondiEmma l'eversiva disturba i manovratori del Palazzo
Man mano che ci si avvicina all'"ingorgo elettorale" di primavera, tanto temuto da Scalfaro, si vanno precisando alcune tendenze: appare sempre più in ombra il primo appuntamento, quello col referendum elettorale del 18 aprile; si fanno invece più fervide le attese, e più fitte le manovre, o i depistaggi, per la elezione del nuovo capo dello Stato, che avverrà un mese dopo.
A rendere più freddo il clima attorno al referendum contribuisce il silenzio di molti referendari, o almeno di coloro che, come D'Alema e i Ds in genere, sono saliti sul carro dopo il "si" della Corte Costituzionale. Mario Segni ha più volte denunciato l'ambiguità di coloro che vedono nel referendum "uno stimolo rivolto al Parlamento". E però, il silenzio sul voto almeno un effetto può raggiungerlo. Sono sempre meno coloro i quali sperano, o temono, che il suo risultato possa avere l'effetto di uno scossone sulla liturgia dell'elezione del successore di Scalfaro.
D'altra parte a rendere più visibile il lavorio attorno al Quirinale non sono tanto le iniziative dei partiti quanto l'imprevisto clamore suscitato da una iniziativa di tipo extra-parlamentare: la campagna a favore di Emma Bonino, lanciata dall'appello di personalità politiche e della cultura qualche settimana fa e amplificata dall'assemblea radicale di Roma dei giorni scorsi. La candidatura della Bonino, in sé potrebbe lasciare indifferenti i "grandi elettori", deputati, senatori, delegati delle regioni. Ha però avuto, e potrà avere ancora un'eco popolare, visto che l'appello "Emma for President", per il quale i radicali hanno cominciato da ieri a esporre i loro tavoli e a raccogliere le firme, è vissuto come un evento destinato a rompere il clima conventuale nel quale il Palazzo si sta avviando al suo appuntamento più importante.
In effetti la campagna per la Bonino, che ha inalberato uno slogan politicamente scorretto ("Finalmente un uomo giusto al posto giusto") può coagulare l'attenzione di quella parte del Paese che assiste di malavoglia al rinnovarsi della elezione in conclave di una carica che, in particolare con Scalfaro, si è caratterizzata per un uso sempre più dilatato e discrezionale del potere. Fino a qualificarsi come l'autentico vertice delle nomenklature dei partiti di governo, che dalle sue iniziative hanno tratto i maggiori vantaggi.
La candidatura di Emma Bonino, per la qualità del personaggio e per la sua storia, che è quella del movimento pannelliano il quale non ha mai nascosto la sua avversione agli intrighi di Palazzo, finisce per assumere un carattere polemico, se non eversivo, colto subito dalle forze più codine sotto il profilo istituzionale. Di qui i primi tentativi di stopparla negandone ogni valore o contrapponendo altre candidature femminili. Non a caso i primi "no" sono venuti dagli alleati minori dei Ds, che sono anche i più ostili al referendum come evento volto a turbare gli equilibri raggiunti: da Cossutta al verde Mattioli, che alla Bonino contrappone il campione dell'antica alleanza Dc-Pci Tina Anselmi, preferita anche da Fausto Bertinotti; a Franco Marini, che come segretario del Ppi deve sostenere Rosa Russo Jervolino; ai Ds, venuti allo scoperto per ora solo con la voce di alcune delle componenti del Governo D'Alema.
In coincidenza con un dibattito che proprio attorno all'8 marzo ha accennato a scaldarsi, i Ds hanno annunciato la candidatura a Strasburgo di un'altra donna, l'ex presidente dell'Anm Elena Paciotti. Per la seconda volta in pochi anni, il Pds (che pure in qualche caso mostra qualche turbamento per l'onnipotenza di certe procure) ricorre a esponenti di punta della magistratura giustizialista: ieri Antonio Di Pietro, oggi Elena Paciotti che dovrebbe portare in Europa una voce inquietante della storia italiana di questi anni.