mercoledì 8 dicembre 1999 pag.1Pannella gli dice: "Vattene"
Prodi torna a rimbalzare tra gli scandali, ma non è chiaro che c'è dietro.
Campagna di stampa inglese, blackout in Italia. Il libro di un ex pm, ex Pci.
Imbarazzo. A sorpresa attacco radicale.
Necci e l'ombra degli appalti
Roma. Marco Pannella insiste: "Romano Prodi deve dimettersi da presidente della Commissione europea. Se comprensibilmente
non vuol farlo ora, in relazione al nostro invito, lo faccia alla prima occasione utile. Ma non si illuda di poter sfuggire ai fantasmi del passato, che non passa finché non gli si pone
sopra la pietra tombale della verità".
La perentoria richiesta di dimissioni, avanzata da Pannella dopo la presentazione del libro-inchiesta dell'ex magistrato Ferdinando
Imposimato sul grande - e mai chiarito - affare dell'Alta velocità, ha fatto rumore. Il leader radicale spiega: "E' un invito, quello che
abbiamo rivolto a Prodi, che va inquadrato in un contesto assai più ampio. Non si comprende come siamo arrivati a questa conclusione se non si ripercorrono le tappe fondamentali
di quella grande operazione che parte nel '92 e passa sotto il nome di Tangentopoli. Da quella operazione Prodi, esponente
di primo piano della cosiddetta Prima repubblica, si è salvato perché nei suoi confronti non c'è stato l'accanimento giudiziario
che ha costituito la regola di comportamento verso molti altri illustri boiardi e uomini politici. Mentre gli altri
cadevano, si suicidavano, venivano travolti, lui è diventato il
'prescelto' della sinistra e il capo del primo governo dell'Ulivo.
Oggi però quelpassato sta fatalmente riemergendo, e rischia
di travolgerlo". Se finora Prodi è stato
"un totem intoccabile", le cose potrebbero presto cambiare.
E' vero, dice Pannella, che al momento non
esistono inchieste aperte nei confronti dell'ex
presidente dell'Iri ed ex garante della Tav. Anzi, aggiunge l'europarlamentare: "Non avendo alcuna fiducia nell'onestà della amministrazione della giustizia italiana, posso anche ritenere che nel caso di Prodi, come è successo a Brescia per Antonio Di Pietro, si accerti la verità storica di fatti spiacevoli che
lo coinvolgono senza ritenerli penalmente rilevanti.
Ma constato che stanno riemergendo molte vicende su cui ci furono enormi omissioni: dalla questione Sme, su cui viene rinviato a giudizio Silvio Berlusconi sorvolando
sul ruolo del capo dell'Iri, alla vendita della
Cirio, su cui restano molti dubbi, fino alla storia
della Tav. Una storia per cui, ne sono convinto,
sta pagando solo Lorenzo Necci e non perché fosse un membro effettivo della mafiosità partitocratica, ma perché con quella
mafia si trovò costretto a trattare". Non è un caso, dice Pannella, se "appena i due pm ragazzini di La Spezia iniziarono a riprendere
in mano quell'inchiesta, ne furono immediatamente
spogliati a favore delle procure di Perugia e di Milano".
Perché lui fuori?
Perché l'Iri di Prodi, che pure era "il potentato centrale del sistema delle Partecipazioni statali", è uscito indenne dalla bufera di
Tangentopoli? "Perché, come contestai fin dall'inizio a Borrelli e Di Pietro, ci fu una precisa scelta di politica giudiziaria da parte della procura di Milano: quella di non contestare agli indagati di Mani Pulite il reato di associazione a delinquere, nonostante che
quello che stava emergendo fosse chiaramente un sistema che coinvolgeva 'tutti' i partiti (tranne i radicali), come disse in Parla-mento Bettino Craxi. Ma contestare il reato associativo avrebbe inevitabilmente comportato l'estensione dell'indagine in direzioni
non controllabili e non volute: innanzitutto verso la sinistra e verso gli uomini tutelati dalla sinistra". Come Prodi, appunto.
Il primo segnale della "intoccabilità" di Prodi, racconta Pannella, risale ai tempi del caso Moro e della famosa seduta spiritica da
cui sarebbe uscita l'indicazione "Gradoli". "Il Parlamento arrivò a stabilire la validità dello spiritismo come scienza conoscitiva, pur di non farsi spiegare da Prodi come fosse venuto in possesso di quell'informazione clamorosa, che avrebbe potuto salvare la vita di Aldo Moro se non si fosse creata quell'immediata cortina fumogena che i soli radicali tentarono di spezzare. In vent'anni, nessuno gliene ha mai chiesto conto".
Ma ora c'è una variabile complicata: il ruolo di Antonio Di Pietro, sempre più inquieto e minaccioso. "Mi è stato, credo a ragione,
rimproverato a lungo un atteggiamento moderato e tollerante verso i tanti errori di Di Pietro. C'entrerà magari un po' di solidarietà
abruzzese-molisana, c'entrerà il fatto che io ho sempre ritenuto che il problema non fossero i comportamenti esistenziali di Di Pietro ma se mai quelli di Borrelli, Caselli o D'Ambrosio.
Ma non mi sento di escludere che anche su questa vicenda, prima o poi, Tonino decida di vuotare il sacco. E' un'altra 'x', una
variabile di cui Prodi deve tener conto". Ma come scrive anche la stampa inglese, che gli dà spesso il tormento, contro Prodi di con-creto c'è il nulla. E bisogna prenderne atto.