Roma, 15 settembre '00
Sergio D'Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, replica alle accuse di Maurizio Gasparri riguardo alla pena di morte in Cina.
"Per quanto ci riguarda, non abbiamo mai smesso in questi anni - come Partito radicale e come Nessuno tocchi Caino - di esercitare nei confronti della Cina il diritto-dovere di ingerenza. Ricordo solo alcune iniziative. A partire dal '93, quando alla Conferenza di Vienna sui diritti umani, dove per le pressioni cinesi al Dalai Lama fu vietato il solo affacciarsi, con uno stratagemma riuscimmo ad alzare una scritta: Save Tibet. Spesso siamo andati davanti all'ambasciata cinese e, una volta, per consegnare all'ambasciatore un sacchetto di plastica pieno di bossoli di pistola per ricordare che nel suo paese fanno pagare ai parenti dei "giustiziati" i colpi che li hanno uccisi. Poi, davanti al Campidoglio, ad accogliere il Sindaco di Pechino Jia Qinglin con la bandiera del Tibet e i cartelli su Tienanmen. Dalla denuncia del dissidente cinese Harry Wu, raccolta da Nessuno tocchi Caino, è nata una iniziativa nel Parlamento italiano ed europeo contro il traffico di organi strappati a condannati a morte. Ultima, in
ordine di tempo la mobilitazione - insieme ad Enzo Trantino di AN - per impedire che venisse estradato in Cina a rischio di pena di morte Song Zhicai, detenuto a Regina Coeli. In queste occasioni non abbiamo visto mai la partecipazione o l'adesione di Maurizio Gasparri.
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