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Agora' Agora - 22 ottobre 1988
INDUSTRIE MILITARI: "IL NOSTRO COMPLESSO MILITARE INDUSTRIALE SI FA UNICAMENTE 'APPREZZARE' PER I SUOI TRISTI SCANDALI.
INTERVENTO DI ANGELO DE FEO, GIA' CAPO DELLA II SEZIONE DEI SERVIZI SEGRETI MILITARI.

Roma, 22 ottobre - N.R.- Angelo De Feo, già capo della II sezione dei servizi segreti militari, interviene oggi sull'argomento "industrie militari" con la seguente dichiarazione:

"Nella trasmissione "Il Duello", andata in onda su RAI tre il 20 ottobre u.s., il generale Carlo Jane ha sostenuto che non esiste difesa senza una industria degli armamenti, e che non può esistere un'industria di armamenti se non v'è un rapporto economicamente accettabile fra produzione e flusso di esportazioni. Entrambi le relazioni non sono vere per il nostro Paese ed anzi vengono a dare forza a tutto quanto di male si è detto sul connubio militare industriale italiano. Iniziamo con il ricordare al Generale l'incontro avvenuto, nei primi mesi del 1978, presso la Commissione Difesa della Camera, quando da un ufficiale di marina, con il concretizzarsi della minaccia dal Sud, venne proposta una forma di difesa incentrata su forze territoriali a base regionale, composta essenzialmente da personale di leva. Su questa struttura si sarebbero dovute inserire le grandi unità, formate essenzialmente da volontari, dotate di grande mobilità e potenza di fuoco, in grado cioè di intervenire sull'arco dei 360·, lì dove l

'emergenza si veniva a manifestare.

Per soddisfare gelosie e ambizioni, a circa un decennio da quell'incontro, abbiamo assistito al formarsi di una forza di intervento rapido incentrata su reparti speciali delle tre FF.AA., con conseguenti limitazioni e condizionamenti operativi, logistici e addestrativi. Ma quello che più conta, non avendo attuato la struttura regionale territoriale, resta da conoscere su quale tessuto questo reparto verrebbe ad inserirsi, specie al Sud, vista la mancanza di alcunché di significativo, in campo difesa, nel Mezzogiorno d'Italia.

Ne consegue quindi che nell'incomprimibile tempo di intervento, l'ipotetico avversario potrebbe continuare ad avanzare assolutamente indisturbato.

Nel campo industriale poi, il Generale non ha detto che, pur se a buon livello, la nostra produzione militare, non è stata mai in condizione di inserirsi in modo significativo nelle grandi produzioni NATO, e che la sua affermazione nei Paesi del terzo mondo, seppure in un periodo eccezionale di vacche grasse, si è avuta unicamente perché è stata ceduta senza alcuna condizione. Sospetta quindi, ai fini della difesa, la stessa adozione di armamenti nazionali da parte di alcuni nostri reparti (a proposito dove è finita la dottrina sulla standardizzazione degli armamenti?);

Addirittura vi è chi sostiene che ciò sia avvenuto per consentire alle aziende di compiere una più incisiva azione promozionale.

A questa necessità dovrebbe farsi risalire anche la recente decisione di mandare sulle Ande nostri reparti alpini e di contrabbandare per severa e moralistica una legge sulla vendita dei materiali militari, attualmente all'esame del Parlamento, che dovrebbe fare arrossire molti nostri politici, per le sue dichiarate finalità promozionali.

Criticabile quindi, sia per il suo modello di difesa, sia per la qualità delle armi che produce, il nostro potente complesso militare industriale si fa unicamente "apprezzare" per i suoi tristi, ricorrenti scandali, fra i quali ricorderò il caso "Lockheed" e la megatangente di 180 miliardi corrisposta per acquisire la commessa di un'intera flotta all'Iraq, in discussione in seduta congiunta presso il nostro Parlamento il 24 ottobre prossimo.

 
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