Roma, 14 marzo - N.R. - "Il Giornale d'Italia" di domani 15 marzo 1989 pubblicherà il seguente intervento di Massimo Teodori:
"Da quel lontano 1947 quando l'art.7 sul Concordato fu inserito nella Costituzione per volontà togliattiana, noi anticoncordatari non solo teorici ma operanti ci sentivamo un pò come gli ultimi dei mohicani. Ogni 11 febbraio e 20 settembre tentavamo di riproporre nel paese e in Parlamento i Patti Lateranensi come una grande questione di libertà ma incontravamo interessati pochissimi laici non dormienti ed alcuni cristiani e cattolici consapevoli di quale strumento di dominio e di autorità fosse il Patto del 1929 specialmente per loro.
All'indomani della approvazione del divorzio, con la legge prima e con la conferma del referendum dopo, fummo tra coloro che ritenevano necessario continuare la battaglia di libertà con il Concordato proponendone l'abrogazione e tentando a più riprese di lanciare un'apposita lega che riunisse gli spiriti liberi d'ogni schieramento.
Rimanemmo ancora più soli nella opposizione, noi radicali e pochi altri indipendenti di sinistra, qualche liberale e qualche repubblicano, quando Craxi opportunisticamente firmò quel "nuovo Concordato" che i presidenti del consiglio democristiani per oltre quindici anni non erano riusciti o non avevano voluto realizzare.
Ben presto ci si accorse quale disastro il nuovo Patto rappresentasse con le sue caratteristiche di continuo negoziato aperto in cui, di fronte ad una Chiesa agguerrita, stava uno stato inerme e imbelle, sul piano ideale prima ancora che su quello politico e pratico.
Era chiaro già nel 1984 e 1985 che Craxi aveva messo in atto il primo di una serie di atti propagandistici sulle macerie dei principi laici e di libertà mentre per quasi tutte le altre forze politiche (con la eccezione di gran parte della DC e del PCI di Bufalini e Cardia) la natura dei rapporti tra Stato e Chiesa era indifferente e marginale, quasi un fastidio residuale del passato.
Grande importanza ha quindi oggi il movimento che dalla base comunista sorge per l'"abrogazione" o il "superamento" del Concordato e della relativa tradizione. A nostro avviso è questo il segno più chiaro e importante della mutazione profonda del corpo comunista proprio perchè avviene su un terreno di libertà e di diritto su cui si è ostinatamente stratificata non tanto la tradizione catto-comunista e filo vatican-concordataria del comunismo nostrano quanto la supremazia della "ragion politica" e di partito su ogni altro valore.
Vi erano già stati nel PCI segni positivi, ma si trattava di eretici come Terracini in passato o di intellettuali isolati come Mario Alighiero Manecorda e Cesare Luporini più recentemente. Oggi invece sono le grandi federazioni tra cui Roma, Torino e Napoli che chiedono l'abrogazione del Concordato dando così un colpo alla più radicata delle continuità comuniste, quella appunto che si ostina a considerare il rapporto con il mondo cattolico in Italia necessariamente ispirato a patti e privilegi.
Siamo attentissimi a quel che accadrà al movimento anticoncordatario che si è messo in moto nel PCI ed al modo in cui potrà svilupparsi. Lo consideriamo una vera e propria cartina di tornasole: se non vi saranno reprimende e arresti di qualsiasi tipo, significherà che è ormai maturo nel nostro Paese un grande movimento alternativo non basato su fragili schieramenti ma sui contenuti di libertà e di diritto e di cui la forza comunista sarà a pieno titolo un fondamentale pilastro costituente.