Roma, 28 agosto -N.R.- Giovanni Negri della segreteria del PR e Consigliere nazionale del PSDI ha inviato oggi la seguente lettera aperta alla direzione del PSDI la cui riunione è prevista per domani:
Cari compagni,
avrei atteso la convocazione del prossimo Consiglio Nazionale per sollecitare nella sede statutaria più propria il dibattito sulle scelte, sul presente e sul futuro del partito, oltre che sulla collaborazione stabilita in questi mesi con il partito radicale in generale e con me ed altri compagni in particolare.
Tale dibattito mi pareva e tuttora mi pare la necessaria, indispensabile conseguenza della difficile ma realizzata sopravvivenza elettorale del partito.
Conquistato non certo in modo indolore il "primum vivere" e battuto il cieco disegno delle annessioni che ha infaustamente dominato la politica del vertice del PSI fino al 18 giugno, mi sembrava e sembra insomma passare a quel "deinde philosophare" senza il quale ho ragione di ritenere che le cause strutturali dell'attacco e della crisi del PSDI rischino tosto o tardi di riproporsi seppure con modalità e forse protagonisti diversi.
Mi aspettavo anzi, in verità, l'apertura di un ampio e puntuale confronto collettivo - magari istruito attraverso l'Umanità, affinché superasse la ristretta cerchia della direzione e del Consiglio Nazionale - all'indomani del 18 giugno e su iniziativa degli organi del Partito. Così purtroppo non è stato ed è solo per ragionevole, assennata prudenza che ho tanto silenziosamente quanto rispettosamente accettato l'accantonamento di tale confronto, la decisione del partito di concorrere alla formazione dell'attuale governo Andreotti senza alcuna condizione politica e senza proposte autenticamente riformatrici, oltre che pubblici giudizi relativi all'apporto e alla politica radicale quanto meno superficiali, accompagnati inoltre dal rifiuto di pubblici incontri con i Gruppi Parlamentari Federalisti europei nel corso della crisi di governo.
Se mi rivolgo ora alla direzione non è dunque per anticipare un dibattito che già avrebbe potuto e dovuto aver luogo, ma perché le scadenze politiche obiettivamente lo impongono: occorre infatti affrontare le prossime elezioni amministrative di primavera e ancor prima un voto anticipato romano che richiede appropriate scelte entro il mese di settembre e il cui valore politico trascende ormai ogni pur importante significato locale. Oggi a Roma e domani a Milano, Torino o Palermo, queste scadenze segneranno non tanto per la sempiterna DC andreottiana o per il PCI del nuovo corso, quanto per i partiti laici e socialisti altrettanti appuntamenti decisivamente cruciali per strategie e ruoli che essi intendono assumere nei prossimi anni il che è tutt'altro che indifferente per chi, come il sottoscritto, ha da sempre lottato per l'unità laica e socialista (dalla promozione di liste elettorali e referendum comuni sino all'ultima campagna elettorale) nella convinzione che solo un grande "rassemblement" politico
ed elettorale di queste forze possa garantire la rottura democratica di un quarantennale sistema politico prima consociativo poi puramente partitocratico, comunque logorato, soffocante, inadeguato a rispondere alle esigenze della società.
La proposta di una grande lista civica per Roma intitolata a Ernesto Nathan (ed altrettante liste civiche potrebbero essere formate non solo nelle principali metropoli) mira precisamente a fare di queste forze i protagonisti di quella alternativa politica e civile nei metodi di amministrazione e nei drammatici problemi da affrontare che è oggi a grandissima voce richiesta dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, anche al di là dei rigidi meccanismi del voto clientelare e controllato lentamente ma inesorabilmente destinato all'erosione. Posso comprendere i dubbi e gli interrogativi attorno alla proposta di liste capaci di rappresentare un grande cartello di forze riformatrici, non certo la loro sbrigativa e imprudente liquidazione, tanto più se accompagnata oltremodo da sin troppo eloquenti silenzi circa qualsiasi credibile opzione alternativa a tali proposte.
L'alternativa ad una politica di coraggio e di forte iniziativa laica e socialista, benché pudicamente taciuta è in realtà a tutti nota: una definitiva subalternità storica barattata con piccole o grandi posizioni di rendita, non di rado per qualche piatto di lenticchie.
Le elezioni romane, le amministrative generali che seguiranno, sono perciò un banco di prova che sappiamo decisivo e che purtroppo impongono l'anticipazione di riflessioni e scelte che avrebbero forse necessitato di ben più tempo, benché i risultati generali delle elezioni europee consentano pochi dubbi di interpretazione circa le tendenze in corso. In circa un decennio le forze alternative ai partiti tradizionali si sono dilatate sino al 10% dei consensi (Verdi, DP, Antiproibizionisti...), la più grave crisi elettorale della DC è stata riassorbita, la tanto auspicata e persino stoltamente conclamata catastrofe del PCI è pressoché ribaltata di segno, i partiti laici e socialisti sembrano rinchiusi nel sostegno ad Andreotti e ridotti a regolare i propri conti e rivalità sulla vicinanza o lontananza dal "demone" Pannella.
Più passa il tempo e più i fatti, mi pare, si incarichino di dimostrare come la politica delle liste e dei referendum comuni di alcuni anni orsono, fosse pagante e di crescita per tutti, mentre la politica delle annessioni o quella della meccanica ripresentazione dei propri simboli di partito fin nel più piccolo Comune italiano e senza nuovi progetti politici di respiro, è destinata a regalare altri decenni di egemonia alla DC e il ruolo di protagonista storico del ricambio democratico a vecchie o nuove forze emergenti, primo fra tutte ad un Partito Comunista determinato a darsi presto la forma, la sostanza se non anche il nome di partito socialista democratico.
In questo quadro temo che ogni "eroica battaglia" di piccole liste di partito tradizionale in difesa di un assessorato, escludendo preventivamente ogni più ambizioso progetto politico, sia l'opposto di un buon servigio alla vita e al rinnovamento del partito, oltre che a una politica di unità laica e socialista. Spero perciò che anche in relazione alle elezioni romane e alla proposta di lista Nathan la direzione voglia concretamente aprire quel dibattito sulle prospettive del partito che non si è potuto sin qui svolgere e rischia di essere vanificato da decisioni tanto scontate e ripetitive quanto gravide di negative conseguenze.
Non ho nè la presunzione nè i titoli per dettare scelte politiche ed elettorali del PSDI, ma per quanto mi riguarda, in piena coerenza con l'impegno di questi mesi e con il contributo che credo ho saputo lealmente dare al partito, ritengo pregiudiziale e decisiva l'apertura di questo pieno e reale confronto politico sulle sue prospettive.