Roma, 30 agosto, -N.R.- Paolo Pietrosanti, Consigliere federale del Partito radicale, ha oggi inviato la seguente lettera all'Ambasciatore statunitense a Roma Peter Secchia:
»Pregiatissimo Signor Ambasciatore, Il Presidente Bush ha di certo molti meriti, acquisiti in questi primi mesi di mandato; ma Ella converrà che la politica che l'Amministrazione di Washington sta esprimendo a proposito di droga non può non destare serie e gravi preoccupazioni. C'è chi parla del rischio di un nuovo Vietnam, tanto che i generali del Suo paese sconsigliano un coinvolgimento militare ampio e diretto nella "guerra" colombiana. La risposta verrà il 5 settembre, quando il Presidente pronuncerà con grande solennità un discorso televisivo su tutte le reti e in orario di massimo ascolto, e sapremo quale e quale tipo di coinvolgimento sceglierà, e soprattutto se verrà piattamente confermata la politica dell'Amministrazione in materia. Il fatto è che le scelte tuttora apparentemente maggioritarie nel mondo peccano palesemente di irragionevolezza e - mi consenta - di ottusità.
Sì, Signor Ambasciatore, il problema è che si tratta di una politica in primo luogo ottusa, dettata tra l'altro da quella iattura che è costituita da un pessimo modo di intendere il rapporto tra la classe politica e l'opinione pubblica.
Lo si è detto molte volte: stante il fatto che quello in ballo è il più grande affare della storia, si ritiene ragionevolmente possibile impedirlo con arresti, distruzione di piantagioni, elicotteri, consiglieri militari o truppe? Ma Lei, Signor Ambasciatore, ci crede davvero? Mi consenta di dubitarne, note come sono della Sua persona le doti di concretezza e intelligenza. E il Presidente Bush, in coscienza, ci crede davvero? Difficile pensarlo, in verità, proprio sulla base di quanto dicono i suoi generali, che prevedono la sconfitta in una "guerra" di tal fatta.
Vede, Signor Ambasciatore, questo pugno di ferro mi fa pensare alla tragica questione della pena di morte, che nel suo paese è comminata da leggi federali ai colpevoli di delitti connessi alla droga. Ebbene, pur di fronte alla dimostrazione ormai inoppugnabile che la sanzione capitale non riduce la criminalità,l'esempio di democrazia e libertà che è il Suo paese non se ne libera,e anzi ne aumenta la applicabilità e l'applicazione. Nella "lotta alla droga", similmente, di fronte alla limpidezza delle più elementari regole dell'economia, e all'esperienza di decenni, si persegue una strada suicida, sulla quale necessariamente si immolano milioni di vittime del traffico e della politica proibizionista, ben più e prima che della sostanza. E si accentuano le pene, nonostante sia dimostrato questo non serva (e, finalmente, sembra se ne stiano accorgendo anche tanti giudici statunitensi).
Che il Presidente rifletta, e ascolti finalmente alcune tra le più brillanti menti di cui la stessa Amministrazione si è servita e si serve. Nell'interesse dell'America, in primo luogo. Ed Ella può- è quanto mi permetto di chiederLe pur conscio della possibile inanità di certi sforzi- rappresentare al Suo Presidente quanto sia autorevole anche in Europa la compagine di coloro che ritengono quella non proibizionista e antiproibizionista l'unica strada da percorrere. Prima che il 5 settembre possano essere annunciate scelte suicide e pericolose per tutti.