Roma, 12 settembre -N.R.- I deputati Peppino Calderisi, Mellini, Teodori (Federalisti Europei) , Vesce e Rutelli (Verdi Arcobaleno) hanno presentato la seguente interrogazione sullo sciopero della fame di Sergio Segio al ministro della Giustizia.
per sapere, premesso che:
- Sergio Segio, detenuto nel carcere delle Vallette, condannato per fatti di terrorismo e da molti anni dissociato dalla lotta armata, è da quattro giorni in sciopero della fame di fronte alla decisione del magistrato di sorveglianza di Torino, dott. Pietro Fornace, di negargli l'autorizzazione al lavoro all'esterno (art. 21 della legge penitenziaria) presso il "Gruppo Abele" di don Luigi Ciotti, a cui era stato assegnato dalla direzione del carcere;
- il dottor Fornace avrebbe motivato tale decisione con il fatto che Sergio Segio, condannato a 29 anni e in prigione da 9 anni e mezzo durante i quali ha usufruito di numerosi permessi premio, non avrebbe ancora espiato a sufficenza per essere ammesso al lavoro all'esterno del carcere;
- il dott. Fornace ha invece concesso a Susanna Ronconi, moglie differenza di Segio, l'autorizzazione al lavoro all'esterno presso lo stesso "Gruppo Abele" ed avrebbe ammesso all'art. 21 anche altri detenuti la cui posizione giuridica non sarebbe difforme in alcun senso da quella di Sergio Segio;
- il dettato dell'art. 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, a differenza di altri benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, non pone assolutamente come condizione alla ammissione al lavoro esterno avere scontato una quota della pena ed assegna all'autorità giudiziaria competente di approvare o meno il provvedimento di ammissione al lavoro esterno che è disposto dalla direzione del carcere.
Se non ritenga che il magistrato di Sorveglianza del carcere delle Vallette abbia assunto una posizione discriminatoria nei confronti di Sergio Segio rispetto ad altri detenuti nelle sue stesse condizioni.
Se non ritenga altresì che il dott. Pietro Fornace abbia agito e motivato la sua decisione in difformità con il dettato dell'art. 21 della legge penitenziaria.
Se non ritenga, infine, di dover intervenire presso l'autorità competente perchè siano ripristinate condizioni di giusta ed equa applicazione della normativa vigente.