(La Stampa, venerdì 8 Nov. 1994)»Le fatiche di un Italiano . Martino: spiego il Paese al mondo.
»Pensi che l'altro giorno la collega svedese mi ha chiesto se volevamo invadere la Slovenia .
»Dopo la nomina della Bonino a Bruxelles il nostro rapporto con le opposizioni si è incrinato
ROMA. »Sa cosa mi chiese qualche settimana fa il ministro degli Esteri svedese, la baronessa Margaretha uf Ugglas? Mi chiese se era vero che noi italiani volevamo invadere la Slovenia . Antonio Martino, 51 anni, ministro degli Esteri ed esponente di spicco dell'ala liberal nel governo Berlusconi, ride di gusto. E aggiunge che di episodi come questo gliene sono capitati più d'uno in questi primi sei mesi alla guida della Farnesina. La partecipazione di Alleanza nazionale al governo la disomogeneità della maggioranza, l'instabilità del quadro politico, per non parlare dei tagli drastici al suo bilancio... »Esistono obiettive difficoltà nella gestione della politica estera e sarebbe ipocrita negarlo . Difficoltà aggiunge il ministro che in alcuni momenti hanno reso particolarmente »intenso e gravoso il compito di spiegare la nuova realtà italiana all'estero.
-Quanto ha pesato il problema dei ministri post-fascisti?
»Abbiamo dovuto spiegare la loro presenza nel governo, così come una coalizione di sinistra avrebbe dovuto spiegare la presenza di esponenti di Rifondazione comunista. In realtà, tutto il cambiamento nella politica del nostro Paese andava spiegato e questo abbiamo fatto nei primi mesi .
-Rimane il problema di fondo: come esprimere una politica estera coerente con una maggioranza così disomogenea?
»E vero c'è una forte disomogeneità nella compagine di governo. Ma per offrire un'alternativa agli elettori abbiamo dovuto costruire una coalizione con le forze politiche esistenti. Come disse una volta Helmut Schmidt al suo segretario: "Gli americani sono quelli che sono, ma sono gli unici americani che abbiamo". Bisogna anche dire che il problema della disomogeneità è esistito in tutti i governi degli ultimi quarant'anni .
-In genere, però, la politica estera rimaneva al di fuori della rissa.
»Mi reputo fortunato perché anche con questo governo il clima attorno alla politica estera è stato molto più sereno rispetto al clima in cui si discute di politica interna. Finora sono molto soddisfatto .
-»Finora , signor ministro?
»Da una quindicina di giorni appaiono con una certa frequenza sulla stampa delle critiche ad alcuni aspetti della nostra politica estera .
-Le critiche fanno parte del gioco democratico.
»Certo, e sarei un pessimo liberale se non credessi all'importanza della critica. Fu Churchill a dire che la critica è come il dolore: se c'è vuol dire che qualcosa non va. Il fatto è che le critiche sono sbagliate .
-Per esempio?
»Per esempio sulla Slovenia. Alcuni giornali ci hanno accusato di aver assunto una posizione di particolare durezza nei confronti di Lubiana. Ma è vero il contrario .
-E ancora?
»Quando la settimana scorsa il portoghese Cutilheiro è stato preferito al nostro Jannuzzi per guidare la Ueo un grande giornale ha titolato: "L'Italia di nuovo sconfitta". Parlare di sconfitta mi è sembrato francamente eccessivo. Dopotutto l'Italia aveva appena ottenuto che Ruggiero fosse il candidato unico degli europei alla guida di World trade organization .
-Le sembrano critiche molto gravi?
»Finora nessuno ha attaccato le questioni di fondo della nostra politica estera e con l'eccezione del mio vecchio amico Giangiacomo Migone, non sono quasi mai partite da esponenti politici di primo piano. Ma qualcosa è cambiato .
-Quando sono cominciati i problemi?
»Appena si è conclusa la vicenda delle nomine dei due commissari alla Ue (Mario Monti e Emma Bonino, ndr) .
-Una vicenda in cui lei, e il suo candidato Napolitano, siete usciti battuti.
»Io mi ero schierato a favore di Napolitano perché in quel modo avremmo rispettato il criterio, seguito negli altri Paesi, di scegliere uno dei due commissari tra i membri dell'opposizione. Invece è andata diversamente e dopo la nomina della Bonino il rapporto con le opposizioni si è incrinato .
-Si è incrinato anche il suo rapporto con Pannella.
»Pannella, di cui mi reputavo amico, è sempre stato... vorrei dire chiassoso ma sarebbe offensivo... è sempre stato il più aperto nelle sue critiche alla mia persona. Prima sosteneva che dovevo fare il ministro economico anziché il ministro degli Esteri, poi ha cominciato a dire che facevo male anche il ministro degli Esteri e che dunque avrei dovuto lasciare il governo .
-Ha detto anche che lei si è accanito contro la nomina della Bonino »Non mi sono affatto accanito. A nomine fatte ho dichiarato che non sempre le ciambelle riescono col buco. Commento di Pannella: Martino è una ciambella trasformistica e italiota. Ma io non intendevo affatto criticare la Bonino. Io sono suo amico e sono convinto che farà benissimo il suo lavoro
-Torniamo alle sue »difficoltà oggettive . E' possibile fare politica estera con uno strumento militare quasi allo sfascio e con le casse della Cooperazione praticamente vuote?
»Tradizionalmente la politica estera si faceva col bastone, cioè la credibilità dello strumento militare, e con la carota, cioè con gli aiuti per lo sviluppo. I tagli che si sono succeduti nel tempo hanno certamente ridotto la valenza sia dello strumento militare che della Cooperazione. Questo è senz'altro un handicap .
-Superabile?
»Per quanto riguarda lo strumento militare debbo dire che la politica di potenza non mi sembra quella più confacente agli interessi del Paese .
-E la Cooperazione?
»La riforma della Cooperazione è quasi arrivata a conclusione. Avere pochi soldi significa non potere fare nulla? No, possiamo ancora fare, ma dobbiamo ridurre il ventaglio delle finalità e concentrarci su alcuni Paesi .
-Quali Paesi?
»Albania, Palestina e Medio Oriente in generale, Corno d'Africa. Si tratta di individuare le zone in cui esiste un forte interesse nazionale e adoperarci perché i pochi soldi che abbiamo siano spesi bene. In altre zone, dove in passato l'Italia ha finanziato numerosi progetti, non si tratta più di fare cooperazione nel senso tradizionale del termine .
-Che vuol dire?
»Pensi all'Asia per esempio: se i tassi di sviluppo che si registrano in quei Paesi dovessero continuare, come noi ci auguriamo, l'Asia diventerà il centro mondiale degli scambi. In quei Paesi il nuovo obiettivo della nostra politica estera deve essere quello di favorire la crescita e lo sviluppo dei rapporti economici, e quindi lo sviluppo dei commerci e degli investimenti senza chiusure protezionistiche agli scambi .
-Il tema prioritario della nostra politica estera rimane comunque l'Europa e su questo fronte il nuovo governo non è stato molto chiaro.
»C'è un'esigenza di chiarimento che non riguarda soltanto il governo italiano. L'Europa ha bisogno di un nuovo slancio. Abbiamo una scadenza precisa: la conferenza del 1996 per la revisione del Trattato di Maastricht, che si terrà sotto presidenza italiana. Abbiamo deciso di cogliere l'occasione del 40· anniversario della Conferenza di Messina (in cui furono gettate le basi del Mercato europeo comune, ndr) per riunire il prossimo giugno, sempre a Messina, i sedici ministri degli esteri, per fare il punto in vista della conferenza del 1996 .
-E qual è l'orientamento italiano?
»Noi partiamo dall'ipotesi che l'euroscetticismo non è la posizione schizofrenica di pochi isolati. C'è una vera disaffezione nei confronti dell'Europa. Abbiamo cominciato a fare circolare dei position papers per presentare la nostra posizione, che chiamerei europeista nel senso classico .
-Sarebbe a dire?
»Esistono degli obiettivi d'interesse generale che non possono essere perseguiti efficacemente a livello nazionale. Per questi obiettivi abbiamo bisogno di istituzioni europee. Il principio di sussidiarietà dovrà aiutare a separare chiaramente ciò che dovrà fare l'Europa e ciò che dovranno fare i governi nazionali .
-Detto in questi termini pare più un europeismo all'inglese che un europeismo classico. C'è il rischio che Italia e Gran Bretagna diventino, come scrive questa settimana il Times, »due outsider dell'Europa ?.
»Non credo che ci sia questo rischio. Anche se io sono sempre stato un grande anglofilo. E poi i siciliani hanno sempre avuto un affetto particolare per la Gran Bretagna .
- Andrea di Robilant -