(La Repubblica, 9.11.94)Usa, Sudan, Nord Corea fanno causa comune.
New York - Con la speranza un pò ingenua di non dare troppo nell'occhio, il rappresentante degli Stati Uniti si è allontanato dall'aula del Palazzo di Vetro poco prima di un voto chiave sulla pena di morte. Il comitato dell'Onu doveva decidere su una proposta dell'Italia: l'inclusione di un punto nell'ordine del giorno dell'assemblea generale sulla pena capitale, e il diplomatico americano non voleva né votare a favore, né contro, né astenersi, proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari nel suo Paese, su un tema politico così caldo.
Nonostante l'assenza degli Stati Uniti, oltre che del Sudan, del Pakistan e della Corea del Nord, la proposta italiana è riuscita a passare, con diciassette voti a favore, tra cui quelli di Francia, Gran Bretagna e Federazione Russa, e tre astenuti (Cina, India e Senegal). L'assemblea generale dell'Onu discuterà dunque del futuro della pena di morte, anche se sarà difficle - qualcuno dice impossibile - sconfiggere il fronte dei Paesi favorevole alla morte di Stato, specie nella terza commissione delle Nazioni Unite, quella sui Diritti umani, che per prima si occuperà della questione. La pena di morte è in vigore nella grande maggioranza dei Paesi del mondo, ed è bandita solo in 48 dei 184 Stati membri delle Nazioni Unite. Per i Paesi islamici rappresenta ddirittura una questione "sovrannaturale"; prima del voto dell'altro ieri, infatti, gli ambasciatori musulmani si sono riuniti per discutere sull'argomento e concordare una posizione comune, arrivando alla conclusione che la decapitazione o altre forme di co
ndanne capitali fanno parte dei "precetti divini" e della sfera della sovranità nazionale. E hanno suggerito che la discussione di merito avvenisse non nella commissione diritti dell'uomo ma in quella giuridica. L'Italia si è opposta. Alla presenza anche di Emma Bonino, che tra poco andrà a Bruxelles come commissario dell'Unione Europea, l'ambasciatore Fulci ha osservato che »l'abolizione della pena capitale fa parte dei diritti umani. Per il nostro Parlamento e per la nostra opinione pubblica risulterebbe incomprensibile collocarla in un contesto diverso . L'Onu ha già deciso di non ricorrere alla pena di morte nei processi che si apriranno al Tribunale internazionale sui crimini contro l'umanità commessi nel Ruanda, la cui istituzione, dopo settimane di dibattiti e polemiche, è stata approvata ieri sera dal Consiglio di Sicurezza, con tredici voti a favore, l'astensione della Cina e l'opposizione del Ruanda.
Il tribunale ha l'obiettivo di giudicare i crimini commessi dal primo gennaio 1994 in poi nel Paese africano, secondo lo schema già operativo per l'ex-Jugoslavia. Sarà il segretario generale dell'Onu, Boutros Boutros-Ghali, domani di ritorno a New York dopo un viaggio in Europa (ripartirà tra dieci giorni per Napoli, per partecipare a una conferenza sulla criminalità organizzata) a proporre la sede del tribunale ruandese e la struttura. Esso comunque non avrà il diritto, a differenza di quello di Norimberga contro i crimini della seconda guerra mondiale, di emettere sentenze di morte: proprio questa circostanza trovava l'opposizione del governo ruandese, che contava sulla forca internazionale per vendicarsi dei responsabili di uno dei più tremendi eccidi del ventesimo secolo. Il governo di Kigali, da luglio in mano al Fronte patriottico ruandese, vorrebbe anche che il tribunale fosse nel Ruanda, o magari in un'altra città africana, e non all'Aja, sede preferita da molti altri Paesi membri dell'Onu.