L'INTERVENTO DI CONGEDO DI EMMA BONINO DALLA CAMERA DEI DEPUTATIRoma, 24 gennaio 1995
Signor Presidente
signori del Governo, colleghe e colleghi,
è con profonda emozione - lo potete immaginare - che prendo la parola, oggi, in questa assemblea che sto per lasciare per assumere l'incarico di Commissaria dell'Unione Europea. Ho per una volta,e contrariamente alle mie abitudini, preferito scrivere l'intervento per evitare che l'emozione mi tradisse e mi consentisse solo un saluto rituale, di pura obbendienza alla forma o alla tradizione. Perché di chiarezza, di rigore deve nutririsi in ogni momento il nostro dialogo, il nostro confronto - di noi eletti - con le istituzioni, e in primo luogo con il Parlamento.
Debbo però dire che troppi anni, in varie riprese, ho passato in quest'aula per non sentire il peso del distacco, anche se mitigato dalla spinta dell'entusiasmo, dalla determinazione (e anche dalla preoccupazione) di affrontare il nuovo, difficile impegno.
Desidero qui ribadire di essere sinceramente grata al Presidente Silvio Berlusconi che, designandomi a Commissaria dell'Unione Europea, ha voluto onorare me e, attraverso me, una lunga storia collettiva, la storia del Partito Radicale nel quale ho sempre militato.
Proprio come radicale, ho lavorato in questo Parlamento nella preoccupazione e con l'intenzione costante di cooperare al suo miglior funzionamento e alla piena affermazione dei suoi compiti e del suo prestigio. Non so se si debba parlare - e se sia giusto parlare, oggi - di "centralità del Parlamento" mentre tutte le nostre istituzioni sono in via di trasformazione e di crescita verso forme sempre più efficienti, aperte, dinamiche e rispondenti alle urgenze di una moderna democrazia: ma, con i miei compagni e amici, penso che il Parlamento sia indispensabile strumento di raccordo della libera volontà dei cittadini con lo Stato e le istituzioni di governo. Certo, da deputata, ho commesso anch'io errori, e forse anche molti, ma vi prego di credere che anche essi furono conseguenti a una volontà di servizio limpida e rigorosa. Posso in coscienza affermare di non aver mai anteposto interessi di parte - della mia parte - a quelli del paese e della istituzione: e se le difficoltà che oggi il nostro paese deve affr
ontare sono imputabili al male chiamato "partitocrazia", allora voglio avere almeno il vanto di aver dedicato la gran parte del mio impegno di parlamentare, e fin dal primo momento in cui ho messo piede in questa aula, alla lotta contro quel male e le sue conseguenze.
Un ringraziamento profondo e sincero devo ai quei cittadini italiani che dal 1976 hanno voluto eleggermi a loro rappresentante: spero di non averli delusi e di aver ben meritato. Un grazie particolare va ai cittadini di Padova, che mi hanno dato il voto di questa legislatura: se molto non ho potuto fare in assolvimento al mandato da loro affidatomi, spero di poter dimostrare, nell'adempimento dei nuovi compiti europei, che la loro fiducia nelle mie forze e capacità non era sbagliata.
Ma consentitemi ora anche di rivolgere a tutti voi, deputati di questo Parlamento, a voi signori del governo, a lei signor presidente, un appello pressante. Parto da una premessa: a me pare che il nostro paese e le nostre istituzioni, per le indubbie e ben note difficoltà interne, stiano correndo il rischio di esser sempre più introvertiti, ripiegati su se stessi, incapaci di vedere, di decifrare la realtà più vasta, internazionale ed europea, di cui pure siamo parte; incapaci di sentire e di reagire agli ammonimenti utili e gli stimoli positivi, anche se dolorosi, che da quelle realtà giungono. E', questo del ripiegamento, un rischio che corrono un po' tutti i paesi, con le loro istituzioni, ma forse da noi esso ha un volto più grave: sempre l'Italia ha avuto da pentirsi amaramente di aver abbandonato la via della collaborazione, dell'apertura verso il mondo, e in primo luogo dell'Europa.
L'avvenire europeo si annuncia incerto, malgrado gli obiettivi raggiunti. Certo, stiamo realizzando il grande mercato unico, la coesione economica e sociale del continente, realizzando in qualche modo il modello fatto di competitività che ci stimola, di cooperazione che ci rafforza, di solidarietà che ci unisce, per dirla con il Presidente Delors.
Ma forte è - a mio avviso - la domanda, anzi la necessità, anche di un' altra Europa: quella della Unione politica costruita dai paesi che vogliano davvero; una Europa forte per poter meglio essere generosa e aperta; una Europa che persegua una politica di potenza non fine a se stessa ma per meglio perseguire gli ideali e i valori civili ed etici che in questo dopoguerra, pur tra mille difficoltà, i suoi figli migliori hanno costantemente ribadito e sostenuto.
Tanto più oggi l'eredità dei Padri dell'Europa conserva tutta la sua forza e la sua attualità. Anzi forse proprio oggi è più evidente il ritardo dell'Europa rispetto alle aspirazioni di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi, degli altri che cinquanta anni fa già, da sopra le rovine di una guerra che fu anche guerra "civile", videro e condannarono profeticamente i rischi dei nazionalismi, delle divisioni tra i popoli del continente e lucidamente disegnarono le istituzioni adeguate a salvarli e a consolidarne le strutture e i valori essenziali.
E' su questo terreno che, già alla Conferenza intergovernativa del 1996, si opererà il confronto essenziale e inevitabile; è dunque quello l'appuntamento cui occorre da ora prepararci e per il quale intendo, nel mio nuovo compito, lavorare. Tra chi vuole una Europa solo potenza economica, e chi sente la necessità di una Europa che sappia rispondere con autorevolezza e responsabilità politica alle domande di pace e sicurezza, e per ciò si doti di una politica estera e di difesa comune, la mia scelta è netta e decisa: io sono per la seconda.
La domanda di pace e di sicurezza è là, imperiosa e drammatica, come dopo la seconda guerra mondiale, anche se si presenta con caratteri diversi, in questo tempo di "dopo guerra fredda": sale a noi dalla Bosnia e dal Rwanda, dalla Cecenia o dal Tibet, come da tante altre parti del mondo. A soli 200 km da noi, violenza, genocidi, epurazioni etniche, integralismi, nazionalismi distorti sollevano verso di noi il loro appello disperato. L'Unione Europea non può sfuggire le proprie responsabilità etiche e civili (e dunque politiche) solo perché sazia della propria abbondanza e della propria potenza economica o perché proiettata in un mondialismo vuoto, alibi a buon mercato per tacitare le coscienze.
Sarò a Sarajevo e a Mostar sabato e domenica. Spero nelle mie nuove funzioni di portare là anche i vostri valori, le vostre preoccupazioni, il vostro dolore per il massacro che non abbiamo saputo evitare.
Signor Presidente, signori del governo, colleghe e colleghi, sono certa che a questi obiettivi, a queste necessità, a queste sfide - insomma all'appuntamento del 1996 - questo Parlamento, la classe politica, il paese tutto saprà partecipare con la necessaria convinzione e fermezza. Per la mia parte, consapevole come sono della necessità di un ampio raccordo politico e strutturale tra le istituzioni europee e quelle nazionali, metterò ogni impegno per stimolare, sollecitare e anche dare collaborazione a questa istituzione. Sono profondamente convinta che solo muovendo in questa direzione noi tutti faremo il bene del nostro paese, dell'Europa, della libertà e della democrazia.
Infine, prima di concludere, desidero informare che mi sono contemporaneamente dimessa da segretaria del Partito Radicale, transnazionale e transpartito, che affido all'attenzione, alla cura e alla buona volontà di ognuno di voi, indipendentemente dalla parte politica di provenienza. Posso solo assicurare che porterò con me, e che vivranno quotidianamente in me stimolandomi e facendomi forza, le ragioni, gli ideali, le speranze e i valori che anche in quell'ambito ho cercato di perseguire.
A lei, signor Presidente, a voi colleghi, ai funzionari tutti che in questi anni mi hanno aiutato, buon lavoro e grazie.