Radio Radicale ha chiuso, cosi è stato deciso dove non si è deciso altrimenti. Dove non si è deciso che la sorte di radio radicale è un problema che riguarda in primo luogo le istituzioni, dove non si è deciso che salvaguardare questo servizio pubblico era possibile e necessario. Dopo tanti annunci, dopo tanti allarmi, siamo giunti ad un punto terminale, siamo al silenzio, questo fragoroso silenzio che ha aperto la nostra mattinata. E' già successo, molti ascoltatori lo ricorderanno, nell'estate 1986 quando arrivammo alla stessa drammatica decisione. In quell'occasione riuscimmo a farcela, accettando, seppure a malincuore, di rientrare nella legge sull'editoria come organo del partito radicale. Fu una soluzione di ripiego che neppure ha garantito da sola la sopravvivenza della radio.
In questi ultimi tre anni non ci siamo stancati mai di ripetere che la vera soluzione per radio radicale non era la legge sull'editoria, che ci assimiliva ad un organo di partito, ma la possibilità di veder riconosciuto con apposite convenzioni il servizio pubblico che siamo stati trasmettendo in diretta le sedute del Parlamento. Lo abbiamo fatto gratuitamente ed immancabilmente per più di 15, raccogliendo il favore e il consenso dei parlamentari, dei politici, dei giornalisti, dei cittadini. Lo abbiamo fatto mettendo in evidenza la clamorosa incapacità della RAI di fare altrettanto, nonostante le ripetute richieste di tutti i presidenti della Camera e del Senato succedutisi in questi anni. Ci era parso infine di intravedere uno spiraglio quando qualche mese fa la presidente della Camera Iotti si dichiarò disponibile a stipulare convenzioni con emittenti private, visto il perdurare del disinteresse da parte della rai. Venne approvata anche una risoluzione in tal senso a larghissima maggioranza. I mesi sono p
assati e l'ipotesi di una convenzione con la camera sembra essere più lontana che mai. Rai e Parlamento si sono di nuovo messi d'accordo per non farne nulla mentre assicurano che faranno tutto. Intanto la legge sull'editoria arriva a scadenza e nel testo che verrà rinnovato radio radicale non troverà posto poiché non ci sarà più un partito radicale rappresentato in Parlamento di cui essere organo. In questo stesso testo invece, tutti gli altri partiti hanno già previsto di raddoppiare i fondi per i propri giornali, incrollabili come loro stessi. Eccoci quindi alla resa dei conti: senza convenzione con il parlamento e presto senza i fondi dell'editoria. Mentre il Partito Radicale che ha concepito il servizio di RR e in tutti questi anni ne ha garantito l'esistenza, è arrivato a dover licenziare tutti i suoi dipendenti, e la campagna iscrizioni per il 1990 non decolla. Tutti gli altri partiti, come sempre, stanno a guardare, tutti gli altri.
Ci sono speranze che radio radicale possa tornare a trasmettere? Francamente molto poche. Paolo Vigevano che ne è l'editore ci ha ieri comunicato nel corso di un incontro a cui hanno partecipato anche Sergio Stanzani ed Emma Bonino, che in mancanza di fatti nuovi, il trenta aprile dovrà essere avviata la procedura di liquidazione del patrimonio della radio. Quali fatti nuovi possiamo aspettarci e, in qualche modo determinare? Esiste un tentativo di proposta di legge che stabilisce l'attribuzione a RR di un contributo una tantum pari a 20 miliardi. L'approvazione di questa legge è l'unica chance che ciresta. Essa riconosce il ruolo di servizio pubblico svolto da radio radicale in questi quattordici anni di vita e gli attribuisce un valore, seppur minimo, di mercato.Il problema, come vedete, non è cambiato dal 1986:resta quello di trovare un mercato per Radio Radicale, per il suo servizio pubblico, che tuttora nessuno paga. Con l'iniziativa del 1986 non trovammo una soluzione adeguata; ora ci stiamo riprovando
, ma non avremo un'altra occasione.