Egregio Direttore,
così come "Il Sabato" ed alcuni politologi anche Mario Pirani - del quale frequentemente condividiamo le analisi - indulge sulla tesi di un nuovo PCI al bivio fra tradizione "socialista democratico-riformista" e "deriva radical-movimentista" o neo partito radicale di massa.
Mi sembra che in tutto questo vi sia un uso improprio del termine radicale, non a caso abbinato a sostantivi negativi (deriva, degenerazine, caduta ecc.) che spero sia presto superato e crea gravi equivoci.
L'unico "partito radicale di massa" o "politica radicale di massa" identificabili come tali mi risultano essere gli schieramenti creatisi per il divorzio, l'aborto o sul nucleare e purtroppo non ripetuti - a causa delle scelte del PCI di allora - su temi quali il finanziamento pubblico ai partiti e la lotta alla fame nel sud del mondo.
Se Pirani intende denunciare i rischi massimalisti e sterilmente protestatari, perché li evoca con terminologie che invece indicano - nella storia del nostro paese - le poche vittorie civili, strappate a fatica e proprio grazie ai difficili e rari incontri fra radicali e comunisti?
E' come se ogni politica di dialogo fra comunisti e socialisti fosse etichettata all'insegna dei suoi aspetti più negativi (dai tentativi di egemonia fratricida ai fronti popolari).
Cordialmente
Giovanni Negri