Nessuno sa che il Parlamento sta per approvare in commissione, in sede legislativa alla Camera un provvedimento che sotto la dizione "Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 25 febbraio 1987, n.67, per l'accesso ai benefici di cui all'articolo 11 della legge stessa" cela tre articoli e diciassette commi che nulla hanno a che vedere con il titolo della proposta di legge.
Grazie agli aumenti previsti da questi tre articoli i quotidiani del PCI, della DC e del PSI riceveranno ogni anno e a tempo indeterminato dallo Stato contributi rispettivamente per diciotto, nove e otto miliardi, che si andranno ad aggiungere ai ventuno ai quattro e ai quattro e mezzo che indirettamente lo Stato già eroga attraverso la SIPRA.
Molto meno percepiranno L'Umanità, La Voce Repubblicana e Il Secolo d'Italia, solo perché i costi attualmente esposti nei loro bilanci non consentono ancora di utilizzare a pieno i benefici della futura legge. E' facile prevedere però che nel giro dei prossimi due anni anche questi giornali raggiungeranno i livelli dei fratelli maggiori.
La Costituzione riconosce che "la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni". Oggi, in Italia, al di fuori dei grandi gruppi e concentrazioni editoriali ci può essere solo la stampa "autorizzata" dai partiti.
La legge per l'editoria, ha finanziato la stampa con oltre mille miliardi dal 1981 al 1989.
Già nel 1986 di giornali "in crisi" erano rimasti solo quelli di partito e quelli in diversi modi ad essi collegati.
Per continuare a finanziarli, nel 1987 venne introdotta una norma che prevedeva anche contributi a favore della cosiddetta "editoria debole" identificata nelle imprese che decidevano di non assegnare o distribuire utili per almeno cinque anni.
Di questa norma usufruirono, tra l'altro, giornali come Il Mattino, Il Giorno, Il Giornale, Il Corriere dello Sport, Tuttosport nonché quelle piccole testate (come le Gazzette di Caracciolo), che già erano sotto il controllo di grandi gruppi editoriali. Il risultato fu lo sfondamento dei tetti di copertura previsti per questa legge dai 25 miliardi previsti ogni anno ad oltre 50 effettivamente riconosciuti.
Con la normativa che sta per essere approvata in Parlamento questi 50 miliardi verranno attribuiti ogni anno quasi esclusivamente agli organi di partito e ai giornali ad essi collegati.
Con questa legge dicono di voler affrontare e risolvere il problema Radio radicale, in realtà la stanno usando a pretesto per aumentare i loro contributi.
Il problema è semplice anche se nessuno mostra di averlo compreso: esiste una Radio che ha svolto per quindici anni un'attività di interesse generale e, come tale, unanimemente riconosciuta, che consiste nella trasmissione integrale e in diretta dei momenti istituzionali e politici più significativi della vita di questo paese: dalle sedute del Parlamento a quelle del Consiglio superiore della magistratura, dai congressi di tutti i partiti, ai maggiori processi. In questi anni la fedeltà di questa emittente alle proprie scelte editoriali è stata accanita: trasmettere in diretta e in forma integrale ha significato a volte doversi scontrare contro chi (a volte addirittura la presidenza della Camera) tentava di impedire con forme anche non ortodosse la pubblicità di avvenimenti, pubblici per loro natura.
Ancor più accanita e testarda è stata la scelta di investire ogni lira a disposizione nell'ampliamento del bacino tecnico di utenza per assicurare questo servizio al maggior numero possibile di cittadini, quando sarebbe stato più conveniente concentrarlo sulle tre o quattro città più popolose e trasmettere musica per raccogliere pubblicità, anziché dedicare all'informazione ogni minuto di trasmissione.
Il Partito radicale ha potuto essere editore di questo servizio grazie alla scelta operata nel 1976 di non utilizzare direttamente per la propria attività il denaro del finaziamento pubblico ai partiti.
Ormai da anni questo editore, dopo aver assicurato da solo a Radio radicale un contributo del valore di circa 30 miliardi in lire 1990, sta ammonendo gli utenti del servizio da lui fornito (in primo luogo il Parlamento, il Governo, i partiti) sulla sua impossibilità di proseguire nella sua attività "indebita" di fornitore di questo servizio di interesse generale.
Una prima volta nel 1987 gli "utenti" Governo e Parlamento hanno risposto "se vuoi continuare ad andare avanti devi trasformare la tua attività in quella di organo di partito, in organo del Partito radicale". L'editore ha dovuto accettare, ma ha continuato a fornire anche se ormai se i costi erano per lui proibitivi lo stesso servizio di interesse generale che aveva assicurato nel passato. Oggi che le condizioni economiche non lo consentono più, l'editore si rivolge nuovamente agli utenti (in primo luogo il Parlamento, il Governo e i partiti) e chiede una scelta chiara: "se volete, come dite, assicurare la prosecuzione e la crescita di questo servizio, dovete sostenerlo anche finanziariamente come tale e non pretendere (come hanno fatto i socialisti a nome della maggioranza) di travestirlo da organo di partito, altrimenti il valore della nostra attività sarà subordinato alle sorti del Partito radicale. Comunque non possiamo accettare che Radio radicale venga usata come pretesto per aumentare i vostri finazia
menti pubblici".
Il problema è chiaro, limpida è la nostra richiesta, chiarezza e limpidità chiediamo al Parlamento, al Governo e ai partiti per Radio radicale.
E' altresì evidente che: per continuare ad assicurare il servizio reso in questi anni occorre che l'editore non sia costretto a cambiare la propria politica editoriale e che gli utilizzatori del servizio (primi tra questi il Parlamento, il Governo, i partiti) riconoscano di esserlo anche sul piano finanziario.
I riconoscimenti all'unicità e al valore della nostra attività ci stanno giungendo da ogni parte, ultimo e il più significativo quello del Presidente della Repubblica. Ma la data che abbiamo dovuto fissare come ultimativa, il 30 di aprile, per avviare i procedimenti di alienazione o di liquidazione di Radio radicale si avvicina e ci vede soli (nessun organo di informazione, nemmeno "il Giornale" ha scelto di mettersi apertamente e con determinazione al nostro fianco) nel tentativo, per ora disperato, di assicurarne l'esistenza.