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Agora' Agora - 8 agosto 1990
SUDAFRICA: SI VOLTA PAGINA. UN ARTICOLO DI GIOVANNI NEGRI PER IL GIORNALE D'ITALIA.

All'indomani dell'apertura ufficiale delle trattative De Klerk-Mandela, Giovanni Negri che ha recentemente visitato il Sud-Africa con la delegazione del Parlamento italiano, ha inviato il seguente articolo al Giornale d'Italia.

SudAfrica, si volta pagina. La perestroika del continente nero rischia di incepparsi e i pessimisti non escludono bagni di violenza, ma potrebbe anche mettersi a correre e partorire un modello, un "laboratorio" anomalo capace di incuriosire il mondo.

De Klerk, Mandela, Bothelezi (leader di 7 milioni di zulu), ciascuno con ruolo e linguaggi diversi già sembrano la possibile troika destinata a guidare uno stato assai strano, quasi privo di affinità con altri paesi africani.

Sarà - almeno nelle intenzioni e se tutto va bene - una nazione ad un tempo democratica, egualitaria, sviluppata, federale, multietnica e nultirazziale (non a chiacchiere, giacchè questi due ultimi aggettivi spesso nascondono bidoni vuoti). Mito, utopia? Può darsi. Certo è che del "muro di Pretoria" non restano che poche macerie ed ancor meno nostalgici: frange di delirante estremismo bianco e non meno antistorici inni alla lotta armata da parte dell'African National Congress, il partito di Mandela e della tribù Xhosa (50% circa della popolazione nera).

I più, la grande maggioranza di bianchi, neri, meticci, indiani già guardano al nuovo SudAfrica. Attenti a rimarginare le ferite del passato-presente (che l'opinione pubblica internazionale conosce al dettaglio) ed altrettanto a preservare quello straordinario patrimonio che è il SudAfrica del presente-futuro, con tutti i pregi che ancora e ad ogni costo si vogliono misconoscere.

Ed anche noi, più o meno appassionati osservatori di un "caso SudAfrica" che più lo studi e più ti conquista, siamo sempre in bilico fra una pragmatica fotografia delle potenzialità sudafricane di domani e i drammatici, forse impossibili tentativi di giustificare e spiegare il passato: tentativi che il più delle volte si trasformano in colossali risse ideologico-antropologiche persino fra i più affiatati compagni di fede politica e religiosa. Che parlando di SudAfrica spesso si finisca in rissa è del resto abbastanza ovvio, non solo perchè grattando la realtà salta lo "schema perfetto" proiettato dai media ("buana bianco schiavista contro zio tom nero umanitario") ma perchè la questione sudafricana chiama prepotentemente in causa, ad un tempo, le nostre più antiche radici di "bianchi" e i più attuali, scottanti problemi delle società occidentali contemporanee, in specie europee.

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La vendetta è un piatto che si serve freddo. Il proverbio mi è parso azzeccatissimo durante il colloquio fra la nostra delegazione parlamentare italiana e un rappresentante molto autorevole del governo De Klerk.

L'occhio ironico del ministro fa da contorno al "piatto freddo": "Abbiamo saputo delle violenze di Firenze contro gli immigrati di colore. E'un errore, bisogna convivere. Noi ormai conviviamo e il 95% delle vittime e degli scontri in SudAfrica è da molti anni dovuto ai conflitti sanguinosi fra tribù di colore in particolare Xhosa e Zulu. Abbiamo saputo delle quote e della politica di duro controllo alle frontiere italiane. Possiamo capire, ma noi non abbiamo nè quote nè frontiere semichiuse: in SudAfrica lavorano milioni di immigrati angolani e mozambicani, altrettanti milioni vorrebbero lavorare e vivere nel nostro paese. Vedete, nè più nè meno che come l'italiano, il sudafricano (bianco o nero che sia) non vuole più fare il minatore o il cameriere.

Va segnalato poi un grave problema di violazione dei diritti umani: alcuni chilometri di filo elettrificato che corrono lungo la frontiera Mozambico-SudAfrica e provocano centinaia di morti fra la popolazione di colore. Persone, per la verità, che non scappano dall'inferno sudafricano al paradiso mozambicano, ma in senso opposto. Quanto alla realtà del nostro paese, altro non chiediamo che di venire a vederla: fatevi portare nei posti peggiori, dove c'è il massimo di povertà della popolazione nera e confrontateli con qualsiasi metropoli africana o anche quartiere ad alto tasso di immigrazione di colore nelle megalopoli europee e americane. E il venerdì pomeriggio, sedetevi su un ponte che sovrasta le autostrade di Johannesburg o Durban o del Capo, osservate milioni di famiglie di colore che vanno in week-end, che raggiungono la villeggiatura. Certo, ora procederemo al superamento di ogni stato d'emergenza, ci siederemo al tavolo delle trattative, abbiamo imboccato la strada della democratizzazione, pensiamo

ad una soluzione federalista per tutta l'Africa australe che coinvolga oltre a noi l'Angola, il Mozambico, lo Zambia, lo Zimbabwe. E' la base dello sviluppo per un continente sprofondato nella fame e nella miseria, E non per colpa nostra".

Certo, passato e futuro in SudAfrica non si possono scindere. La storia di qualche migliaio di boeri (burini) riformatori olandesi, ugonotti francesi e valdesi piemontesi caricati a forza sulle navi della Compagnia delle Indie olandesi per sfuggire alla persecuzione cattolica, pionieri al Capo d'Africa di una terra promessa totalmente disabitata per centinaia di chilometri verso l'interno, è ancora un tuttuno con la storia del SudAfrica d'oggi, con la storia di quei bianchi della punta del continente nero.

"Sì, è mostruoso. Per i nostri padri, protestanti, il nero era una creatura di Dio, ma inferiore a noi. Perciò doveva essere sfamata, poi anche occupata, istruita ed evoluta. Orribile, vero, per voi cattolici... Voi che in SudAmerica non avete alcun problema di apartheid perchè gli indios non ci sono più.

E' questo, vi piaccia o no, il solo paese dell'Africa dove non un solo nero muore di fame, dove c'è istruzione e lavoro per tutti, dove gli oppositori non sono nè incarcerati nè uccisi, l'unico paese dove la donna e l'uomo nero potranno votare. E se dite che il SudAfrica di domani può essere una speranza chiedetevi se sarebbe stato possibile senza il SudAfrica di ieri. Quel che è certo è che questa è anche la nostra terra. Noi non siamo italiani di Libia, o francesi d'Algeria o inglesi dell'India. Siamo da 400 anni bianchi del SudAfrica, di una terra dove non c'era nessuno e dalla quale non abbiamo cacciato nessuno. Sbarcammo qua giurando che nessuna Chiesa sarebbe più riuscita a perseguitarci e che avremmo onorato Dio con il nostro lavoro. Ora non abbiamo e non vogliamo avere nessun ritorno. Questa è la sola nostra patria".

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Inquietante SudAfrica. Quale destino lo aspetta, o meglio quale futuro gli spetta? Capirlo, provare per quanto possibile a determinarlo, non è solo necessario per dare finalmente uno sbocco di pace alla questione sudafricana. Il suo fascino è più intimo: è una questione decisiva per l'Europa (speriamo per gli Stati Uniti federali d'Europa) che dovrà presto guardare al proprio dirimpettaio africano, cioè a un continente dominato da dittature sanguinarie che infliggono ai propri sudditi fame e totalitarismo. Quali classi dirigenti intendiamo eleggere a nostri interlocutori africani? I Mobutu, i Siad Barre o i peggiori regimi arabi con i quali la partitocrazia italiana felicemente "coopera", campioni di democrazia rispetto allo "schiavista" regime di Pretoria? Ed è una questione decisiva anche per i problemi che agitano le viscere profonde di casa nostra, la cucina nera della bottega Italia bianca e dell'Europa del Marco unico, dove non è solo il "distacco dalla politica ufficiale" a far montare i Le Pen o i Bo

ssi o gli autonomismi-nazionalismi di turno.

Declinare le parole federalismo, multietnico e multirazziale, riempirle di concretezza, è ormai un problema di drammatica urgenza. Abbiamo cominciato a farlo sia chiedendo la fine delle anacronistiche e farisaiche "sanzioni" contro il governo De Klerk che mettendo in cantiere, per il prossimo autunno, un appuntamento significativo di riflessione sui rapporti SudAfrica-Europa nei suoi molteplici aspetti, cui dovrebbero prendere parte tanto i rappresentanti del governo di Pretoria che dell'A.N.C.

Gli amici sudafricani, di ogni razza e colore, ci scuseranno di questo egoistico utilizzo del bandolo SudAfrica per provare a sbrogliare anche la matassa di casa nostra. E' il modo che abbiamo per darci e dare loro una mano. Nel frattempo, se esistono, il dio dei primi coloni del Capo e il dio delle savane zulu proteggano la perestroika del continente nero.

 
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