Sull'Unità di domenica scorsa, Giuseppe Cotturri chiama in causa i radicali (sarebbero "quelli che vogliono escludere comunque un intervento di riforma, convinti solo della bontà del referendum") in un articolo volto soprattutto a contestare le posizioni espresse dal Comitato promotore dei referendum elettorali (per l'esattezza dal suo Consiglio di Presidenza e non da alcuni esponenti, come afferma erroneamente Cotturri) e la sua stessa legittimità ad agire come soggetto politico e giuridico nella fase successiva alla consegna delle firme alla Corte di Cassazione.
Ci spiace di non poter dar ragione all'autore di questo articolo.
Dobbiamo ricordare che proprio dal momento del deposito delle richieste referendarie in Cassazione, i tre Comitati promotori sono diventati altrettanti poteri dello Stato abilitati a sollevare conflitti di attribuzione nei confronti di altri poteri dello Stato, qualora venga lesa la loro sfera di attribuzioni.
I Comitati sono, sia sul piano politico che giuridico ,dei soggetti riconosciuti dalla legge, soggetti aventi titolo ad intervenire, ad esempio, anche attraverso la Tv pubblica, alla stessa stregua dei partiti.
Sono pertanto molto singolari e assolutamente inaccettabili le affermazioni di Cotturri secondo le quali "le ragioni del Comitato interessano ora poco o nulla".
Quanto alla posizione dei radicali, essa non è affatto così diversa da quella della stragrande maggioranza dei membri del Comitato (non solo dei tanti parlamentari e personalità dell'area laica che ne fanno parte come Massimo Severo Giannini, Galli della Loggia, Panebianco, Biondi, Baslini, Dutto, Gavronsky, ma anche di promotori come Scoppola, Barbera, Segni, Ciccardini, Zamberletti, Pasquino e tanti altri): una riforma legislativa andrebbe benissimo, ma purchè sia nella stessa direzione dei referendum.
Direzione espressa dalla testualità dei quesiti, ma anche dallo stesso manifesto che ha accompagnato tutta la raccolta delle firme: "passa dalla partitocrazia alla democrazia, passa dalla proporzionale al sistema maggioritario e uninominale". Manifesto che non a caso ha richiamato il quesito sul Senato, quello che ha dato origine all'iniziativa referendaria e che ha registrato il più vasto arco di consensi (a differenza del secondo e terzo quesito).
Certamente corrisponde al vero che i promotori dei referendum si sono prefissi l'obiettivo di assicurare al cittadino una effettiva possibilità di scelta tra le alternative di Governo. Ma questo obiettivo (ove non lo si ritenga una conseguenza di fatto del sistema maggioritario e uninominale) non può essere perseguito con soluzioni che contraddicono, in particolare per il Senato, i chiarissimi indirizzi che emergono dal quesito referendario (sistema maggioritario e uninominale con una correzione proporzionalistica).
Sulle soluzioni che potrebbero completare ed integrare i sistemi derivanti dai referendum (in particolare per la Camera) si può e si deve certamente discutere (quindi anche della proposta Barbera !), ma - ribadiamo - non contraddicendo i contenuti dei referendum, anche perchè in tal caso essi non potrebbero comunque essere elusi, innanzitutto dal punto di vista giuridico.
Ma anche al di là della questione del ruolo del Comitato promotore a tutela degli indirizzi dei quesiti referendari, mi auguro che l'intervento di Pietro Scoppola sul la Repubblica del 19 settembre - intervento che ci sentiamo di sottoscrivere pienamente - faccia riflettere a fondo, in particolare quanti sono così abbarbicati alla proposta Ruffilli e a quelle consimili che si basano sul premio di maggioranza.
I referendum non hanno come obiettivo solo il mutamento della legge elettorale, ma quello di provocare, attraverso un sistema elettorale profondamente diverso, una riforma dei partiti e della politica. Mantenere la proporzionale significherebbe mantenere lo strumento di autoconservazione degli assetti esistenti.
Ma la proposta Ruffilli ha anche altri limiti. Innanzitutto non è affatto detto che essa assicurerebbe stabilità e governabilità (in realtà non vi sarebbe alcuna garanzia nè per la formazione di due coalizioni alternative nè per la stabilità degli eventuali patti preventivi di coalizione, soprattutto con questo sistema partitocratico).
Inoltre essa creerebbe una polarizzazione DC-PCI, giustamente avversata da tante parti politiche. E' impensabile una riforma in base alla quale si conosca già in partenza chi ne trarrebbe vantaggio e chi ne verrebbe penalizzato.
Come ha molto efficacemente sottolineato Scoppola, il sistema tendenzialmente maggioritario e uninominale, creando un profondo rimescolamento, non privilegerebbe alcun partito oggi esistente, ma obbligherebbe tutti a un profondo rinnovamento di strategie e comportamenti politici, a partire dalla scelta delle persone da scegliere e valorizzare.
Mi auguro che da parte del PCI, non solo non si attacchi il Comitato promotore come ha fatto Cotturri, ma si comprenda invece la necessità di assumere come interlocutore privilegiato tutto l'ampio e significativo arco di promotori (tra cui non a caso tanti laici che andrebbero forse tenuti in qualche considerazione soprattutto a fronte del bassissimo profilo delle proposte emerse dal cosiddetto tavolo laico !) e di valorizzare e difendere il contenuto dei referendum. Proposte contraddittorie con i quesiti (più o meno frutto di equilibristici compromessi tra posizioni e sistemi diversi) non contribuirebbero certamente a far fare molta altra strada all'iniziativa referendaria.