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Agora' Agora - 6 ottobre 1990
PERCHE' LANCIAMO SIN D'ORA LA CAMPAGNA ISCRIZIONI PER IL 1991. NEL 1990 IL PROBABILE E' STATO IMPOSSIBILE, MA L'IMPOSSIBILE NO.
di Marco Pannella

Il Partito Radicale conta oggi più iscritti a Mosca che a Torino, a Praga che a Napoli. Un iscritto su quattro non è italiano. Poco meno di un radicale italiano su dieci è nelle carceri. Nel Consiglio federale siedono deputati o senatori o parlamentari europei iscritti al Partito Liberale, al Partito Socialista, al Partito Comunista, al Partito Socialdemocratico, ai Verdi, ai Verdi Arcobaleno, agli Antiproibizionisti, ai gruppi parlamentari dei Soviet dei deputati del popolo di Mosca e Leningrado, esponenti democratici di venti nazionalità.

Partito della nonviolenza politica, della democrazia politica, della tolleranza e del laicismo politici, dell'ambientalismo ecologista politico, del federalismo politico, del federalismo europeo, dei diritti umani e civili, liberaldemocratico e liberalsocialista, antiproibizionista sulla droga, antiautoritario, antinazionalista, antimilitarista. Unico partito, unica organizzazione politica dalle regole e dalle strutture libertarie, transnazionali, transpartitiche, laiche per storia, per regole, per statuto, per metodo, per convinzioni e per obiettivi. Partito laico e fors'anche "illuminista", ma di un secolo, di un mondo nei quali "i lumi" illuminano dal di dentro la storia dei popoli e di immense masse di persone (e sono invece oscurati, se non spenti, nella vita pubblica, nella politica ufficiale, nel potere) costretti a vivere come coscienze e subconsci collettivi negati nei fatti, per quanto riguarda il diritto alla vita e la vita del diritto, anche se sempre più sono affermati in teoria. Partito che esi

ge libertà piena dei suoi militanti, e su di essa si fonda o, in mancanza, s'affonda, si nega; che necessita della libertà piena dei suoi avversari, ancor più che della propria.

Siamo una "Cosa" che ha nome, statuto, regole, idee, storia da proseguire, la garanzia del "fatto" per il "da fare" d'oggi e di domani, che non ha altra forza che la parola e l'agire di coloro che vogliono darle corpo, incarnarla e incardinarla nella storia ed in se stessi. La cui "vita" ha la pienezza della vita, la sua provvisorietà drammatica ed esaltante, la sua precarietà e la sua durata, la grandezza e la limitatezza di "individuo", dispensabile e irripetibile, una "cosa" mezzo e utensile, non chiesa o esercito, per chiunque voglia apprezzarlo o utilizzarlo.

Questa è l'identità, ma non ancora l'immagine. Troppo esile è il numero dei suoi militanti, dei suoi volti, delle sue storie, pur se così straordinarie e comuni, per imporsi alla conoscenza di classi dirigenti e di popoli che impazziscono di fronte ad un sistema di comunicazione e di informazione che è mortale specchio di sè e non confronto, dialogo, ricerca, apprendimento, cultura e valorizzazione di tutti e di ciascuno.

Il mondo, il pianeta appaiono oggi, agli occhi di tutti, come feriti, forse o probabilmente a morte; a meno che non si inventi un nuovo possibile. E questo "nuovo possibile", di quasi accecante ragionevolezza ed evidenza, ha un suo reperto nel Partito Radicale, che è sempre stato, da un trentennio, "storia impossibile", epoca dopo epoca, anno dopo anno, evento dopo evento. Siamo esistiti nella negazione ufficiale, nella negazione da parte del mondo della cultura, del potere, della politica, dei mass media; ci ha intravisto il popolo, e visto qualcuno: Elio Vittorini, Pierpaolo Pasolini, Leonardo Sciascia, a tratti un Baget Bozzo, un Panebianco, e qualche altro, per stare al teatro italiano.

In trent'anni, al massimo, e per un periodo per lo più brevissimo, non ci sono stati più di trentamila radicali. In uno stesso anno (con una eccezione di diciotto mesi, che conferma la regola) non siamo stati mai più di quattromila, includendo nella storia del Partito anche quella della LID, o -oggi- del CORA.

Eppure possiamo serenamente affermare che nessuna altra forza politica organizzata -nessuna- ha posto ed imposto alla coscienza di un intero paese, di ogni sua donna e di ogni suo uomo, l'urgenza di tanti e tali problemi, del mondo e loro propri, generali e intimi, nel cuore di pietra dei Palazzi, negli angoli più bui e putrefatti, negli "uomini di legge" o nelle umanità dei marciapiedi, delle religioni tradite, delle dissipazioni e delle disperazioni, come nella sostanza delle cose da loro sperate. Nessun paese come il nostro ha avuto la ventura di confrontarsi con tante urgenze svelate, preziose riforme, e le ha espresse o proposte o anche, purtroppo, dissipate. Il Partito Radicale costituisce tuttora una "impossibilità" non spiegata, ma convinta, da una parte, e invece realizzata, dall'altra.

Nessuna azienda, nessuna impresa, di nessun tipo, ha posseduto la capacità produttiva, creatrice, innanzitutto in termini di rapporto costi/ricavi, prezzo/qualità, di organizzazione e di reperimento delle risorse, di professionalità e di progettualità del Partito Radicale. Questa nostra associazione, di impalpabile spessore sociale, è sempre più viva - altro che superata o morta! - ed a tal punto "impossibile" che nessun sociologo, nessun politologo ne ammette l'effettiva esistenza e ne ricerca neppure più i connotati, perchè questi sono tali da negare in radice e mettere in crisi i sistemi stessi su cui si fonda la loro qualificazione ed attività e "chiericatura" tolemaiche. Baget Bozzo "a suo tempo" (di rado espressione sembrerebbe più appropriata) ci definì "una minoranza politica che sa dar voce e vittoria a grandi maggioranze sociali". Ma non avendo noi vocazione e possibilità d'essere minoranza "nazional-politica" nè "maggioranza nazional-sociale", anche questo nostro caro profeta di allora è restato s

enza parola; ed è divenuto cantastorie, invece, di Andreotti, di Craxi, del nulla, per nostalgia e passione di un tutto da tempo defunto: tolemaico finalmente consapevole!

Il 1990 si sta per chiudere, per il Partito Radicale, con una nuova secca sconfitta del "probabile" deciso e prescelto, ed una altrettanto secca riaffermazione dell'"impossibile".

Al nostro Consiglio Federale parve infatti assai probabile che potessero ormai raggiungere il Partito Radicale (magari per

ri-conoscenza o riparazione!) alcune migliaia di italiani, in particolare di "comunisti illuminati" dalla e per la Cosa, non fosse che uno per ognuno dei Comuni italiani, cioè circa ottomila su circa un milione e quattrocentomila iscritti al PCI. Con una dichiarazione congiunta ufficiale dei Segretari dei due Partiti, Occhetto e Stanzani, si era inequivocabilmente proclamata la definitiva caratteristica di "Internazionale", assolutamente non concorrente sul piano nazionale dei partiti esistenti, del Partito Radicale; e si era auspicato, da parte del Segretario del Pci, l'apporto di tutti i democratici per il superamento delle difficoltà del Pr. Darendhorf sembrava divenuto uno dei vati dell'Unità e della Cosa. Le "liste Nathan" dovevano unirci elettoralmente e politicamente nelle elezioni regionali, provinciali, comunali. L'adesione al referendum per il passaggio al sistema anglosassone, almeno per l'elezione del Senato, annunciata al nostro Consiglio Federale, era apparsa a tutti, mass media neutri compresi

, un enorme passo avanti verso una "Cosa" radicalmente nuova, effettivamente propria per gran parte dei comunisti del PCI o dei liberaldemocratici e liberalsocialisti, nonviolenti e "occidentali" del Pr e dintorni.

Nella nostra professionalità, della quale è l'ora di andar fieri tanto quanto ne siamo stati colpevolmente pudibondi, e che è anche moralità politica, stimavamo probabile che le risorse umane, finanziarie, di immagine conseguenti, sarebbero state tali da consentirci, a partire da 5/10 mila iscritti italiani, di raggiungere almeno altri 20 mila iscritti in URSS e 10 mila in altri paesi dell'impero in poco tempo.

Che lo 0,04 degli iscritti al PCI, il 4 per mille, comprendesse l'interesse di "finanziare" o di letteralmente animare un'impresa internazionalista (nel momento di un totale ripiegamento nazionale della loro organizzazione italiana) nonviolenta, ecologista, laica, federalista europea, capace di "azioni" e di raggiungere puntuali obiettivi, ad adesione diretta delle persone, dei militanti, forte di un passato più che ineccepibile nella crisi dell'impero sovietico, come anche in molta parte del Sud del mondo, in un clima da "rivoluzione liberale" gobettiana, era in effetti da ritenersi assolutamente probabile. Non aggiungevamo che se vi fossero state queste "ottomila" iscrizioni su "un milione e quattrocento ottomila", due conseguenze apparivano come naturali ed inevitabili: più dell'80 per cento dei membri italiani del Pr sarebbero stati comunisti del PCI; caduto il "muro di Berlino" del tabù radicale, liberaldemocratico, nonviolento, gli "ottomila" sarebbero divenuti valanga. In attesa, insomma, di aderire c

on il nuovo/vecchio apparato di partito alla Internazionale socialista, i comunisti italiani avrebbero avuto in mano, per riformare la politica, le istituzioni, se stessi e gli altri, anche un poderoso strumento di lotta politica, di aggregazione nuova, di possibile "annessione", dunque, del Pr, della sua storia, della sua potenzialità. Non lo aggiungevamo, ma ritenevamo che tutto questo fosse evidente a quasi tutti coloro che avessero voluto rifletterci un attimo. Fossero essi del "sì", del "no", del "ni", o del "so" (Castellina e Magri).

Invece è accaduto l'impossibile. Nel PCI è successo e sta succedendo proprio tutto, ed il suo contrario. Nel "dibattito interno" siamo andati dall'apologia ideologica del capitalismo, a quella sacerdotale dell'antica politica di Monaco e del letale "pacifismo" pseudo-anti-violento. Ma ad iscriversi al Pr, laicamente operando e non ideologicamente discutendo, sono stati tremila "altri" e meno di cento "comunisti", malgrado le testimonianze di Willer Bordon, di Michele Serra. A gennaio, dunque, avevamo ritenuto assai probabile quel che non è invece affatto accaduto, e "impossibile" che - senza quel "probabile" - si potesse far altro che immediatamente sospendere l'attività politica del PR, per mancanza del minimo necessario all'affermarsi ed all'agire. Per poi dover probabilmente passare alla liquidazione del Partito stesso. Ad attività sospesa, infatti, come sperare di raggiungere anche solamente un paio di migliaia di iscritti ? E non precipitare nella bancarotta fraudolenta, mutando anche di identità, non p

iù solamente di immagine ?

Non posso, qui, che rinviare ad altra occasione l'analisi di quel che è accaduto a attività del Partito praticamente sospese, ed a struttura praticamente azzerata.

A voler lasciare i morti seppellire i loro morti non c'è che da parlare e da occuparsi del Partito Radicale: di questa "cosa". E lo faremo, spero, sempre più.

Il Partito Radicale è un enorme giacimento di materia preziosa e rarissima che noi stessi non abbiamo ancora saputo o potuto esplorare, che abbiamo avuto la forza di non svendere pur ridotti alla fame ed alla sete, impedendo che una discarica di rifiuti infetti lo seppellisse e ne ostruisse per sempre gli accessi, le vene. Resta possibile, forse probabile, che occorra chiudere la miniera; che ce la chiudano, per l'esattezza, grazie alla violazione del diritto sempre più usuale e necessario per la classe dirigente delle "democrazie reali". Ma oggi sono certo che questo avverrebbe senza ipotecare il futuro prossimo, e senza alienazione del patrimonio e fallimento della società.

Alcuni fatti, però, vanno chiaramente annotati. L'"impossibile", cioè la non-catastrofe, l'inversione di tendenza, il raddrizzamento della situazione del Partito Radicale in mancanza dei 5/10/50.000 iscritti nel 1990, si sta invece verificando.

Grazie all'"impossibile" iscriversi di più di tremila italiani e di più di mille non italiani, in assenza di attività, in primo luogo di stampa e di mass media, abbiamo disposto del tempo e delle energie sufficienti a determinare una situazione economico-finanziaria di radicale contrazione delle passività, sicché per la prima volta da anni, senza toccare un soldo del finanziamento pubblico del 1991, chiuderemo l'anno - sic stantibus rebus - con una situazione debitoria contratta di oltre il 50%.

Stiamo per inaugurare una nuova sede del Partito, la prima di nostra proprietà, efficiente e molto bella, il cui valore è di almeno tre volte quanto vi abbiamo investito.

Abbiamo non solamente salvata, in extremis, a luci ormai spente, Radio Radicale, con la sua impareggiabile funzione pubblica, civile, democratica, ma creato molte condizioni per una sua grande crescita, con l'approvazione della legge che ne finanzia la ristrutturazione, con 20 miliardi in meno di tre anni.

Successo grande, anche in termini di riconoscimento e di prestigio per una delle più belle realizzazioni radicali di questi ultimi quindici anni.

La nuova legge sulle televisioni crea una situazione molto delicata e difficile in un settore dove la nostra "area", a partire dalle funzioni assicurate da Teleroma 56 e Canale 66, può però finalmente confrontarsi con altro che la legge della giungla e immaginare sviluppi interessanti per una più vasta e significativa informazione ed attività democratiche.

Credo anche di poter affermare che, in una situazione letteralmente "impossibile", e come tale considerata dal Consiglio Federale e dal II Congresso italiano del PR, costretti ad azzerare la struttura, ed a sospendere l'attività politica del Partito in quanto tale, grazie all'assolutamente straordinaria prova di amore, di capacità, di animo, di forza fornita da Sergio Stanzani, da Paolo Vigevano, da Emma Bonino e da una decina, al massimo, di altri compagni che anch'essi non hanno disperato nel Partito e nelle nostre idee, siamo riusciti a ugualmente secondare impegni, iniziative, presenze in Italia, in URSS, in Cecoslovacchia, in Jugoslavia, in Ungheria di sicura importanza politica e ideale per tutti i radicali.

Abbiamo la sensazione, spesso, di esser davvero allo stremo delle forze e delle possibilità di andare avanti nelle impossibili condizioni di attività, di lavoro nelle quali restiamo costretti in assenza del ripristino di elementari possibilità di articolazione delle responsabilità e delle attività di Partito. Ma se abbassassimo la guardia, se cedessimo alla tentazione quotidiana, sempre più forte, di "accontentarci" dell'ottenuto, di "passare la mano", di investire in un Congresso le poche risorse delle quali disponiamo, se sin d'ora riprendessimo le "normali", cioè straordinarie attività del Partito, dilapideremmo quello che siamo riusciti, con gli altri quattromila radicali del 1990, a riconquistare e ristabiliremmo le cause immediate, se non quelle mediate, in gran parte persistenti, delle crisi di questi ultimi cinque e più anni. Non vediamo l'ora - che vogliamo e speriamo venga - di poter in coscienza usare i poteri Congressuali, prima ancora della tenuta di un Congresso, per esser sollevati, in parte o

in tutto, dall'obbligo e dall'onore di questa fatica.

Non potendo farlo, dobbiamo procedere.

A questo punto, apriamo la campagna di tesseramento per il 1991. La quota è portata a L. 208.000, in base alla regola congressuale che fa riferimento al P.I.L.

Rivolgiamo un appello, a chiunque possa farlo, di iscriversi sia per il 1990 che per il 1991. Sin d'ora apriamo anche una campagna di finanziamento straordinario, oltre a quella delle iscrizioni, anche in vista della "tredicesima" e delle spese natalizie. Preghiamo tutti di consentirci di pubblicare subito anche brevi dichiarazioni del perchè ci si torna a iscrivere o lo si fa per la prima volta, perchè in tal modo si intende dare un esempio ed un incoraggiamento agli altri, e a noi, nel nostro compito difficile.

Ne abbiamo tutti una straordinaria necessità, un estremo bisogno. Il rigore, l'umiltà, la forza, l'intelligenza, la speranza, la creatività che le "impossibili" 4.000 iscrizioni del 1990 hanno espresso e permesso, i desolanti risultati che raccolgono coloro che sono stati pressocchè unanimi, a milioni, a "lasciar perdere" il Pr (angosciati solamente dal rischio di perdere il loro "avere" di sempre, ed è poi questo che hanno compromesso e ipotecato), spero facciano riflettere, ed incoraggino prudenza e generosità.

 
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