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Famiglia Cristiana - 21 marzo 1995
UNA "CORSARA" A BRUXELLES

FAMIGLIA CRISTIANA, n 13/1995

PERSONAGGI Emma Bonino, neocommissaria italiana nel Governo dell'Unione

L'ex segretaria del Partito radicale è riuscita ad aggiungere alle iniziali competenze per la "Tutela dei consumatori" anche i dicasteri degli "Aiuti umanitari" e della "Pesca".

In quest'ultimo settore è già entrata in conflitto con i canadesi per la spartizione degli ippoglossi nel Nord Atlantico.

di Silvano Guidi

Di lei, esile, inquieta, corsara, gli amici rivelano passioni innocenti e amori sconfinati: per il caldo delle savane e le acque trasparenti dei Tropici. Deve essere perseguitata da una perfida nemesi se, dopo ventidue anni di battaglie politiche, difficoltà economiche e questue per raggranellare manciate di iscritti per il Partito radicale, al momento del traguardo personale più prestigioso le è toccato trasferirsi per cinque anni q Bruxelles, ventosa e fredda capitale del Nord, avara di sole anche in estate, cosi' lontana dalla nitida luce della "sua" Africa.

Emma Bonino, 47 anni appena compiuti il 9 marzo scorso, piemontese di Bra in provincia di cuneo, una laurea in lingue straniere, è da due mesi "operativa" nell'organigramma del nuovo governo dell'Unione europea, uno dei due rappresentanti in quota all'Italia intorno al tavolo della Commissione. L'altro commissario italiano è l'economista Mario Monti, già rettore dell'Università Bocconi di Milano.

La designazione dei due italiani, lo scorso ottobre, con il Governo Berlusconi in piena e contestata attività, ha suscitato non poche polemiche, sul fronte interno, per il ritardo con cui le nomine hanno riempito le ultime caselle ancora vuote. E se il "tecnico" Monti non ha di fatto incontrato veti, la "professionista della politica" Bonino ha dovuto saltare più di un ostacolo alla ricerca di un labile consenso. Alla fine l'ha spuntata lei, abituata a lottare con grinta, mai disposta ad arrendersi e pronta a rintuzzare ogni critica pretestuosa.

"Ma quale ritardo nella designazione?", si sfoga. "Era ottobre e la Commissione si sarebbe insediata solo a fine gennaio. La verità è che gli altri paesi si stavano spartendo competenze e portafogli, cioè l'equivalente dei nostri ministeri. già da tre mesi, benchè gli scandinavi non avessero ancora superato lo scoglio dei rispettivi referendum sull'adesione. Capisco che distribuire i portafogli prima delle consultazioni popolari era un "mezzuccio" per attirare il voto favorevole di Svezia, Norvegia e Finlandia, ma tutto questo mi ha fatto sentire subito politicamente a disagio".

Per Emma la radicale era rimasto disponibile solo il portafoglio "Tutela dei consumatori", pari a 37 miliardi di lire: briciole o poco più. "Non potevo essere d'accordo", spiega. "L'Italia, in quanto terzo contribuente netto del bilancio europeo, aveva diritto a responsabilità maggiori: lo prevede lo stesso trattato di Maastricht che dice cose molto chiare sull'equilibrio e la ripartizione degli incarichi fra i partner europei".

Con chi discuterne se non con lo stesso presidente della Commissione, Santer, un lussemburghese compassato che ha raccolto il testimone passatogli da Jacques Delors? Tira e molla, molla e tira la petulante Emma riesce a convincere Santer che il collega spagnolo Manuel Marin, sommerso di incombenze che spaziano dagli aiuti allo sviluppo fino alle relaizoni con i Paesi di mezzo mondo, dall'Africa mediterranea al vicino e medio Oriente e all'America latina, avrebbe potuto rinunciare agli "Aiuti umanitari d'urgenza" senza perdere né sonno né prestigio.

UN'"OSTINAZIONE" TUTTA PARTICOLARE

Viene accontentata: Emma guadagna altri 1600 miliardi di lire e 60 collaboratori tecnici che si aggiungono ai 60 esperti di politica dei consumi. "E' fatta", pensa con sollievo il presidente lussemburghese. Ma deve ancora scoprire che il vocabolo "ostinazione" ha due significati : quello che riportano tutti i dizionari, in qualsiasi lingua, e quello che è la personale interpretazione che ne dà Emma Bonino. La quale replica con finta sottomissione: "La ringrazio, presidente, ma ricordi che se Svezia o Norvegia non dovessero superare il referendum, ci sarà ancora qualcosa da rivedere. Mi consulti".

Pur di chiudere il tormentone, non appena la Norvegia si chiama fuori dall'Unione, Jacques Santer smista con procedura d'urgenza il corposo "ministero" della pesca (1900 miliardi di lire e 224 componenti di staff tecnico), già attribuito a Oslo, alla commissaria italiana: che lavori anche con i pesci, in fondo le piace il mare.

Si, ma Emma è tignosa. Non fa nemmeno in tempo a mandare a memoria i primi dossier sulla pesca che i suoi collaboratori le consegnano ogni sera per istruttive letture notturne, che scoppia subito la "guerra degli ippoglossi". Sono questi dei grossi pesci piatti, sconosciuti nel Mediterraneo, che vivono in branchi nell'Atlantico settentrionale e nel Mare del Nord, spostandosi più o meno sugli stessi fondali frequentati dai merluzzi. Catture eccessive di questa specie ne hanno impoverito le risorse, cosicché i Paesi che pescano in Atlantico hanno deciso di ridurre la quantità complessiva del pescato degli ippoglossi dalle 45 mila tonnellate tirate a bordo l'anno scorso alle sole 27 mila consentite per il '95.

Siccome non c'è un galateo internazionale del pescatore, a vigilare sulle quantità é chiamata la Nafo (North-west Atlantic Fisheries Organization), in pratica un organismo sovrannazionale che applica alla pesca una strategia modulare, fissando il totale annuo delle catture per specie e le relative quote spettanti ai singoli Paesi.

"Sono spagnoli e portoghesi i veri specialisti della pesca all'ippoglosso. Negli ultimi anni hanno sempre catturato i tre quarti del totale", precisa la Bonino.

"Canadesi, russi e giapponesi catturano quantità assai più modeste, anche perché non sono attrezzati per pescarne di più. E' invece proprio nel momento in cui tutti devono autolimitarsi, i canadesi avanzano la pretesa di quote elevate, probabilmente per "rivenderle sottobanco". Ho attivato immediatamente la procedura di obiezione e diffidato i canadesi dall'adottare misure unilaterali e ritorsioni contro i pescherecci dell'Unione, perché costituirebbero violazioni delle leggi internazionali."

Rissosa come sempre, da anni, "Per me è pane quotidiano", sorride. "Ho lottato per i diritti umani, contro la pena di morte, la fame nel mondo, per la tutela dell'ambiente. Posso continuare a battermi anche per un uso più equilibrato delle reti da pesca e a difesa dell'acqua con tutto cio' che contiene, la più preziosa delle risorse comuni".

Come segretaria del partito radicale trasnazionale è stata lei, quando Bruxelles era ancora un miraggio, a mettere in piedi il "progetto Danubio": l'idea per una convenzione internazionale dagli effetti economici, ambientali e politici a tutela del bacino idrico più imponente d'Europa.

Nella sua stanza ai piani alti di palazzo Breydel, sede della Commissione in avenue d'Auderghem, ricordi e affetti sono fisicamente cristallizzati in immagini: una foto la ritrae con Marco Pannella, una con il Dalai Lama, un'altra con Pertini e un'altra ancora con Scalfaro. A fianco del tavolo delle riunioni campeggia un grande poster di Echo, l'organizzazione europea degli aiuti umanitari, l'ufficio più vicino del suo cuore.

E' appena tornata da una missione in Ruanda e Burundi, a Pasqua visiterà il Caucaso, la Cecenia, la Georgia e l'Armenia; poi farà un blitz ai Caraibi, per controllare le situazioni di Cuba e Haiti. "Devo capire bene, prima di prendere decisioni" confessa. "Ho ereditato un ufficio che è nato tre anni fa, all'inizio del dibattito internazionale sul diritto d'ingerenza umanitaria. Da allora sono cambiate tante cose e sono esplose altre polveriere regionali".

Ci confida la strategia dei primi passi: "Agguantare le soluzioni per tentativi senza credere di aver in tasca una verità che valga per sempre". poi un cruccio: "Rimuovere le "zone grigie" cioè quelle situazioni di transizione in cui non c'è più emergenza alimentare o sanitaria, ma non si è ancora innescato un vero e proprio programma di sviluppo e riabilitazione". Quindi una sepranza: "Nelle poche scuole ancora funzionanti in Burundi facciamo corsi di avviamento ai diritti umani, alla pace e al dialogo. Mettiamo allo stesso tavolo hutu e tutsi per allentare la tensione interetnica ed evitare un secondo massacro. Cerchiamo di ottenere quello che non siamo stati capaci di fare in Ruanda".

Per Emma Bonino il 1995 può essere l'anno zero di una solidarietà più politica, responsabile ed efficiente. L'importante è avere idee chiare e l'autorevolezza di un ruolo di coordinamento che altri riconoscano e accettino. La macchina degli aiuti umanitari d'urgenza è onerosa e complessa: può funzionare ben e solo se tutti gli ingranaggi sono perfettamente registrati ("E' assurdo che in un Paese devastato dalla guerra venga inviata solo farina quando occorrono mille altre cose, oppure che i vaccini arrivino prima che sia stata ripristinata l'elettricità e quindi non vi siano frigoriferi funzionanti per conservare i sieri").

LA SOLIDARIETA' VERSO L'EX JUGOSLAVIA

C'è poi il problema della "visibilità". "Quanti sanno, ad esempio, che il 70 per cento di tutti gli aiuti umanitari che sono stati inviati alla ex Jugoslavia negli ultimi quattro anni sono stati pagati dai contribuenti dell'Unione?", si interroga. "Il fatto che si taccia su questo aspetto implica il rischio che i fondi possano essere tagliati all'improvviso, tanto nessuno ne sa niente".

Tentiamo una provocazione: se serbi e bosniaci dovessero coltivare i campi per mangiare, forse andrebbero a zappare invece di starsene acquattati a sparare. Gli aiuti umanitari, in fondo, non rischiano di essere una forma di finanziamento occulto della guerra? "Questo è un problema vero", risponde, "Io sono convinta però che azione politica e aiuti umanitari debbano seguire strade distinte e soprattutto non debbano darsi alibi reciproci: siccome mandiamo aiuti allora non facciamo nulla sul piano politico, oppure siccome vogliamo risolvere il problema con la diplomazia internazionale allora teniamo bloccati gli aiuti. Abbiamo il dovere di muoverci, sempre e comunque, con gli interventi umanitari nei Paesi sconvolti da guerre, perchè la parte più debole delle popolazioni non sia lasciata sola a subire una doppia violenza: quella delle armi e quella dell'indifferenza della comunità internazionale".

Emma Bonino frena il fiume delle parole e cambia discorso: "Sa qual è l'aspetto più gratificante del mio nuovo incarico? Io che ho sempre lavorato da sola come un picchio adesso ho a disposizione una segretaria e un gabinetto, decine di collaboratori con cui scambiare idee, stendere programmi, definire strategie. E' bello. Anche se non mi illudo: so bene che non tutto nasce e non tutto muore al Breydel o nei parlamenti nazionali. Però non sono più una pura movimentista che pensa che le istituzioni non contino. Bisogna lavorare a contatto con l'opinione pubblica e contemporaneamente agire là dove si prendono le decisioni. Insomma, confrontarsi e scontrarsi". E' sempre stata la sua ricetta.

 
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