di Emma BoninoIL MESSAGGERO, 12 maggio 1995
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SOMMARIO. Analisi del problema politico europeo dal punto di vista federalista, e dall'ottica privilegiata di Commissaria alla Ue. Purtroppo, tra referendum ed elezioni, l'Italia sembra avvolgersi su se stessa, senza prestare attenzione alle grosse questioni in gioco. In Italia ci si dimentica perfino della prossima Conferenza Intergovernativa del 1996, e del fatto che tra pochi mesi al nostro Paese toccherà la Presidenza dell'Unione. Intanto, sempre più ci si rende conto che nessuna delle grandi questioni aperte nel mondo potrà trovare una soluzione in ambito esclusivamente nazionale. Si augura che la classe politica italiana sappia assumere le sue responsabilità.
Alle elezioni regionali seguiranno i referendum. Ai referendum, il voto politico. Chiamati alle urne in ogni stagione dell'anno sapranno mai gli italiani, i cittadini come la classe politica, distrarsi dalla contemplazione del proprio ombelico, quel tanto che basta per capire come, e in che direzione, il mondo continua a girare anche senza curarsi di attendere la conclusione della nostra laboriosa e complicatissima saga politica?
Se si analizza la lunga lista di appuntamenti dell'Unione Europea si prova un certo senso di sconforto nel tentare di dare una risposta in chiave italiana ai problemi che attendono i Quindici. Debole sul versante della politica estera, meno credibile di quanto sarebbe normale per quel che concerne le iniziative comunitarie, l'Italia fatica a trovare il suo giusto posto nel club di Bruxelles.
Nel 1996 prenderà il via la Conferenza Intergovernativa di revisione del Trattato di Maastricht in coincidenza con il semestre di presidenza italiana. Potrebbe essere questo un buon punto per ripartire, sempre che fin d'ora l'Italia cominci ad occuparsene, come altri paesi hanno già fatto, e che non sprechi questa opportunità, magari infilando le prossime elezioni politiche proprio nel bel mezzo del nostro turno sul ponte di comando dell'Unione, con il bel risultato di gestire questo periodo distrattamente e senza alcuna autorevolezza.
I temi sul tappeto sono di grande rilevanza: compatibilità tra allargamento e approfondimento dell'Unione, moneta unica, trasparenza istituzionale, il consolidamento dei meccanismi decisionali collettivi nell'amministrazione delle relazioni esterne. Ma la questione di fondo rimane la scelta fra una Unione europea-grande zona di libero scambio e un'altra di ispirazione federalista, con una chiara politica estera e di sicurezza comune.
Sono da sempre federalista e non posso che augurarmi che il nostro paese voglia al più presto, e con grande decisione, optare per la seconda possibilità, anche perché è proprio sul terreno della politica estera e di sicurezza che si situano le prossime sfide dell'Unione. Non vi è dubbio che con l'allargamento, ad esempio, l'Europa avrà alle sue frontiere due aree verosimilmente destinate a rimanere problematiche: l'ex Urss e il Mediterraneo, verso le quali non potrà limitare le sue azioni agli aiuti economici. Lo stesso proliferare dei conflitti locali e regionali, che stanno esplodendo dopo la fine della guerra fredda, ci obbligano ad una politica di sicurezza e di difesa comune. In questo campo il Trattato di Maastricht si è risolto in un sostanziale fallimento.
Proprio quella mancanza di volontà che ha impedito all'Unione di essere all'altezza della situazione di fronte a crisi come quella bosniaca o rwandese, ha anche ostacolato la creazione di un motore istituzionale che avesse, in politica estera, il medesimo ruolo che la Commissione svolge in ambito economico e legislativo. Né esiste oggi nell'Unione una struttura responsabile dell'analisi degli avvenimenti esterni, della pianificazione, della valutazione degli interessi comuni in gioco e dei valori comuni da difendere: insomma un corrispondente europeo del National Security Council statunitense, un organismo che sintetizzi e filtri le informazioni per forumare ipotesi di azione e decisione di medio-lungo periodo.
Il massacro di migliaia di profughi Hutu perpetrato dalle truppe governative ruandesi due settimane fa ci offre un drammatico esempio. In quella circostanza ho dovuto valutare l'opportunità o meno di interrompere l'aiuto umanitario europeo. E' stata una scelta terribile: da una parte l'imperativo di soccorrere sempre e comunque le vittime, dall'altra il disagio morale verso chi non solo commette un crimine impunemente, ma puo' persino contare sul fatto che altri si occuperanno di limitare i danni e le sofferenze che ne conseguono. Sono decisioni difficili da prendere, in assenza di un quadro chiaro dei valori e degli interessi che l'Europa intende difendere.
Tutti concordano che pensare di reagire a queste sfide sulla base di interessi e strumenti puramente nazionali è del tutto anacronistico ed illusorio: merci e capitali si muovono in un mercato mondiale, i problemi ambientali non conoscono confini, quelli della sicurezza sono transnazionali. Da tempo, inoltre, anche il crimine organizzato si è internazionalizzato. Per un ovvio problema di scala, gli Stati nazionali non sono più in grado di tutelare né gli interessi nazionali, né quelli europei, né quelli di un qualsiasi cittadino europeo nel mondo. Di qui la necessità di fare dell'Unione un soggetto politico a pieno titolo già dal 1996.
Credo che l'opinione pubblica italiana sia consapevole di questa necessità. Decisamente meno sembrano esserlo gli eletti e i responsabili politici. Cinquanta anni fa, il 9 maggio 1945, si firmava l'armistizio e i nostri padri decidevano di avviare il processo di integrazione con un obiettivo chiaro ed ambizioso: mai più la guerra tra noi europei.
Dopo mezzo secolo non é forse giunto il momento di un nuovo ambizioso obiettivo, quello di una Europa effettivamente federalista in grado di far fronte alle crisi e alle guerre alle nostre porte? Non è forse questo il terreno di valori e speranze che puo' aiutare il nostro paese ad uscire dalla propria introversione?
Da gennaio l'Italia deve poter esercitare appieno il suo ruolo al timone dell'Unione. Sempre che non si faccia distrarre da elezioni politiche in primavera e che esca al più presto dai suoi incubi domestici, per portare un contributo decente al dibattito sul futuro dell'Europa. Anche perché il prossimo treno della presidenza dell'Unione passerà non prima del 2004.