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Agora' Agora - 28 gennaio 1992
REPUBBLICA POPOLARE CINESE: ARRESTI, PROCESSI E CONDANNE

AMNESTY INTERNATIONAL

SEZIONE ITALIANA

UN'IMMENSA PRIGIONE

Due anni e mezzo fa, la tragica repressione del movimento per la democrazia e delle manifestazioni di Piazza Tien an men. Nella carceri cinesi si trovano ancora decine di migliaia di prigionieri politici, arrestati e condannati per il solo esercizio delle loro libertà fondamentali. Arresti arbitrari, processi iniqui, condanne sproporzionate, duro regime carcerario fanno della Cina un'immensa prigione.

I PROCESSI INIQUI

La procedura penale cinese viola decisamente le disposizioni del diritto internazionale in materia di processi equi. Gli stessi operatori del diritto cinesi lamentano l'inadeguatezza del sistema. Nella Repubblica Popolare Cinese vige la prassi antigiuridica del "prima il verdetto, poi il processo". Il Codice di Procedura Penale prevede che "nei casi in cui lo considerino necessario", i Presidenti delle giurie dovranno sottoporre le cause più difficili "per la trattazione e la decisione a dei comitati giudicanti": questi comitati sono organi istituiti presso tutti i tribunali per supervisionare il lavoro giudiziario, e sono composti spesso da membri delle forze di sicurezza e del Partito Comunista Cinese. La consultazione di questi comitati è molto frequente nei casi in cui vengono giudicati reati di natura politica.

Un altro grave ostacolo al corso della giustizia è costituito dalle gravi limitazioni imposte agli avvocati; questi possono incontrare l'imputato pochi giorni prima dell'udienza ed il loro ruolo si riduce, in pratica, grazie anche alla predeterminazione della sentenza, alla ricerca dell'attenuazione della pena più che alla dimostrazione dell'innocenza del proprio assistito. Coloro che con troppa determinazione difendono gli imputati rischiano di passare per "complici dell'accusato" e di incorrere in prima persona in sanzioni penali. I processi, nonostante quanto previsto dall'articolo 11 del Codice Penale Cinese, non sono aperti al pubblico.

Nei processi che hanno fatto seguito alla repressione del 1989, tutti gli avvocati chiamati a difendere gli attivisti democratici sono stati scelti in appositi elenchi compilati dal Ministero della Giustizia. Alcuni di loro hanno ammesso di essere stati "invitati" a non presentare istanza di non colpevolezza per il proprio assistito e a non convocare testimoni. In un processi, una testimone a discarico non è stata ascoltata in quanto, a detta del Presidente della giuria, "l'Aula è troppo piccola".

I PRIGIONIERI POLITICI

Non è possibile quantificare con esattezza il numero dei detenuti politici detenuti nelle carceri cinesi: Amnesty International ritiene attendibile una stima nell'ordine delle decine di migliaia. I reati sono i più svariati: danneggiamento di impianti ed edifici pubblici, organizzazione di gruppi di opposizione, "sovversione religiosa", oltre ai tradizionali "crimini controrivoluzionari" (cui è dedicata un'intera sezione del Codice Penale cinese), definiti come "atti commessi allo scopo di rovesciare il potere politico della dittatura del proletariato e del sistema socialista". Le norme più frequentemente utilizzate sono l'art.98 (partecipazione ed appartenenze a gruppi controrivoluzionari) e l'art. 102 (propaganda ed agitazione controrivoluzionaria).

L'arbitrarietà della detenzione è resa possibile sia dalle leggi che dalla prassi, che a volte viola le leggi stesse. E' molto frequente ad esempio che, nonostante precise disposizioni in merito, la polizia trattenga degli individui per mesi senza muovere nei loro confronti alcuna accusa e senza che sia celebrato un processo. Il Codice Penale cinese prevede che entro dieci giorni dall'arresto debbano essere formulate accuse formali, in caso contrario si deve provvedere al rilascio. Sempre il Codice Penale fissa in cinque mesi e mezzo i termini per lo svolgimento delle indagini, trascorsi i quali il sospetto dovrebbe essere sottoposto a giudizio penale o liberato: la maggior parte delle indagini sui fatti della primavera 1989 non si sono ancora concluse e gli arrestati sono ancora in carcere.

LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Esistono due tipi essenziali di detenzione amministrativa: i centri di protezione e di investigazione (shouroung jiancha) ed i campi di rieducazione attraverso il lavoro. La rieducazione attraverso il lavoro, introdotta nel 1957 e riservata a chi ha "opinioni antisocialiste", è stata ampiamente utilizzata, per stessa ammissione delle autorità cinesi, per punire i partecipanti alle manifestazioni della piazza Tien an men.

Centinaia di migliaia , se non addirittura milioni di cinesi vengono sottoposti in maniera arbitraria ed illegale a periodi più o meno lunghi di detenzione amministrativa nei centri di protezione ed investigazione. La gente viene arrestata nelle strade, spesso per il mero capriccio della polizia o delle autorità locali, e viene detenuta in condizioni spesso precarie e sotto minaccia di tortura, senza processo. Alla detenzione amministrativa vengono sottoposti gli "elementi anti-socialisti, anti-partito o controrivoluzionari"; ma la stragrande maggioranza dei detenuti è costituita da persone di bassa condizione sociale: vagabondi, disoccupati, immigrati, "devianti sociali". Un ex prigioniero ha raccontato come era la sua cella: ventiquattro detenuti in uno spazio minuscolo, al freddo, con cibo scarso e un buco nel pavimento come gabinetto.

Le norme che regolano l'istituto della detenzione amministrativa sono vaghe, di difficile reperimento e comunque vengono frequentemente ignorate. Ogni anno centinaia di migliaia di cinesi finiscono in galera perché, ad esempio, "vagabondo da un luogo all'altro commettendo reati o si rendono responsabili di "azioni che ricadono a metà tra il reato e l'errore".

LA TORTURA

La tortura è vietata dalla legislazione penale cinese ma è estremamente frequente. Dal 1988 al 1990 le autorità cinesi, per loro stessa ammissione, si sono occupate di oltre 20.000 casi di "violazione dei diritti dei cittadini", terminologia generica che spesso indica veri e propri casi di tortura.

I maltrattamenti e le torture nei confronti dei detenuti si verificano spesso nel periodo di isolamento: i prigionieri vengono brutalmente percossi, privati del cibo e del sonno, esposti a temperature esterne molto rigide, sottoposti ad elettroshock, incatenati in posizioni dolorose ed ammassati in celle piccolissime.

REPUBBLICA POPOLARE CINESE: LA PENA DI MORTE

Le caratteristiche della pena di morte nella Repubblica Popolare cinese sono: la vasta gamma dei reati per i quali è prevista, l'alto numero delle esecuzioni, l'arbitrarietà e l'iniquità dei processi e l'organizzazione delle "esecuzioni pubbliche di massa".

Il Codice Penale contempla la pena di morte per oltre 40 tipi di reato, tra cui l'omicidio, la violenza carnale, il compimento di attentati, il furto, l'appropriazione indebita, il contrabbando ed altri crimini di natura economica oltre a tutta una serie di "azioni che possano seriamente mettere in pericolo la pubblica sicurezza".

Non è quantificabile il numero delle esecuzioni compiute in Cina nell'ultimo decennio: ciò che è certo è che, a ondate, le autorità cinesi lanciano delle campagne anticrimine che provocano migliaia di condanne a morte. Nel 1983, ad esempio, una di queste campagne provocò oltre 10.000 esecuzioni; nel 1990 sarebbero state emesse migliaia di condanne a morte, la maggior parte delle quali eseguite. Nei soli primi due mesi del 1991 sono state eseguite almeno 120 condanne a morte

La pena di morte è stata usata in maniera massiccia anche dopo le manifestazioni per la democrazia del giugno 1989: le autorità cinesi non hanno mai reso noto il numero delle condanne a morte emesse ed eseguite per i fatti della Tien An Men. Amnesty International ha raccolto i nomi di oltre 50 persone condannate a morte per reati commessi nel corso delle manifestazioni, ma ritiene che questo numero rappresenti una piccola percentuale del totale.

L'ultima campagna "per stroncare la criminalità" è stata lanciata nel maggio 1990, a quattro mesi dall'apertura dei Giuochi Asiatici, e si è protratta per tutti il 1991: in quella occasione, le autorità hanno chiesto formalmente ai tribunali di procedere rapidamente e senza pietà alcuna nell'applicazione della pena di morte. L'interferenza politica nei processi capitali è dunque indubbia.

Quanto alla procedure, è ancora in vigore una direttiva emessa nel 1983 dal "Comitato del Congresso Nazionale del Popolo riguardante le procedure per una rapida soluzione dei concernenti elementi criminali che mettono seriamente in pericolo la sicurezza dello Stato, che in pratica istituisce la presunzione di colpevolezza. Questa direttiva stabilisce che l'imputato può essere processato senza che gli venga notificato l'atto di accusa e senza poter preparare la difesa, e riduce da 10 a 3 giorni il periodo di tempo entro il quale il condannato in primo grado può ricorrere in appello contro la sentenza.

Sebbene i dati sulla pena di morte in Cina siano circondati dal mistero, in alcuni casi le autorità organizzano delle "esecuzioni pubbliche di massa" allo scopo dichiarato di "educare le masse". I prigionieri vengono allineati in uno spazio largo, con un cartello al collo su cui è scritto il loro nome e il reato commesso, e vengono fucilati alla presenza di un numeroso pubblico. Questo rito è a volte preceduto da cortei di prigionieri, legati su camion scoperti, che vengono fatti girare nelle vie delle città.

CINA: VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NELLA REGIONE AUTONOMA DEL

TIBET

Diverse centinaia di prigionieri per motivi di opinione, si ritiene almeno un centinaio, sono tuttora detenuti nelle carceri della capitale Lhasa ed in altri centri di reclusione tibetani: le più frequenti accuse nei loro confronti includono il possesso di materiale "clandestino" (documenti politici, informazioni non ufficiali, bandiere e simboli tibetani) ed il sostegno all'indipendenza della Regione Autonoma del Tibet.

Alcuni dei prigionieri attualmente detenuti hanno subito processi decisamente iniqui, le cui procedure riflettono il criterio del xian pan hou shen (prima la sentenza, poi il processo) in vigore in tutta la Repubblica Popolare Cinese: Oltre alla prigione vera e propria, i prigionieri possono scontare la pena mediante la "rieducazione attraverso il lavoro" o la "riforma attraverso il lavoro".

Un caso esemplare è quello di Ala Phurbu, 60 anni, che sta scontando un periodo di tre anni di "rieducazione mediante lavoro" nel centro di detenzione di Gutsa (Lhasa): la polizia aveva fatto irruzione nella sua abitazione trovando volantini in favore dell'indipendenza e l'aveva incriminata per aver preso parte a manifestazioni ed a celebrazioni religiose non autorizzate.

Jampel Changchub e Ngawang Phulchung stanno scontando una condanna a 19 anni di carcere, emessa il 30 novembre 1989 dal Tribunale di Lhasa, per aver formato un gruppo clandestino ed aver prodotto materiale critico nei confronti delle autorità cinesi: ovvero, la traduzione in tibetano della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite. Così Radio Lhasa descrive i due prigionieri:

"I reati commessi da questi criminali dimostrano che i cosiddetti diritti umani, le libertà e la democrazia che i separatisti invocano non sono altro che una massa di indecenti menzogne...Sono degli ex lama che si sono inseriti attivamente nella contro- rivoluzione per danneggiare la madrepatria...Hanno tradito tutti i canoni del Buddismo."

Il 6 Dicembre 1991 una delegazione di diplomatici e giuristi svizzeri ha visitato la prigione Drapchi di Lhasa. Durante la visita quattro prigionieri hanno iniziato ad urlare slogan a favore dell'indipendenza del Tibet e del Dalai Lama: per questo sono stati posti in isolamento.

Nella Regione Autonoma Tibetana prosegue anche il sistematico ricorso alla tortura dei prigionieri: tra i metodi figurano i pestaggi, le scariche elettriche e l'uso delle manette o delle corde per tenere bloccato il prigioniero in posizioni dolorose. Nel 1989 una ragazzina di 12 anni era stata tenuta in carcere per quattro mesi e ripetutamente torturata per aver preso parte ad una manifestazione in favore dell'indipendenza: ha parzialmente perso l'uso di un braccio e di una gamba. Una monaca buddista di 24 anni, detenuta in isolamento per 10 mesi nel 1990 a causa delle sue attività "indipendentiste", ha denunciato di essere stata picchiata e sottoposta a scariche elettriche nel corso degli interrogatori. Nel corso di questi ultimi tre anni Amnesty International ha ricevuto numerose denunce relative ai decessi dei prigionieri sotto tortura.

Le autorità cinesi mantengono un controllo pressoché totale sulle informazioni riguardanti il Tibet: questo controllo si è irrigidito nel corso degli ultimi quattro anni, ovvero da quando si sono intensificate le manifestazioni in favore dell'indipendenza tibetana. Il Governo di Pechino non ha mai risposto agli appelli di Amnesty International per il rispetto dei diritti umani in Tibet.

GENNAIO 1992

 
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