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Il Corsera - 12 giugno 1995
NO MIO CARO MINISTRO, L'EUROPA NON SI FA COSI'
Il commissario dell'Unione, Emma Bonino, polemizza con il responsabile degli esteri, Susanna Agnelli

12 giugno 1995

di Emma Bonino*

Corriere della Sera

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SOMMARIO. Solleva obiezioni all'intervento del Ministro degli esteri Susanna Agnelli in Parlamento, sul tema della revisione di Maastricht. L'approccio del Ministro degli Esteri italiano è stato "politicamente timido". Siamo lontani dallo spirito con cui il tema venne affrontato a Messina, 40 anni fa. Si punta, purtroppo, al ribasso. Per esempio, non appare valido il modo con cui si suggerisce di affrontare il tema della Politica estera di sicurezza comune, di affidare a un Segretario generale la realizzazione di una politica dettata dal Consiglio dei Ministri. Sembra più opportuno, invece, integrare il settore nell'attuale modello comunitario. Bene invece per il suggerimento di Susanna Agnelli di rinunciare gradualmente all'unanimità.

Non sono d'accordo con la mia amica Susanna Agnelli. Il discorso con cui nei giorni scorsi il ministro degli Esteri ha presentato in Parlamento gli orientamenti del Governo in vista della revisione del Trattato di Maastricht è impregnato di una pericolosa timidezza politica, manca del coraggio indispensabile quando si cerca lo slancio per compiere un grande balzo in avanti. Che differenza di toni fra il disegno sovranazionale, a forte vocazione federalista, che l'Italia sostenne nella Conferenza di Messina di quaranta anni fa e quello, ahimè tutto intergovernativo, di cui la Farnesina s'è fatta alfiere davanti alle Camere! Fra un anno partirà il processo di ridefinizione dell'Unione Europea, il gruppo di riflessione si è insediato il 2 giugno proprio nella città siciliana. Dobbiamo rassegnarci a vedere l'Italia autoesclusa dal plotone di chi sogna gli Stati Uniti d'Europa?

Come federalista convinta nella tradizione di Altiero Spinelli, mi allarma che nel dibattito alla Camera l'ispirazione del governo sia emersa genericamente come europeista. Eppure, gli interventi dei deputati hanno dimostrato che i valori del federalismo continuano a essere riconosciuti da una parte significativa delle forze parlamentari. Mi preoccupa dunque il basso profilo, l'approccio minimalista, e poco generoso nei confronti del sogno di una sempre più stretta integrazione, di cui Susanna Agnelli si è vestita a Montecitorio. Temo che si punti al ribasso, che si affronti il negoziato con un atteggiamento di rinuncia, invece che tuffarsi con convinzione in un processo che, bene o male, ha visto sempre l'Italia fra i Paesi più lungimiranti. Del resto, siamo la sola nazione che, con il referendum del 1989, si è espressa a schiacciante maggioranza per il conferimento di un mandato costituente (e di segno federalista) al Parlamento europeo.

Si potrebbero fare decine di esempi, ma credo che uno in particolare - vista la drammatica attualità del conflitto in Bosnia - possa servire per tutti. Nell'opinione pubblica si sta sviluppando una crescente sensibilità nei confronti dell'esigenza di dotare l'Unione europea di una autentica politica estera e di sicurezza comune (in gergo tecnico, PESC, termine brutto ma pratico), in modo da consentire ai Quindici di far fronte ai rapidi mutamenti del contesto geopolitico e alla mondializzazione dei problemi da risolvere. In pratica, ci si sta rendendo conto che Bruxelles deve avere gli strumenti per garantire la coerenza, la rapidità e l'efficacia della sua azione sullo scacchiere internazionale. Ovvero, esattamente quello che non è successo dall'inizio della crisi nei Balcani a oggi.

Susanna Agnelli riconosce che la PESC, cosi come è stata sinora realizzata dall'Unione, è in parte incompiuta e velleitaria e aggiunge che è indispensabile che l'Europa si doti di una identità internazionale sorretta da una politica estera coerente. Sono d'accordo. Tuttavia, queste parole non fanno altro che ribadire il concetto scritto nel 1991 nel Trattato di Maastricht. E quindi confermano che qualcosa non deve essere andato per il verso giusto se oggi si continua a inseguire una formula capace di risolvere tutte le crisi con la foga di chi sperava di trovare il Santo Graal.

La Farnesina, a questo punto, crede di trovare il bandolo della matassa attraverso la proposta di un segretariato generale della PESC votato all'analisi e all'esecuzione della politica estera e della sicurezza comune, un organo che dovrebbe essere posto alle dirette dipendenze del Consiglio dei ministri (cioè dei quindici governi dell'Unione). Il ministro propone persino di nominare un segretario generale che coordini il tutto e che abbia anche una rappresentatività esterna. Non ci siamo. Una decisione in tal senso avrebbe l'effetto di mettere ancora più in dubbio l'unicità del processo di integrazione sin qui perseguito, e alimenterebbe una perniciosa moltiplicazione delle istituzioni. Inoltre, l'accorpamento dei poteri in un segretario, renderebbe inutile il lavoro che nella Commissione svolgono i cinque commissari incaricati delle relazioni esterne, anche se con competenze limitate.

Da parte mia, credo che la logica federalista richieda una strategia differente. Sarebbe senza dubbio più ragionevole, scegliere la via di integrare, con gli opportuni adattamenti, la politica estera nel modello comunitario ormai consolidato, analogamente a quanto già avviene con la politica agricola, la concorrenza e la gestione del mercato interno. Si potrebbe proporre di affidare alla Commissione i compiti di esecuzione della PESC e ad una unità comune Commissione-Consiglio, sul modello del National Security Council statunítense, il ruolo di pianificazione e di analisi. In questo modo non si attenterebbe al concetto originale di costruzione europea che sinora ha di certo fatto la forza dell'Unione. Il Parlamento europeo, tra l'altro, ha dimostrato di essere pronto a appoggiare con entusiasmo questo schema.

C'è poi un secondo elemento cruciale, un passaggio che opportunamente Susanna Agnelli ha introdotto nelle proprie considerazioni sul futuro dell'Europa e che merita pieno apprezzamento. La mia convinzione è che non vi possa essere una politica estera comune fondata esclusivamente sul voto all'unanimità in seno al Consiglio dei ministri, in quanto si tratterebbe di un meccanismo troppo rigido che non favorirebbe l'amministrazione delle crisi. li ministro degli Esteri ne è consapevole e, con saggezza, si schiera per un maggiore uso del voto a maggioranza e per un accresciuto coinvolgimento del Parlamento europeo, almeno per quanto riguarda i grandi orientamenti. Giustissimo. Perché senza un deciso coinvolgimento delle istituzioni elette democraticamente, sarebbe impossibile convincere i cittadini che Bruxelles è la capitale della loro Unione, dell'Unione di tutti e non solo dei governi.

E' questa la linea che, a mio avviso, dovrà unire tutto il processo di revisione del trattato di Maastricht se vera-mente si vogliono rispettare le ambizioni federaliste. Dobbiamo impegnarci a progettare una vera Europa dei cittadini che faccia evaporare il fantasma di una Europa tecnocratica imposta dall'alto. In che modo? Cominciando dal completamento della libertà di circolazione del cittadini (gli accordi di Schengen sono un inefficace palliativo), dando poi un senso al valore di cittadinanza europea promesso da Maastricht e mai realizzato, e rafforzando il ruolo dell'Europarlamento, l'unica istanza che, poiché eletta a suffragio universale, può concretizzare il significato democratico dell'Unione attraverso la sua piena partecipazione alla revisione del Trattato.

Poste queste basi, il resto verrà da sé. Verrà la moneta unica accettata da tutti, crescerà il grande mercato senza confini e anche la politica estera comune avrà un senso reale in quanto frutto di un sistema forte, coraggioso e federalista. Al contrario, si rischia di doversela vedere con l'euroscetticismo, lo sgretolamento dei valori di integrazione, l'impoverimento del matrimonio fra i Quindici. Il governo italiano, una volta audace e ora malato di timidezza, è invitato caldamente a riflettere, per essere propositivo all'esterno e tentando di scongiurare ogni possibile instabilità politica interna nel semestre di presidenza di turno dell'Unione che si apre a gennaio. C'è ancora tempo per mettere il vecchio continente sulla rotta degli Stati Uniti d'Europa. Ma presto, anche solo fra qualche mese, sarà troppo tardi.

*Commissario Europeo

 
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