Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 03 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio federalismo
Bandinelli Angiolo - 3 marzo 1962
LETTERA APERTA A MARIO ALBERTINI
MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO

di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Interessante documento relativo ad una polemica insorta negli ambienti del Movimento Federalista Europeo all'epoca in cui De Gaulle riformò in senso presidenziale le strutture di governo della Francia. Nella "lettera aperta" che in reltà ebbe scarsa circolazione (era semplicemente ciclostilata) venivano sollevati tutti i dubbi allora circolanti negli ambienti liberali e democratici italiani dalla riforma gollista, giudicata eversiva e foriera di un nuovo autoritarismo. Nella "lettera" si contestava la possibilità che i federalisti (come invece stava accadendo, in larghi settori del MFE, specialmente francese) potessero abbracciare il programma gollista: in effetti troppo fresco e bruciante era il ricordo della liquidazione della CED voluta e imposta al Parlamento francese, solo pochi anni prima, dalle forze vicine a De Gaulle. Il documento insomma identificava il federalismo con la sinistra democratica europea, di cui esprimeva (sempre nell'opinione di Bandinelli) i valori e le speranze più avanzat

e. Al testo della "Lettera aperta" viene qui premessa una nota documentaria in cui viene tratteggiato, utilizzando anche materiale proveniente da "Sinistra Radicale", il contesto storico e politico in cui il documento si pone, ma soprattutto viene rievocata la parte sicuramente interessante avuta nel dibattito - e poi al Congresso di Lione del MFE - da un gruppo di radicali e di socialisti attivo nel Movimento stesso da posizioni assai vicine ad Altiero Spinelli. Ecco, a seguire, la nota (con l'inserto da "Notizie Radicali" e, quindi, la "Lettera aperta":

NOTA

IL 9-10-11 febbraio 1962 si svolgeva a Lione il nono Congresso del Movimento Federalista Europeo. Il congresso si apriva in un momento delicato, segnato dalla campagna gaullista tendente alla riforma del sistema politico francese. Nel MFE si aprì un forte dibattito precongressuale, che vide una forte divaricazione tra le varie posizioni, favorevoli o meno al movimento gaullista. Sul numero di febbraio 1962 di "Sinistra Radicale" apparve un resoconto del congresso e dei suoi risultati politici che riportiamo nell'essenziale, perchè documentariamente interessante:

"In occasione del IX Congresso del Movimento Federalista Europeo, tenutosi a Lione nei giorni 9-10-11 febbraio scorso si è costituita in Roma, anche se in forma non ufficiale, una corrente di sinistra, la quale ha presentato al Congresso un suo documento. In tale documento, riprendendo ed ampliando le tesi elaborate a suo tempo da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, si afferma che la lotta per la federazione europea non può non passare per un rinnovamento della democrazia europea, minacciata dal conservatorismo, dal clericalismo, dal fascismo e dal militarismo che fanno perno sul sistema degli Stati nazionali europei. Il documento compie una chiara analisi della presente situazione di questi Stati ed afferma che 'l'avanzata della democrazia ha avuto termine in Europa nel 1951, con la caduta del secondo governo laburista nella Gran Bretagna'. 'Appare evidente - prosegue il documento - che la crisi dello Stato nazionale ha portato al potere una nuova destra nei diversi paesi europei. Nonostante le differenti con

dizioni ambientali, storiche e politiche, che ne hanno determinato la conquista del potere (...) non si può negare che esistono oggi potenti fattori di unità che collegano strettamente le destre statali e nazionali sul piano europeo...' Passando a considerare le conseguenze del MEC, esso afferma poi che 'alla attuale prosperità dell'Europa dovuta alla creazione di un mercato continentale, al rinnovamento della classe dirigente industriale, all'ammodernamento dei sistemi produttivi su base di massa, corrisponde il crescente potere economico di tipo feudale delle grandi concentrazioni industriali, che determinano lo sviluppo economico al di fuori del controllo e dell'interesse pubblico.' Ricordato il 'grande potenziale di libertà' contenuto nei redenti avvenimenti sovietici, ribadita la necessità del disarmo per l'area europea, il documento invita le sinistre europee a perseguire una 'politica federalista' contro gli stati nazionali ed auspica che in queste sinistre i federalisti trovino i loro 'naturali in

terlocutori'. La presentazione del documento non è stata ultima ragione di quello spostamento a sinistra del MFE di cui anche Garosci ha parlato sul 'Mondo'. Nel suo intervento congressuale Altiero Spinelli ha assunto in proprio molte delle tesi della sinistra federalista, riconoscendo che il MFE dovrà accettare le rivendicazioni democratiche avanzate oggi, ad es: in Francia, da uno schieramento progressista largamente individuato nelle sue componenti essenziali. La resistenza più forte a questa svolta così recisa è venuta (a parte che da certi gruppi francesi tradizionalmente aasai a destra nel loro federalismo antigiacobino) da una aliquota di federalisti che, pur di sentimenti democratici, ha preferito arroccarsi intorno all'attendismo di Mario Albertini, timorosa di perdere individualità nell'annegamento indifferenziato tra le forze della sinistra democratica. In realtà questa posizione ha dato prova di inconsistenza, perché non è riuscita a contrapporre alla nuova linea federalista una seria alternativa

di azione politica. Così si può affermare che le tesi del gruppo romano (per il quale erano presenti come delegati a Lione Giuliano Rendi, Federico Bugno, Stefano Silvestri e Angiolo Bandinelli) hanno giocato un ruolo preponderante..."

(N.B.= Oltre ai nomi citati, del gruppo della "sinistra federalista" di Roma vanno ricordati Gianfranco Spadaccia, Aloisio Rendi, Franco Sircana, Riccardo Perissich, Roberto Aliboni e Massimo Bonanni, di estrazione radicale o socialista).

*

Ed ecco il testo della "Lettera aperta":

Roma, 3 marzo 1962

Caro Albertini,

a conclusione e magari a ripensamento del recente congresso di Lione dei federalisti, vorrei con questa lettera sottoporre alla tua attenzione alcuni problemi, emersi dalle discussioni congressuali e degni, a mio parere, di considerazione. Ritengo sia importante parlarne, soprattutto con te, in quanto io penso che le uniche posizioni valide oggi nel Movimento sono, oltre a quella di cui è esponente principale Spinelli e a quella degli amici di Roma - tra i quali tu conosci bene, anche per un suo recente documento, Giuliano Rendi - la posizione che si è formata intorno alle tue tesi, anche congressuali. Non vedo infatti nel Movimento altri interlocutori validi ed in ciò ritengo che il congresso, con i suoi risultati, mi dia ragione. Le coalizioni e gli insiemi di coalizioni ivi formatesi non rappresentano se non centri di potere istituzionalizzati ed assai labili; aliene in definitiva dallo slancio rivoluzionario che dovrebbero essere nel nostro Movimento. I dissensi manifestatisi al congresso tra il gruppo d

i coloro che hanno accettato la linea indicata da Spinelli (alla quale anche gli amici di Roma hanno dato appoggio congressuale) e il gruppo che ha accettato la tua linea politica vertono non certo su alcune modalità tattiche o strategiche della futura linea del Movimento, ma proprio su alternative di fondo, su una valutazione globale del presente momento storico e politico e quindi sul valore stesso dell'azione federalista in tale contesto. Voi avete dato al révirement di Spinelli due interpretazioni: secondo una di esse, quella minimalistica, avete ritenuto che con la sua tesi della alleanza con le forze democratiche dell'opposizione ``nazionale'' Spinelli volesse solamente proporre una sortita a carattere immediato che valesse quale atto di presenza nella crisi francese o magari nella crisi europea, nel momento in cui l'alternativa tra fascismo e democrazia si propone con una urgenza fino a ieri insospettabile. La vostra risposta alle tesi di Spinelli, una volta interpretatele in questa maniera, è stata i

neccepibile: ``Se le cose stanno così - voi dite - se noi dobbiamo combattere il fascismo con una nostra personale adesione a carattere morale, questo possiamo farlo, certamente, ma la presenza del Movimento Federalista Europeo è perfettamente inutile; il Movimento perde anzi la sua stessa ragione di essere e rischia di dissolversi, assorbito nelle lotte nazionali''. Sospingendo più a fondo l'analisi, voi temete (in un'altra e più lunga prospettiva) di trovarvi oggi a fare con le sinistre ``nazionali'' quello che ieri il Movimento fece con i moderati: il consigliere inascoltato e la mosca cocchiera, in situazioni politiche che non ci interessano e che noi non saremo mai in grado di realmente dominare e controllare. A nostro avviso, la situazione non si presenta in questi termini. Il discorso di Spinelli, per quello che a noi sembra valido, è un discorso politico assai più profondo. Giuliano Rendi ha dimostrato chiaramente, insieme con gli amici firmatari del documento ``Su una politica di sinistra federalist

a'', come le situazioni reazionarie e conservatrici che oggi tutti noi sperimentiamo in Europa siano "coestensive" in pieno, e quasi senza residui, con il fenomeno nazionale. Attraverso situazioni nazionali, saldamente controllate in un gioco di rapporti assai complesso in cui lo stesso europeismo ufficiale è una necessaria pedina, i settori conservatori e i gruppi di potere perpetuano la loro presa di possesso dei fattori "reali" della vita sociale e li impiegano nell'arbitrio incontrollato e nell'assenza di ogni finalità pubblica. Gli Stati europei, privi della vincolante potestà giuridica che li giustifichi, conducono politiche miranti a consolidare la forza di questi potentati a carattere feudale. Questi potentati non sono solo economici, direi anzi che l'aspetto economico è solo strumentale rispetto ad altri a carattere ideologico assai meno evidenti a prima vista. Da questo punto di vista, il clericalismo italiano non è secondo alla politica economica erhardiana, e così via. Il documento di Rendi è sem

plificativo al massimo, e non conviene in questa sede ripetere quelle argomentazioni. Conviene però esaminare se, di fronte ad una tale situazione, i federalisti non debbano fare scelte precise. A tal fine, essi dovranno un po' meditare su se stessi e sulle ragioni del loro impegno. L'istanza federale è l'istanza di una volontà democratica; essa è, con la sua grandiosa tesi di uno spazio europeo in cui risolvere i problemi del nostro tempo, coestensiva alla lotta per la democrazia che i democratici combattono su vari fronti. In ciò, l'istanza federale non è europeista, e di fatto i federalisti hanno già capito da un pezzo che l'europeismo non può interessarli ed è anzi il loro peggior nemico. Se gli togliamo questo contenuto, (l'unico contenuto possibile del suo "préalable" istituzionale) il federalismo non è nulla. Io spero che nessuno dei federalisti possa contestare queste verità, che emergono chiare da tutta la storia del referendum moderno, e cioè del federalismo di questo dopoguerra, nato dalle meditaz

ioni di una Resistenza che fu qualcosa di più che una occasionale insurrezione armata contro occasionali nemici. E' vero che il federalismo ha via via assunto diverse posizioni tattiche, a seconda del volgere degli avvenimenti. Non vogliamo contestare la validità di queste posizioni le quali anzi, con le loro vittorie e con le loro sconfitte, segnano una traccia ormai non più cancellabile nella storia del pensiero politico europeo. Ma, nel nostro rifiuto costante della possibile identificazione totale con il contenuto (non con il metodo) di queste tattiche, noi ci siamo sempre opposti a che il federalismo, strumentalizzato da forze eterogenee, perdesse il "suo" contenuto peculiare e caratteristico, la sua originaria istanza democratica, la sua validità di alternativa alla situazione di antidemocrazia che, insieme con l'abbandono della tensione federale e il ritorno dell'europeismo più equivoco, quelle forze tenevano ad instaurare. La battaglia ``moderata'' fu una di queste situazioni tattiche, e nacque propr

io da una valutazione di questo tipo. Ma già il moderatismo al quale noi presentammo le nostre esigenze era, non più di dieci anni fa, profondamente diverso da quello di oggi, in quanto usciva anche esso dalla matrice della resistenza e si opponeva duramente ad un certo tipo di fascismo, al fascismo della fisionomia prebellica cioè, con il suo volto hitleriano e mussoliniano. Questo moderatismo riuscì a certi suoi scopi, riuscì cioè a rimettere ordine nelle faccende degli Stati europei. Fece ciò servendosi anche dell'europeismo, ma sostanzialmente le sue tesi profonde erano nella restaurazione del vecchio ordine europeo, con tutte le sue implicazioni ideali ed ideologiche ed i suoi equilibri peculiari. Fu questo moderatismo che propose la tesi secondo la quale gli schieramenti politici nazionali si suddividono in una classica ripartizione di sinistra, destra e centro, e così facendo esso ci ingannò tutti. I fatti invece sono chiari: le divisioni tra sinistra, centro e destra non trovano più una loro camera d

i compensazione nei parlamenti nazionali, secondo le regole del gioco ottocentesco, ma vivono nella lotta ideologica che spacca l'Europa ed il mondo in grandi blocchi destinati al confronto e forse al conflitto. Quel moderatismo ci impose cioè (e questa fu la sua manovra ``nazionale'' più abile ed intelligente) i suoi schemi politici e partitici a carattere statico, che esso poteva controllare con equilibrismi e tatticismo a carattere parlamentare. Costrette ad esempio le masse operaie entro questi schemi, era facile dedurre che le loro lotte si sarebbero automaticamente e "progressivamente" risolte con la concessione ora di questo ora di quel beneficio economico o di questa o quella fetta di potere condizionato; e così via. In questo contesto fraudolento, anche i federalisti sono caduti (ma non potevamo aspettarci di più) nella trappola. Anche per loro, le destre (almeno quelle ``costituzionali''), il centro moderato, le sinistre (debitamente ``nazionalizzate'') sono diventate equivalenti l'una all'altra e

reciprocamente intercambiabili senza danno eccessivo. Di fatto, i federalisti si trovano da anni in questa situazione compromissoria, di essere divenuti portavoce, malconsenzienti è vero, di esigenze non specificamente loro e di essere costretti a non fare più scelte. Poiché in realtà la non-scelta a sinistra è di fatto una scelta "per" il moderatismo e per i suoi attuali fallimenti. A questo punto, mi corre l'obbligo di farti presente che la tua posizione è la più responsabile di questa situazione. Nel fare queste analisi, mi sono augurato che tu le esaminassi senza preclusioni personali, per quello che esse intendono essere, e cioè un contributo al nostro comune dibattito politico e culturale. Quando tu asserisci che per fare una azione politica occorre ``analizzare i fatti'' e demistificare l'ideologia, tu ti poni nella corrente di un preciso filone ideologico e culturale, in quanto utilizzi coscientemente e volutamente la metodologia di un certo empirismo logico. Non è qui il caso di un esame particolare

ggiato e di questa posizione; mi basta affermare qui che tu, facendola tua, ti sei reso senza volerlo "strumentale" rispetto a quel moderatismo la cui massima ambizione è di abolire dal campo dell'indagine politica l'ideologia e le sue specifiche ricerche, e quindi di ridurre tutto l'agire dell'uomo, attraverso una scienza politica a carattere non ideologico, ad una tipologia descrittiva di azioni in sé equipollenti. L'ideale supremo di queste forze moderate è di poter incasellare ogni comportamento in uno schematismo in definitiva sociologico, per condizionare le eventuali nuove ``esigenze'', dovunque esse insorgano, a caselle prefissate, e quindi svuotarle di senso e sospingerle ad una condizione di sostanziale resa. Le tue ipotesi sull'Europa odierna rispondono a questi canoni. A destra come a sinistra, le forze politiche in gioco sarebbero sostanzialmente omologhe le une alle altre, in quanto obbediscono le une come le altre a fini (magari inconsci) insiti nella loro statica condizione sociologica, nelle

loro strutture indifferenziate. Nella storia, secondo te, non si danno "valori", ma solo "fatti": il che consentirebbe di instaurare una scienza della politica non condizionata dall'ideologia. Noi, di conseguenza, dobbiamo chiudere occhi ed orecchi sui moti di queste forze in gioco, perché sono moti apparenti e semanticamente vuoti, ad esaminare piuttosto là dove si manifestino ``interessi europei'' da liberare e da sviluppare secondo una dinamica europea. Nel fare questa analisi, tu metti da canto, come irreale ed illusoria, la tensione verso l'astratta libertà che è in certe battaglie, e consideri come semanticamente incontrollabile quella che noi chiamiamo ``reazione''. Questo è appunto quanto sperava il moderatismo, italiano ed europeo ugualmente. Le vicende italiane dimostrano ampiamente che sulla scientifica sociologia statica si può costruire anche un ottimo governo ``popolare'' chiamandolo centro-sinistra, il quale serva molto bene a modificare certi rapporti strutturali ma senza cedere nessun punto

a richieste di ``libertà'' sostanziali. Sul piano europeo, il moderatismo è capace di simili manovre: ogni volta che si è fatto appello all'Europa, il moderatismo ha fatto suo l'appello e lo ha svuotato di contenuto ideologico, riempiendolo invece di contenuti economici ed economicistici - purché, beninteso, nulla mutasse nel contesto reale delle forze in gioco, e purché non si parlasse di ``libertà''. Malauguratamente per noi, l'equivoco ci ha trascinati anche noi in una bella famiglia. Quando noi parliamo all'esterno del Movimento, la nostra Europa viene identificata - e non credo in malafede - con l'Europa "tout court" alla quale fanno appello, con molto diritto in fin dei conti, i fascisti, i nazisti, i razzisti, gli ``ultras'' dell'OAS, che sono i portavoce presso la gente comune di reali interessi di potere la cui nudità ideologica è addirittura repellente. Non c'è verso, e sa bene chi ha provato a parlare in pubblico: l'Europa federale è ineluttabilmente l'Europa di Carlomagno, lo spauracchio della S

anta Alleanza. Nel nostro Movimento, a furia di schematismi, è diventato oggi assai più facile reclutare qualunquisti, fascisti, e simili piuttosto che gente realmente interessata nella politica, che uomini di cultura, che giovani anelanti ad un mondo diverso e meno mistificato. Tutte le nostre alleanze sono oggettivamente a destra, "mai" a sinistra. Questo è un fatto che dovrebbe dare a pensare a tutti noi, e, ritengo, anche a te. A questa genia di facili alleati unisco anche coloro che, in odio allo Stato nazionale, lo combattono, ma solo per odio antigiacobino, e per amore di presunte ed inesistenti (o quasi) libertà ``locali''. Non discutiamo qui del decentramento, dell'articolazione federale dello Stato moderno, eccetera, cose sacrosante, ma dall'avere innalzato a ``valori'' originari e a funzioni della libertà ogni e qualunque isola di reazione vandeana si manifesti nel mondo europeo. Di questa gente se ne trova parecchia nel Movimento, e a Lione abbiamo visto le loro rivolte rabbiose e il loro sostanz

iale fascismo. Essi hanno il nome di ``Europa'' in bocca come di una finale vendicatrice delle loro frustrazioni e delle loro meschinerie, quasiché l'Europa dovesse essere l'affossatrice di un giacobinismo che storicamente è stato, con tutti i suoi errori di cui noi dobbiamo senz'altro emendarci, anche un fattore di progresso. Io mi domando perché mai questi vandeani di estrema destra debbano stare vicino a noi federalisti, nati al postutto della resistenza. Solo perché essi fanno un uso del tutto nominalistico della nostra fraseologia? A Lione, a volte, di fronte a costoro, io mi sono vergognato di chiamarmi federalista. Non dovrebbe dare da pensare il fatto che, ad ogni appello contro il fascismo (e questo fatto dovrebbe verificare l'asserzione che non basta essere federalisti per essere moderni, come dieci anni fa dicevamo con uno slogan diventato ormai celebre), costoro si trovassero sistematicamente a traccheggiare e a rifiutare il loro appoggio? Tutto ciò dimostra che oggi l'Europa è il simbolo di un g

rosso equivoco. Essere per l'Europa può significare essere contro ogni tentativo di riplasmare il mondo circostante secondo le indicazioni che una massa immensa di ricerche culturali vanno ormai sempre più chiarendo, contro ogni tentativo di rivedere vecchie strutture e vecchie idee pesantemente accampate in mezzo a noi. Al limite, non dovremo meravigliarci di constatare che proprio attorno al nome di Europa, si arroccheranno tutti i tentativi più conservatori di frenare il moto della storia: personalmente ritengo che il congresso di Lione abbia già segnato un punto di vantaggio a favore di questi reazionari. Nel momento in cui la situazione critica dello Stato francese veniva verificando punto per punto le tesi federaliste circa la crisi dello Stato nazionale europeo, i federalisti sono stati sostanzialmente e "scientemente" assenti dal dibattito politico, magari con il pretesto che tra i democratici impegnati nella lotta antigaullista si trovava Mondés-France. E che cosa abbiamo aspettato per entrare "noi"

nel vivo della discussione e far sentire la nostra voce, in un dibattito lungo e certamente difficile con coloro che, cercando una nuova strada alla libertà, tornavano ad incappare nell'errore della Francia storica e dei suoi valori? Forse che questi democratici fossero folgorati dalla luce della verità per avere letto qualche testo spinelliano o magari di un Marc? Ma non dimentichiamo che i nostri odi risalgono all'epoca della CED e che anche per noi le cose dovrebbero essere cambiate, se noi vogliamo realmente fare politica. Noi dobbiamo fare le nostre scelte: e nel momento in cui l'Europa si identifica con la reazione, noi dobbiamo essere "contro l'Europa". Se vogliamo costituire uno Stato democratico a livello europeo, dobbiamo togliere di mezzo molti miti vecchi, superati, o, per di più, pericolosi, visto che possono arrivare a farci confondere con i peggiori reazionari. E' evidente che questo tipo di lotta e di impegno politico presenta i suoi rischi, ma è evidente che i rischi dobbiamo affrontarli pe

r verificare le nostre stesse tesi e per avanzare. A questo punto, tu puoi obiettare che noi non possiamo fare questo finché non avremo costituito una forza efficiente a libello europeo. Ma permettimi di dirti che qui, a mio modesto avviso, tu commetti un altro grave errore. Tu ritieni infatti che costituire una forza a livello europeo significhi costituire una forza distribuita "geograficamente" su tutta l'area europea, come le maglie di un sistema ``perfetto'' e concluso. Io ritengo personalmente che agire a livello europeo significa essenzialmente agire "in direzione" europea, dovunque ciò sia possibile (dopo tutto la rivoluzione comunista fu fatta a Leningrado), con uno sforzo dal "valore" europeo e con "significato" europeo. Intendiamoci, non con significato europeista, ma mettendo realmente in moto fattori di sviluppo europeo, con una dinamica europea, di volta in volta verificata nel contesto politico contemporaneo ed attuarlo, senza mitizzazioni e delusioni. L'esperienza del gruppo di Roma, maturata

secondo le linee indicate dal documento di Giuliano Rendi, è stata in questo senso assai fruttifera, e se fallirà per scarsezza dei suoi promotori, non per altre ragioni. Il gruppo di Roma ha agito con fini e significati europei, diciamo di più, "federalisti", là dove si facesse sentire una esigenza di libertà e di rinnovamento. Per fare questo, il gruppo ha dovuto scartare tutte le compromissioni centriste ed ha fatto appello ad ogni istanza politica che si presentasse come democratica e rinnovatrice. Questo non significa che fossero respinte le forze di provenienza centrista, ma semplicemente che esse venivano costrette a ripudiare i loro legami con le situazioni di potere attuali allacciate - loro sì, organicamente, con gli schemi nazionali. Nel far ciò, il gruppo ha dovuto anche modificare a volte le stesse convinzioni su questo o quello dei punti politici in discussione: la sua intransigente accettazione del principio del laicismo è uno di questi punti. Certo, se il laicismo viene identificato con un ce

rto tipo di battaglie giacobine ottocentesche, esso è sì il residuo di una battaglia nazionale, un tipo di ``comportamento nazionale'' antiquato; ma se per laicismo intendiamo l'intransigente difesa dei valori di libertà contro la sopraffazione settaria, la richiesta di uno stato di diritto capace di far rispettare ai vari ``corpi'' infrastatali le esigenze di libertà di ognuno dei cittadini, ecco che anche il laicismo è una battaglia moderna, che ogni federalista "deve" poter e voler combattere fino in fondo, aiutando ogni fermento di libertà laica a manifestarsi in ogni sede possibile ed insieme dimostrandogli la necessità di fare propria l'esigenza federale, come il quadro istituzionale più valido a sostenere la sua richiesta di libertà. Così, ancora, il neutralismo di Rendi e dei suoi amici non è l'accettazione delle tesi nenniane, ma la valutazione politica di una necessaria politica europea di netto appoggio alle richieste di disarmo e di controllo atomico e convenzionale che vengono dai Paesi non impe

gnati, i quali si sforzano di far diminuire, con il peso della loro presenza politica, l'attuale tensione internazionale. Così ancora l'appoggio politico alle iniziative anticolonialiste dell'ONU è stata una presa di posizione necessaria a mettere in valore il distacco di una ``nuova'' Europa dall'eredità del passato; non dimentichiamoci che una Europa federata al livello politico attuale non sarebbe certo un regalo gradito ai Paesi del terzo mondo, i quali proprio di questa Europa, federata o no, non vogliono più sapere. In tutte queste iniziative, i federalisti romani hanno dovuto verificare le loro tesi, e, se necessario, modificarle, e non solo strumentalmente; essi sono giunti fino a rifiutare coscientemente l'Europa come loro campo di azione, ogni volta che Europa significava, per lo stato attuale dei fatti, la reazione e la conservazione. Scegliendo la democrazia, nella sua nudità ideologica, essi non hanno certo dimenticato di essere federalisti, ma hanno saputo scindere le loro responsabilità da que

lle di chi dell'Europa faceva un uso malfido. Dovunque essi si sono messi, lungo queste direzioni, essi hanno costituito riserve di dibattito federalista, più o meno esplicite e più o meno avanzate: ma che essi dovranno continuamente investire della loro critica e della loro sollecitazione. L'Europa federata non è un fatto geografico, ma un fatto politico, che si afferma dovunque sia possibile affermarla e difenderla; con l'implicita tensione, ovviamente, ad allargarne i confini e le linee di sviluppo, fino a farla coincidere, più o meno esattamente non importa, con i confini geografici che ci siamo prefissati: ma nella misura, anche, in cui dentro questi confini si manifesteranno fenomeni di laicismo, di democrazia, di sviluppo e di tensione democratica, che è - per essere espliciti - la possibilità sempre aperta di ricercare e di progredire verso quegli scopi di libertà che, nel mondo travagliato di oggi, già in qualche modo cominciano ad intravvedersi.

 
Argomenti correlati:
mfe
albertini mario
lione
europa
de gaulle charles
nazionalismo
democrazia
stampa questo documento invia questa pagina per mail