SOMMARIO: Il Parlamento europeo eletto nel 1979 è una "Assemblea inquieta", rispecchia "l'Europa comunitaria" anch'essa "inquieta": essendo una "quasi Confederazione", non può più "optare per una politica dello status quo". Nel nuovo Parlamento si sono manifestati due schieramenti, "uno conservatore, maggioritario, uno progressista, minoritario", con "quattro spartiacque": a) tra chi privilegia "la sicurezza del capitale" e chi privilegia "la sicurezza dei lavoratori"; b) tra sostenitori di "soluzioni tendenzialmente autoritarie" e centraliste e sostenitori di soluzioni "decentrate e libertarie"; c) tra "europeisti federalisti ed europeisti tiepidi", o "nazionalisti"; tra "centro e periferia dell'Europa comunitaria". Da queste divisioni nascono diverse "combinazioni". Non si deve fare carico a Pannella di esercitare in questo quadro una "iniziativa politica che altre forze avrebbero dovuto assumere sùbito". Su quali problemi si misureranno in concreto gli schieramenti? Su problemi come l'energia, l'occupazio
ne, l'ampliamento della CEE, il "bilancio comunitario" e i poteri del Parlamento stesso. (»L'Europeo 9 agosto 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)
Chi si aspettava dalla prima sessione del Parlamento europeo una assemblea solenne e compunta, contento di occupare un ruolo prestabilito e delimitato nella delicata rete delle istituzioni comunitarie, è stato rapidamente disilluso. Il Parlamento riunito a Strasburgo nel luglio '79 somiglia poco all'assemblea di delegati che fino allora era andata sotto il nome di Parlamento europeo: anche se bisogna dire che quest'ultimo, nella sua estrema fase, aveva manifestato guizzi di iniziativa politica. E' merito o colpa di Pannella? E' responsabilità di una presidenza caratterizzata, all'inizio, dall'evidente inesperienza di un pugno di velluto racchiuso in una mano di ferro? Forse l'inquietudine manifestata fin dalle prime battute di questa nuova istituzione ha cause meno occasionali. Il nuovo Parlamento è una assemblea inquieta perché - sia pure in modo parziale e deformato - essa rispecchia l'Europa comunitaria. E l'Europa comunitaria è una realtà inquieta, ben diversa da quella, diplomatica e burocratica, dei pa
lazzi di Bruxelles. E' certo ingenerosa la battuta dissacrante di Lacquer, secondo la quale l'Europa comunitaria sarebbe stata finora un mercato comune imperfetto, più un tradizionale concerto annuale di musica di Johann Strauss, sotto l'abile direzione di Willy Boskowski a mezzogiorno di ogni Capodanno. L'edificio costruito a Bruxelles è ben più di questo. Il famoso patrimonio comune (acquis communautaire) è già un sistema di legami, di solidarietà, di rapporti, che connette i Paesi della Comunità in un contesto di relazioni tali da rendere la loro interdipendenza irreversibile. Nessuno può sottovalutare la straordinaria rivoluzione che ha trasformato l'Europa rissosa e sanguinosa delle potenze in una »quasi Confederazione , dotata di un suo peso economico e di una innegabile, anche se embrionale, influenza politica. Ma è altrettanto vero che proprio per trovarsi in questa situazione instabile di quasi sistema, nel momento stesso in cui la sfida petrolifera pone alla sua economia nuove fondamentali responsa
bilità, la Comunità europea non può permettere di optare per una politica dello status quo. Nel loro stato attuale, le sue istituzioni sono incapaci di permettere una risposta coerente e organica ai problemi di riconversione che la crisi implica. Tali problemi comportano, che lo si voglia o no, una ristrutturazione delle politiche e delle istituzioni comunitarie. Oppure, all'opposto, una involuzione verso posizioni nazionalistiche e protezionistiche che affiorano, del resto, da ogni parte. Il Parlamento europeo è la prima fondamentale innovazione della costruzione comunitaria. Esso vi inserisce gli elementi del dibattito e del conflitto politico. Ed è sintomo di una attonita insensibilità burocratica, che le prime manifestazioni di questo conflitto siano state interpretate, da osservatori scandalizzati, come manifestazioni folkloristiche di un happening meridionale. Fin dall'inizio, nel Parlamento europeo si è rivelata la presenza di due schieramenti: uno conservatore, maggioritario, e uno progressista, mino
ritario. Ma sarebbe, anche qui, un grave errore quello di voler »leggere il nuovo Parlamento europeo soltanto in un'ottica tradizionale, che si limitasse a riprodurre, su dimensioni continentali, i tradizionali schieramenti esistenti all'interno dei singoli Paesi. In realtà, ad una osservazione più attenta, si possono scorgere almeno quattro spartiacque che segnano la nuova Assemblea. Il primo è quello tradizionale tra forze politiche che perseguono soluzioni ispirate al principio della sicurezza del capitale e forze politiche che ispirano la loro azione al principio della sicurezza dei lavoratori. Questa è l'essenza del conflitto tradizionale tra la destra e la sinistra del mondo contemporaneo. Il secondo spartiacque divide i sostenitori di soluzioni tendenzialmente autoritarie e accentrate, dai sostenitori di concezioni decentrate e libertarie. Terzo spartiacque: tra europeisti federalisti ed europeisti tiepidi o, addirittura, all'estremo, antieuropeisti e nazionalisti. E' questa la linea divisoria che ca
ratterizzerà, in modo più specifico, il Parlamento europeo e che farà emergere di fronte al partito dei governi, il partito del Parlamento. Mi pare, infine, che si profili un quarto spartiacque: tra il centro e la periferia dell'Europa comunitaria; tra le regioni che si dispongono attorno all'asse trasversale (est-ovest) dell'attuale Comunità e quelle collocate a nord e a sud di questo asse: Inghilterra e Irlanda da una parte, Italia dall'altra. Si tratta di una linea di distinzione che è destinata a rivelarsi sempre più importante nel prossimo futuro: quando, con l'ingresso della Grecia, della Spagna e del Portogallo, l'equilibrio europeo comporterà necessariamente una riduzione di peso dell'attuale baricentro lotaringio Francia. Queste linee di demarcazione sono già tutte presenti oggi nella compagine dell'attuale Parlamento. Esse non si sovrappongono se non in parte, ma si intersecano, dando luogo a diverse combinazioni. Per esempio, ad un estremo dello spettro politico del Parlamento, troviamo una forza,
quella gollista, che esprime il trinomio: lavoro-libertà-federalismo. Ma le combinazioni intermedie sono molte; e tagliano in senso trasversale i gruppi politici tradizionali. E' proprio questo aspetto differenziato che darà al Parlamento europeo una fisionomia inquieta, ma anche mobile e ricca di potenzialità politica. Di qui l'assurdità della pretesa di irrigidire gli schieramenti, ponendo limiti alla rappresentanza dei raggruppamenti minori. Se c'è una istituzione cui più si addice il sistema proporzionale è proprio un parlamento che non deve esprimere un sistema di governo, ma costituire piuttosto una forza politica di controllo e di stimolo. Possono o no piacere i metodi di Pannella. Ma non si può fare certo carico a Pannella di esercitare una iniziativa politica che altre forze avrebbero dovuto assumere sùbito e per conto proprio, in difesa della libertà di espressione delle minoranze. Del resto: è proprio dalla capacità di iniziative dei gruppi in esso presenti che dipenderà l'assetto politico che il
Parlamento europeo finirà per assumere e il ruolo che esso dovrà svolgere. E' infatti sui problemi concreti, non su astratte contrapposizioni di schieramenti politici, ricopiati sulla falsariga nazionale, che determineranno l'ambito e il senso dei poteri del Parlamento. Vogliamo indicare alcuni di questi problemi?
Quello dell'energia è il più grave ed imminente. Sarà essenziale che il Parlamento lo assuma come criterio distintivo di una iniziativa unitaria europea: si tratta di un formidabile problema, non solo economico, ma anche politico, poiché coinvolge la distribuzione del potere tra Stati, compagnie multinazionali, consumatori, e l'equilibrio internazionale dell'Europa nel mondo. Problema dell'occupazione. L'aumento della produttività del lavoro, e le dislocazioni strutturali dell'industria, rese necessarie dalla nuova divisione internazionale del lavoro, comportano una utilizzazione diversa del fattore lavoro, nel senso di una riduzione della durata del lavoro, di una ripartizione più flessibile del tempo di lavoro, di una più ampia fungibilità delle mansioni. Tutti obiettivi che possono essere perseguiti solo su scala sovrannazionale, con un »new deal tra imprese e lavoratori. Terzo problema: l'ampliamento della Cee. L'estensione della Comunità ad altri paesi del Mediterraneo altererà radicalmente la fisionom
ia economica dell'Europa. Quello delle aree depresse o sottosviluppate non sarà più un problema periferico »regionale , da affrontare attraverso trasferimenti di risorse, ma diventerà il problema centrale di una economia dualistica, con modifiche della politica industriale. Infine, il problema con il quale il Parlamento europeo si troverà alle prese fin dalla prossima sessione, quello del bilancio comunitario. Le spese della Cee stanno per forare il limite delle risorse interne. Ciò pone l'esigenza di un ampliamento delle entrate comunitarie, e dunque dei poteri del Parlamento. E' attorno a problemi di questo tipo che dovrà esercitarsi l'iniziativa politica. Dal modo in cui essi saranno impostati diverrà evidente se il Parlamento europeo sarà solamente una querula »Dieta , oppure una grande Assemblea politica.