Roma, 29 settembre.
Cesare Chiti, da oltre venti anni in carcere, condannato all'ergastolo, è in sciopero della fame per protestare contro il trasferimento a Palmi che ha comportato la rottura drastica del suo percorso di reinserimento. Fino a un anno e mezzo fa Chiti era detenuto a Trani dove da molto tempo lavorava all'esterno del carcere e usufruiva di permessi premio. Del suo caso si sono occupati in una interrogazione parlamentare anche i deputati Marco Taradash, Tiziana Parenti, Tiziana Maiolo, Gian Piero Broglia, Carlo Usiglio ed Elio Vito.
Su questo caso, Sergio D'Elia, della segreteria del Partito Radicale, ha dichiarato:
"Cesare Chiti è stato, insieme ad Andraous, l'artefice di quell'esperienza nelle carceri, i collettivi verdi, che hanno caratterizzato la gestione di Nicolò Amato. Di quella esperienza, che con Chiti ha avuto successo, e che ha trasformato alcuni "boia delle carceri" in cittadini rispettosi delle leggi e delle istituzioni, l'attuale massimo responsabile e dirigente di fatto dell'Amministrazione penitenziaria ha voluto fare terra bruciata. Coerentemente con le sue proposte di 'lavoro forzato' per rieducare i detenuti e di un 'collare elettronico' per controllare quelli agli arresti domiciliari, Francesco Di Maggio considera gli ergastolani come Chiti solo per quella scritta "fine pena mai" che hanno sul fascicolo giudiziario: soggetti senza speranza. E' grave che, in un paese che sta abolendo totalmente la pena di morte e che - in sede Onu - sta proponendo a tutti gli Stati di fare altrettanto, alla guida delle carceri ci sia un uomo ispirato da una concezione così contraria ai principi rieducativi e umanitar
i sanciti dalla nostra costituzione."