Bruxelles 5 luglio 1995
Il dolore è tanto grande, e non potrà che crescere, quanto poca, in me, è stata la sorpresa. Sicché il rimorso dell'inadeguatezza di un compagno che resta non può che essere cocente, profondo.
Alex Langer, assetato e arso di purezza, di amore, di amicizia di nonviolenza, tanto mite con gli altri quanto duro con sé, ha sempre cercato - di volta in volta dolente o trepido - un luogo della città e della politica, per sé e per noi, dove si potessero vivere democrazia, tolleranza, pace in una sorte di comunione di santi, di corpo mistico degli inermi non inerti.
Ma in lui non v'erano facili irenismi: natura e storia del testimone hanno prevalso , appena velate dall'umiltà, che gli impediva anche solamente di pensare di costituirsi in esempio.
Avevamo concepito insieme, e anche dato alla luce pericolosa della realtà, due o tre battaglie, parole: trans-etnicità, fra queste. E la loro organizzazione, il loro prender corpo, dal piccolo al grande, si sperava, se possibile. Ad altri, speriamo, ne resterà cura, e forza.
Lo avevo rivisto a Cannes l'altro giorno, per Sarajevo, cercando Chirac e trovando Daladier.
Alex Langer non si è rassegnato, non si è piegato. Quando non si è più spiegato il perché del mondo e della vita, di questo mondo di questa vita, e la disperazione ha preso il posto della speranza, anche nella città, anche nella politica, ha deciso di consegnarcela, perché non restasse "privata", non restasse male oscuro per tutti noi. Da Alex Langer ci giunge così un monito e la disperata grandezza di un "nostro" testimone.