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Spadaccia Gianfranco - 24 marzo 1984
MA FINORA HANNO VINTO I NEMICI DELL'EUROPA
I partiti e la Cee

di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Il "manifesto di Ventotene" di Altiero Spinelli creò un forte movimento federalista che riuscì ad approdare solo al Mec. Purtroppo, però, c'è stata una involuzione nel rapporto europeo tra gli stati per cui l'integrazione dei prezzi dei pomodori conta più della costruzione di una coerente politica europea. Bisogna costruire invece un'Europa in grado di rispondere alle sue responsabilitàe all'altezza delle sue possibilità; un'Europa in cui è necessaria una forte presenza radicale. (NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

»Come nel periodo fra le due guerre, negli anni '20 e '30, torna a trionfare l'Europa dei mercanti e dei produttori d'armi, degli affari e delle corporazioni, incurante delle responsabilità internazionali verso se stessa e il mondo, disinteressata ai valori e alle libertà, solo attenta agli interessi di una mediocre ragion di Stato

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Il progetto di nuovo trattato che dovrebbe assicurare nuovi poteri alla Comunità europea e reali poteri legislativi e deliberativi al Parlamento, prende nome - non a caso - da Altiero Spinelli. Pochi italiani sanno che Spinelli fu insieme con Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e pochi altri, l'autore del "Manifesto di Ventotene", col quale, mentre erano ancora alti gli orrori e i fragori della guerra mondiale alcuni antifascisti "radicali" lanciavano ai popoli d'Europa l'appello a una federazione degli Stati europei. Quell'appello ha creato un forte movimento federalista, che fu influente durante tutti gli anni '50, orientò parte consistente dell'opinione pubblica e gli stessi governanti europei di quegli anni, da De Gasperi ad Adenauer, da Schumann a Monnet, a Mansholt. Il sogno di una Federazione europea non si avverò. Il massimo cui approdò quel vasto movimento d'opinione fu il Mercato comune europeo e una Comunità cui gli Stati della "Piccola Europa" di allora delegarono essenzialmente il compito di compensa

re i loro protezionismi agricoli. Non fu cosa da poco, visto che impedì ai paesi europei di essere schiacciati dalle dimensioni continentali delle economie delle due grandi potenze. Fu dunque uno dei pochi casi in cui il realismo politico non produsse scelte limitate e mediocri. L'Italia ne trasse le condizioni per il suo ingresso nel novero dei paesi industrializzati. Nei decenni successivi questa Europa limitata e mercantilistica ha avuto tuttavia la forza di attrarre nella sua orbita paesi grandi e piccoli che ne erano rimasti fuori: dalla Gran Bretagna alla Danimarca, dall'Irlanda alla Grecia. Ed altri - Spagna e Portogallo - bussano alle sue porte. Ma sul piano politico e istituzionale, l'Europa del Mec non ha registrato progressi, solo involuzioni. Mentre il Parlamento europeo approva il progetto di trattato che dovrebbe assicurare un salto in avanti, qualitativamente significativo, verso l'unità europea, l'Europa degli Stati e dei governi nazionali ha invece raggiunto il punto più basso della sua cris

i. I vertici politici - cioè i consigli dei capi di Stato e di governo della Comunità - si susseguono periodicamente per litigare intorno a poche migliaia di miliardi di lire, cioè a percentuali insignificanti del rispettivo Prodotto interno lordo. Tanto vale l'Europa per ciascuno degli Stati nazionali. Al Parlamento europeo, quando si è trattato di votare il progetto Spinelli di nuovo trattato, quasi al completo le forze politiche italiane lo hanno votato, con una compattezza e una convinzione che non hanno uguali nelle forze politiche degli altri paesi europei. Anche il Pci, che negli anni Cinquanta ne era fiero oppositore, si è convertito all'europeismo. Non è certamente un caso. Il federalismo europeo è nato in Italia e ciò che si è costruito di Europa è figlio di quel movimento federalista. In questo secolo è capitato più di una volta al nostro paese di essere battistrada di movimenti profondi della politica e della storia europea e mondiale. Nel bene e nel male. Lo ha fatto con il fascismo. Lo ha fatto

con l'europeismo. Purtroppo la classe politica, mediocremente avvolta nelle sue preoccupazioni e nei suoi equilibri partitocratici di potere, ne ha assai scarsa consapevolezza. Non è in questione la sincerità "europeistica" di questi partiti. Il loro europeismo è tanto sincero quanto superficiale, generico e contraddittorio. Sarebbe ingiusto tacciare di scarsa sincerità il voto al Parlamento europeo, o quello dato alla Camera dei deputati, addirittura su una mozione presentata dai deputati radicali, per una immediata ratifica del progetto Spinelli, senza preventive trattative con gli altri governi e senza calcoli e attese diplomatiche. Dietro questa sincerità soltanto proclamatoria c'è lo stesso vizio che mina l'intera Europa. L'integrazione dei prezzi dell'olio d'oliva, di quelli dei pomodori - poi accaparrati non dagli agricoltori ma da qualche mafia o camorra - conta di più della costruzione di una coerente politica europea. Ed è la stessa musica che prevale negli altri paesi, in Germania, in Gran Bretag

na e in Francia, dove gli interessi dei "vignerons" e la pressione degli agricoltori travolge l'europeismo sempre professato contro De Gaulle da Mitterrand quando questi era all'opposizione. Se si esclude il Parlamento europeo, una risposta politica non è venuta alla crisi dalla Comunità né dall'ltalia, né dalla Francia, né dalla Germania. Tutti si nascondono dietro i "veti" di Lady Thatcher, che fa coerentemente il suo mestiere anticomunitario, ma questi veti servono a nascondere e mascherare - lo ha detto Schmidt - le divergenze e i dissensi fra gli altri partners. L'interesse e il profitto guidano la politica internazionale degli Stati partners della Cee: nella politica internazionale e militare al rimorchio degli Stati Uniti, per gli euromissili come per la miope e suicida politica di strangolamento finanziario dei popoli del terzo mondo; in politica mediorientale condizionati dagli approvvigionamenti di petrolio e soggetti al ricatto dei più pericolosi e avventuristici degli Stati di quest'area; in poli

tica economica incapaci di qualsiasi scelta strategica europea, in concorrenza l'uno con l'altro come sono, alla ricerca di accordi con questa o quella multinazionale americana. E' davvero indicativo quel che accade in Italia, con la Olivetti che stringe accordi con l'Itt e la Stet che tenta di stringerli con l'Ibm. Ed è come se le grandi industrie del settore francesi, tedesche, inglesi non esistessero e stessero a guardare. L'Europa, l'intera Europa rischia di diventare, per scelta non degli americani ma degli europei, un campo di scorreria delle grandi multinazionali e le sue industrie centri di produzione e di distribuzione dei risultati delle scoperte e della ricerca tecnologica americana, canadese, giapponese. E questo mentre il passaggio alla cosiddetta era post-industriale produce nuovo olocausto nel terzo mondo e crisi occupazionale ormai cronica nel mondo industrializzato. Come negli anni Venti e Trenta, torna a trionfare l'Europa dei mercanti e dei produttori d'armi, l'Europa degli affari e delle

corporazioni, incurante della politica e delle responsabilità internazionali verso se stessa e i popoli del mondo, disinteressata ai valori e alla libertà e solo attenta al profitto e ai contingenti interessi di una piccola e fragile ragion di Stato. Classi dirigenti come quelle americane che seppero portare il più grande paese industriale del mondo fuori della depressione negli anni '30, e che affidarono la loro ripresa economica negli anni '40 e '50 al massimo di apertura nei confronti del resto del mondo e dell'Europa (con il Piano Marshall), o come quelle stesse europee che fecero la risoluzione dell'abbattimento delle frontiere doganali, sembrano abissalmente distanti da quelle che governano gli attuali Stati europei, molto più simili, purtroppo, a quelle che prepararono la seconda guerra mondiale. Bisogna impedire che questa Europa prepari un'altra catastrofe. Per questo, anche per questo, è necessaria una forte nostra presenza in Europa, con tutti i nostri valori, con tutte le nostre battaglie, con tu

tte le nostre bandiere ideali. Per un'Europa di vita, di pace, di disarmo. Per un'Europa che sia all'altezza delle sue possibilità e delle sue responsabilità.

 
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