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Partito Radicale Centro Radicale - 1 dicembre 1996
DO AND DIE, DO OR DIE

IL PROFESSORE SAMDHONG RINPOCHE PROPONE UN PROGRAMMA PER IL LANCIO DEL SATYAGRAHA TIBETANO

(da World Tibet Network News, domenica 1 dicembre 1996)

[L'autore è direttore dell'Istituto di studi tibetani superiori a Saranath, Varanasi, e Presidente dell'Assemblea dei deputati del popolo tibetano, a Dharamsala, India]

The Pioneer, 28 Novembre 1996

Come principio e come sistema, la democrazia non è nuova al popolo tibetano. La nostra evidente apertura al funzionamento democratico non fu indotta né dall'occupazione cinese del Tibet, né dalle nostre relazioni reciproche con il mondo esterno. Fin dall'infanzia e molto prima di assurgere al potere temporale, Sua Santità il XIV Dalai lama ha avuto l'inconfondibile volontà di democratizzare il Tibet.

Sfortunatamente, egli prese le redini del paese solo quando ormai metà del suo territorio era già occupato dalla Cina. Nonostante cio', per nove lunghi anni egli diede del suo meglio per introdurre riforme democratiche, ma ogni voltà i dittatori comunisti cinesi frustrarono sistematicamente queste azioni. Fu solo dall'esilio che Egli ebbe la libertà di azione per applicare la propria visione.

Ci fu solo una singolarità in questa trasformazione cosi' caratteristica di un leader e del suo popolo. Nel nostro caso lo stesso capo dello stato ha promosso la democratizzazione e la conseguente rinuncia alla sua autorità, ma cio' non è stato accettato dal popolo. Durante i 37 anni in esilio, Sua Santità ha gradualmente educato e persuaso il suo popolo ad adottare un modo di vita democratico e tradurre l'ideale in pratica cosicché cio' che si raggiunga sia una vera democrazia.

Il modello di democrazia tibetano è radicalmente differente dai principi democratici occidentali: è fondato sui principi di uguaglianza di tutti gli esseri sensibili sulla base del loro illimitato potenziale di sviluppo. Tale eguaglianza puo' essere istituita nella vita quotidiana attraverso la collaborazione e non la competizione.

La competizione porta invariabilmente ad alcune forme di confrontazione: l'amore e l'eguaglianza non possono essere raggiunti tramite la competizione, che tanto in politica quanto in economia previene le vere fratellanza e collaborazione. Acquisendo la consapevolezza di questo fenomeno della natura umana, molto tempo fa il Signore Buddha raccomando' una democrazia libera dalla competizione.

Una forma di democrazia senza partiti potrebbe essere quindi un'alternativa in cui ogni persona abbia la libertà di rapportarsi alle diverse questioni secondo la sua saggezza, senza l'imposizione di alcuna condizione da parte di gruppi o ideologie. La decentralizzazione del processo di decisione e applicazione renderebbe ogni individuo sovrano e responsabile delle prorie azioni. L'individuo dovrebbe pensare globalmente e agire localmente. Dal nostro punto di vista, quando poche persone vivono sulla pelle degli altri è totalitarismo; d'altra parte il principio del vivi e lascia vivere è una mera democrazia. Nel modello di democrazia che stiamo cercando di adottare ciascuno vivrebbe per gli altri.

Il futuro del Tibet deve essere modellato e costruito attraverso lo sforzo autentico e sostenuto di tutti i tibetani. Nonostante non ci siano piani già pronti o definitivi, voglio esporre tre punti di seria considerazione:

1. Nel mondo di oggi l'interdipendenza è cresciuta al punto che il futuro di ogni paese non puo' essere considerato in modo isolato. Il futuro del Tibet è vincolato a influenzare quello del mondo in generale, e la sua situazione geopolitica quello dei suoi immediati vicini in particolare: Cina e India, il corso della storia di entrambi i paesi inseparabile da quello del Tibet. Per diverse ragioni questi due paesi più popolati del mondo si cotrapporranno tra loro forse per sempre come competitori o avversari. Quindi lo status del Tibet come stato cuscinetto tra India e Cina sarà l'unico fattore di pace, stabilità e sicurezza determinante in asia. Geograficamente, essendo il Tibet il "Tetto del mondo" dal quale sgorgano la gran parte dei grandi fiumi asiatici costituirà un fattore decisivo per l'equilibrio ecologico e ambientale del mondo. Gli scienziati affermano che il plateau tibetano avrà per sempre un ruolo nel determinare i cambiamenti climatici terrestri.

2. Per quanto riguarda il futuro del Tibet, nella mia opinione l'urgenza immediata è di salvarlo dall'annientamento totale. Il Tibet è davvero divenuto la prova sul campo dell'efficacia della Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni unite. Bisogna prendere atto che il futuro del Tibet è inseparabilmente legato a quello del mondo nel suo insieme. Il futuro del Tibet dovrebbe vedersi in questa prospettiva integrale. Lo status politico del Tibet in termini di sovranità o autonomia, separazione o associazione, è stato dibattuto per decenni, ma la reale situazione in Tibet si è progressivamente deteriorata. Quindi la nostra principale preoccupazione dovrebbe essere di salvare questo paese e la sua unica cultura dalla ditruzione totale. Sarà possibile solo se cesseranno immediatamente i continui trasferimenti di popolazione e l'occupazione civile cinese. La violazione della cultura, lingua, religione e dell'ambiente tibetani deve finire.

La questione del futuro Tibet non puo' sistemata senza tenere conto dei problemi summenzionati. Quindi dovremmo concentrarci sul come conseguire questi obiettivi. E' tempo per i tibetani di sviluppare un programma di taglio netto. Propongo un programma per lanciare un movimento di Satyagraha. L'idea e il piano di applicazione sono spiegate altrove. Le persone informate sanno che Sua Santità ha già promosso un referendum tra la dispora tibetana per decidere il futuro corso di azione, e tutti noi stiamo attendendo i suoi risultati.

Sembra ora che solo due opzioni siano aperte davanti a noi:

1. Appellarsi a negoziati con una parte non volonterosa;

2. Iniziare una pacifica resistenza nonviolenta.

La via dei negoziati è stata tentata per oltre 14 anni ma non ci ha portato da nessuna parte. Non c'è segnale di volontà cinese di aprire un dialogo, nonostante l'approccio di compromesso di Sua Santità che accetta il quadro di lavoro stabilito da Deng Xiaoping per i negoziati. Prendiamo atto della realtà e formuliamo le conseguenti strategie. Non abbiamo futuro se non siamo pronti a sacrificarci per reinstaurare la dignità e la sicurezza del nostro popolo in Tibet. I posteri non ci perdonerebbero mai. Quindi ogni piano di azione deve essere ben concepito, ben considerato, e stabilito con scandenze temporali. Sta diventando troppo tardi, e il tempo non si volta mai indietro. Dobbiamo correre più velocemente per tenere il passo col tempo, altrimenti il nostro obiettivo si rivelerà un miraggio.

La Cina ha fallito nello svolgere le funzioni di uno stato civilizzato, e segnatamente:

1. Protezione del popolo;

2. Promozione del suo benessere sociale, economico e culturale; e

3. Rappresentazione dei suoi interessi.

Quindi la Cina manca completamente di legittimità legale, morale e politica per governare il Tibet. Forse non c'è bisogno di prova per rendersi conto della sua politica di occupazione forzata: la progressiva distruzione dell'identità del popolo tibetano e la politica di sciocco sfruttamento delle risorse naturali tibetane che mette in pericolo il suo equilibrio ecologico e ambientale.

La situazione quindi ci chiama a sacrifici supremi. Il Mahatma Gandhi, il grande promotore del Satyagraha, un tempo istrui' il suo popolo "Fai e muori". La nostra situazione ci impone di alterarlo un poco in "Fai o muori", determinandoci in un tentativo definitivo che esige collaborazione volontaria, piena coordinazione, di stringere i nodi allentati e, ovviamente, la determinazione del Satyagrahi. Ad ognuno di noi devono essere ben chiari i nostri obiettivi e anche i mezzi per conseguirli.

I nostri sforzi devono essere ostinatamente persuasivi. Non abbiamo bisogno di rinunciare ai nostri impegni di principio, ma neppure dobbiamo permettere che il nostro impegno alla pace e alla nonviolenza sia preso per una nostra debolezza. Nessuna forza è maggiore di quella morale e spirituale, come ci insegnano Martin Luther King, il Mahatma Gandhi e Nelson Mandela per citarne solo alcuni.

Siamo fortunati ad avere Sua Santità il Dalai Lama come nostra guida. La Sua visione della direzione è stata chiara e il Suo impegno alla democrazia e alla nonviolenza è stato coerente. Nonostante la prolungata frustrazione, Egli ha infuso negli esiliati la Sua fiducia che un giorno essi torneranno nel Tibet. Non lasciamo che falliscano il nostro leader e il nostro impegno alla verità e alla nonviolenza. Quando Gandhi chiamo' a "Fare e morire" non c'era altra scelta, cosi' come non c'è altra scelta al "Fare o morire" che io propongo al nostro popolo.

Il viaggio di ritorno nella patria deve cominciare qui ed ora. Solo cosi' potremo dire "L'anno prossimo a Lhasa".

 
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