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Partito Radicale Centro Radicale - 10 gennaio 1997
SCHEDA PR/ANTIPROIBIZIONISMO SULLE DROGHE

3. ANTIPROIBIZIONISMO SULLE DROGHE

Il proibizionismo, come complesso di norme giudiziarie punitive che colpiscono la produzione, la vendita ed il consumo di determinate sostanze definite "droghe", si propone di preservare l'integrità fisica e morale del cittadino, proteggendolo dagli effetti dell'ebbrezza, dell'alterazione della coscienza in generale, nonchè dalla eventuale tossicità di dette sostanze.

I risultati complessivi di questo modello legislativo, dopo 30 anni del suo pieno sviluppo, sono evidenti: una piccola criminalità diffusa che rende insidiose strade e quartieri delle metropoli di tutto il mondo; la grande criminalità organizzata che reinveste i giganteschi profitti della droga in ogni genere di imprese, illecite e ormai anche lecite, che inquina, corrompe, influenza governi ed arriva a controllare Paesi interi; enormi risorse finanziarie devolte da Stati e governi nella repressione e in attività di polizia, giudiziarie, carcerarie, burocratico-sanitarie a scapito dei suoi normali compiti; infine le morti di migliaia di persone, soprattutto giovani, a causa dell'adulterazione dei prodotti posti in circolazione, delle overdosi, delle infezioni.

Ultima in ordine di tempo ed esemplare per i suoi effetti nefasti è stata la politica proibizionista, espressa nello slogan "guerra alla droga", lanciata dal presidente Reagan all'inizio degli anni 80, e subito sostenuta dall'ONU con la Convenzione di Vienna del 1988. La "war on drugs" è stata un clamoroso insuccesso, un "flop" di portata mondiale che ha sperperato miliardi di dollari, condannando al contempo al "libero" consumo del mercato nero milioni di giovani nel mondo e sopratutto arricchendo l'enorme business e lo strapotere dei cartelli e delle narco-mafie. In tal modo si è inoltre creato artatamente un enorme indotto: il business di coloro che dovrebbero combattere il mercato nero della droga. Ogni paese ha ora le sue agenzie specializzate con grandi bilanci e un gran numero di lavoratori che dipendono dai budget governativi. Il fallimento della guerra alla droga è anche questo: il finanziamento di burocrazie enorme quanto inutili che su questo, senza risultato alcuno, vivono e prosperano.

Di questa crisi generale del modello proibizionista risentono ormai anche i governi più intransigenti: è l'inerzia più che la volontà politica a mantenerne la linea di condotta. Dunque perchè non constatare serenamente che il proibizionismo ha fallito rispetto ai suoi stessi fini, che la droga è attualmente in libera vendita e liberamente spacciata e che la sua nocività è fenomeno massiccio, endemico nella società ?

E' tempo allora di invertire la rotta. L'obiettivo realmente e necessariamente perseguibile rimane, prima di tutto, distruggere l'interesse economico al commercio illegale. E dunque occorre finalmente "legalizzare" le sostanze in questione: regolamentare la produzione, il commercio, il consumo.

Il Partito Radicale, sin dagli anni 70 in Italia - al primo emergere massivo dell'uso di sostanze psicoattive - è intervenuto a denunciare il carattere moralistico, antiscientifico ed autoritario delle leggi variamente ispirate al proibizionismo. Con ripetute azioni di disobbedienza civile - il pubblico, esibito "consumo" di "droghe" - Marco PANNELLA ed i radicali hanno ottenuto un primo successo con la modifica della legislazione italiana: nel 1975 è stata introdotta la non-punibilità del consumo di "modica quantità".

Successivamente, con il dilagare del consumo dell'eroina e di altre droghe che inducono dipendenza, con le prime morti per overdose, il PR ha proposto la "distribuzione controllata" da parte dello Stato, con l'obiettivo di eliminare o ridurre il mercato clandestino e battere le mafie della droga, di sottrarre i consumatori alle attività illecite cui sono costretti e al rischio sanitario del mercato nero (ad es. l'infezione da HIV, l'Aids).

Sempre in Italia, con due successivi referendum, il PR ha tentato di ottenere la depenalizzazione delle sostanze stupefacenti. Nel 1980, il primo è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale, che lo giudica incompatibile con i Trattati internazionali. Il secondo, nel 1993, è stato invece ammesso ed ha ottenuto anzi un significativo successo di consenso popolare, introducendo per altro un importante contrasto tra l'ordinamento italiano e l'adesione dell'Italia ai Trattati. Nel 1995, dopo che nella legislazione italiana sono state surrettiziamente rintrodotte norme ulteriormente repressive, il movimento riformatore e radicale ha raccolto le oltre 500.000 firme necessarie a proporre al voto dei cittadini un nuovo quesito referendario di ispirazione antiproibizionista. Il referendum dovrebbe svolgersi nel 1997.

Grazie alla fondazione del CoRA (Coordinamento Radicale Antiproibizionista) nel 1988, e della LIA (Lega Internazionale Antiproibizionista) nel 1989, con il successo di una "Lista Antiproibizionista" alle elezioni europee nello stesso anno, la battaglia si è allargata sul piano internazionale ed istituzionale ed è divenuta ora proposta globale di regolamentazione della produzione, della distribuzione e del consumo delle sostanze psicoattive.

 
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